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Sabato, 20 Aprile 2024
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Città intelligenti, Mario Tozzi: “La soluzione non è nella tecnologia”

Il noto geologo con il suo ultimo pamphlet ‘Tecnobarocco’ ci mette di fronte agli eccessi di un mondo troppo tecnologizzato che invece di soddisfare i bisogni importanti ne crea di nuovi. Roma è solo un esempio di come ormai sia superato il punto di equilibrio con il territorio, condizione necessaria affinchè la città sia smart, ma può ancora recuperare tornando all'età repubblicana

La tecnologia piace e spesso rende la vita più semplice e comoda, specialmente nel quotidiano cittadino dove i ritmi sono frenetici e la possibilità di fare la spesa tramite internet o di acquistare vacanze e biglietti con un click aiuta a vivere meglio. Ma forse dovremmo chiederci fino a che punto questo tipo di soluzioni soddisfano le esigenze importanti degli esseri umani. E ancora, le città intelligenti sono davvero tali solo perché più tecnologiche? Abbiamo posto queste e altre domande al geologo, primo ricercatore del Cnr, Mario Tozzi, famoso volto televisivo, che con il suo ultimo saggio ‘Tecnobarocco Tecnologie inutili e altri disastri’ – come lui stesso scrive - cerca di confutare alcuni luoghi comuni legati alla tecnologia, che dovrebbe, in ultima analisi, servire a migliorare la vita dell’uomo (e forse anche dei viventi in generale) e a ridurre l'impatto sul pianeta. Invece, risulta spesso ridondante, complicata, diseducativa, inutile ed addirittura dannosa. 

Siamo abituati a immaginare le città intelligenti come innovative dal punto di vista tecnologico, oltre che attente alla tutela ambientale. Ma tecnologia e smart city quanto e come vanno di pari passo?

Adesso sembra che le città intelligenti siano soltanto una questione tecnologica: basta avere una app per trovare un parcheggio e si è contenti di vivere in una smart city. Ma non è così. Le città veramente smart sono quelle in equilibrio con il proprio territorio, condizione che rende la società migliore. Città così ce ne sono molto poche. Quasi nessuna di quelle moderne lo è.

In Italia o nel mondo?

Nel mondo, c’è sempre troppa gente, accalcata in spazi troppo piccoli con consumi troppo elevati. Infatti le città non producono più come un tempo e sono diventate grandi divoratori di energia.  Naturalmente esistono delle differenze. 

Per esempio…

Roma ha le potenzialità per tornare a essere la smart city che era in età repubblicana, perché ha il territorio agricolo più vasto d’Europa e anche tanto verde, però è mal distribuito e il centro storico è soffocato. Si stava bene fino all’età imperiale quando è diventata troppo grossa con il suo milione di abitanti. Non produceva più risorse per tutti, soffriva di alluvioni e risentiva dei terremoti. Non era perciò quella città intelligente che era quando i romani vivevano sui sette colli e non nelle valli fluviali e si procuravano tutto ciò che gli serviva tramite il Tevere e nel territorio circostante.

Esiste un punto di ottimo in base al quale una città é considerata smart e oltre il quale si esagera, si investe male o, addirittura, si va verso la decrescita?

Quel punto è proprio l’equilibrio con il proprio territorio, ma è stato superato quasi sempre. Le città vengono ormai considerate quasi slegate dal proprio territorio perché comunicano in un altro modo, ma questo non è sufficiente a renderle equilibrate e neppure resilienti. Si presuppone che la tecnologia dovrebbe aiutare in questo senso.

Cosa dovremmo domandarci per comprendere se stiamo diventando davvero più smart?

Innanzitutto dovremmo comprendere che non è un problema tecnologico, ma culturale. Io non punto il dito contro tutta la tecnologia, ma contro quella inutile che ti fa illudere di vivere in una città smart perché trovi prima parcheggio. Questo è un palliativo, un accessorio che ci fa credere di vivere in un mondo moderno mentre soddisfiamo solo bisogni superflui. La necessità primaria di una città è la mobilità e questo non viene soddisfatto da alcuna tecnologia. È inutile sincronizzare i semafori se le auto private sono troppe. Soprattutto in Italia dove il tessuto urbano è per lo più medioevale o rinascimentale; non è fatto per le automobili, ma per cavalli e uomini a piedi.

Corriamo il rischio che si progettino città a misura di robot, invece che a misura d'uomo? 

Sono già progettate a misura di auto. Erroneamente. Non si risolvono i problemi con una domotica (dalle parole domus, in latino ‘casa’ e robotica, ndr) spinta verso le case, ma questo serve a ben poco se la casa è mal orientata e in un luogo malsano, a rischio terremoti o alluvioni. Purtroppo questo è quello che succede. Appunto un inganno tecnologico: rendiamo le abitazioni perfettamente robotizzate, ma viviamo in ambienti insalubri, con zanzare e miasmi e non vediamo mai il sole, però ho la televisione e vedo tutto il mondo via internet. Che bella soddisfazione!

Esiste comunque una fetta di mercato che sempre di più investe in tecnologia. Che soluzione propone per non contrastarla.

Francamente non mi importa, nel senso che questa fetta di mercato vuole fare affari, non  migliorare le condizioni di vita. Questo non rende più felice. Si produce tecnologia solo per denaro e questo non è un valore che a me interessa. Propongo di recuperare altro. Per esempio in una città la classica piazza che non può assolutamente essere sostituita da quella virtuale. Non ci sono le persone né il loro odore. Si tratta di una condizione non soddisfacente della vita sociale, se l’uomo è un animale sociale.  Abbiamo ancora un gran bisogno della piazza reale.

A chi le muove la critica di essere un ‘obsoleto’ cosa risponde?

Sono felicissimo di essere obsoleto se devo affidarmi a questo tipo di modernità, fatta di tecnologia ridondante e barocca. Così non si appagano i bisogni primari, ma se ne producono altri che non sono importanti. Ben venga il mio essere vecchio, per quanto, in questo gioco tecnologico, siamo tutti vecchi: dopo un anno tutto è obsoleto e facciamo una gran corsa per adeguarci. Corsa che è soltanto al consumo e che non porta vantaggi dal punto di vista della felicità individuale. A meno che qualcuno sia convinto che la felicità sia una chat con persone dall’altra parte del mondo o che vedere l’ologramma della propria madre da casa sia più bello che andarla a trovare.

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