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Martedì, 23 Aprile 2024
Confini d'Europa

Oltre la guerra, i terremoti: ecco chi parte verso l'Italia

Si attendono migliaia di profughi sopravvissuti al sisma che ha colpito Siria e Turchia. La battaglia di Silvia per dare un nome alle vittime del viaggio. Perché Trieste è l'alternativa ai barconi per Lampedusa

Riportare in patria il cadavere di un migrante morto lungo la rotta balcanica può costare migliaia di euro: quanto un game, l'intero viaggio verso l'Unione Europea. La voragine che negli ultimi dieci anni ha inghiottito nei Balcani circa 300 persone è profonda. Laggiù, dove la vita non vale niente, anche le identità tendono a svanire. Secondo un report indipendente curato dalla pagina social Dead and missing in the Balkans, dal 2015 ad oggi oltre il 35 per cento dei migranti morti non ha un nome, né nazionalità.

È un esercito di dimenticati, anime scivolate nell’oblio delle gelide acque dei fiumi che segnano i confini. Morti annegati, o investiti da automobili e treni, oppure uccisi da colpi di pistola per chissà quali conti da regolare. Una curva di morte che cresce costantemente. Nel triennio del covid (dal 2020 al 2022) su 161 decessi, ben 71 vittime di questa tratta non sono state riconosciute da nessuno. Dalla rotta balcanica negli ultimi cinque anni sono arrivate in Italia venticinquemila persone: 12mila soltanto nel 2022, sul totale di 105 mila migranti entrati irregolarmente nel nostro Paese lo scorso anno.

Un migrante in un rifugio lungo la rotta balcanica (foto Giovanni Aiello-TriestePrima)

La via per Trieste è la principale alternativa terrestre ai barconi che salpano dalla Libia per Lampedusa. La percorrono giovani afghani e pakistani in fuga dai fanatici religiosi, siriani e curdi affamati da anni di guerra civile. Ma è prevedibile che presto, lungo questi stessi sentieri, troveremo anche i sopravvissuti impoveriti dalle conseguenze dei terremoti che hanno devastato le regioni tra Turchia e Siria. Tragedie umane e naturali arricchiscono da sempre il traffico, fin tanto che l'Europa non studierà visti d'ingresso per ragioni umanitarie. Anche per questo si continua a morire.

Un po’ come Ahmad Kahlil Ibrahim, siriano annegato nel 2018 dopo aver tentato di guadare un fiume. Il suo corpo resta senza nome fino all’interessamento di Silvia Maraone, referente a Bihać di Ipsia, la rete non governativa delle Acli che in Bosnia opera da molti anni. Ahmad era stato travolto da un’onda di piena e trascinato via dalla corrente. I suoi compagni si erano salvati. Alla polizia avevano raccontato di un uomo inghiottito dalle acque. “Ero rimasta impressionata dal numero di morti che sparivano e morivano sulla Drina, nella Bosnia orientale – racconta Silvia – e così, nel blog che all’epoca curavo, avevo iniziato a raccogliere informazioni per produrre un elenco di persone scomparse”. Uno sforzo non solo giornalistico, ma soprattutto emotivo. È lì, tra le pieghe delle storie raccolte e diverso tempo dopo la sua scomparsa, che qualcuno si ricorda di Ahmad.

La telefonata da Miami

“Mi chiama e dice di essere il nipote di un uomo disperso nei Balcani. Lui sta a Miami, in Florida. Mi chiede se so dov’è finito suo zio”, spiega Silvia Maraone. Ahmad era passato per Mira, un campo vicino a Bihać chiuso nel settembre del 2020 e Silvia inizia a sospettare qualcosa. “Quando avevano dato la notizia di questo annegamento senza identità, si era parlato anche del corpo. Non so perché, ma leggendo e studiando il caso ero arrivata alla conclusione che il cadavere ritrovato fosse proprio quello di Ahmad”.

Migranti lungo la rotta balcanica (foto di Giovanni Aiello)

Dopo il contatto oltreoceano, ecco che il tam tam fa rumore fino in Europa. Unendo i puntini sulla mappa si disegna una triangolazione che dall’Italia rimbalza negli Stati Uniti e finisce sulla sponda est del Mediterraneo. “Mi scrivono i parenti – continua Silvia –. La moglie di Ahmad vive in Libano”. La volontaria di Ipsia contatta la polizia e la protezione civile. Nel frattempo, si innesca la procedura del consolato per mettere in moto la pratica di riconoscimento del corpo. “La moglie deve portare un campione di sangue”, questa la richiesta del governo croato. Ma per entrare dal Libano in Croazia ci vuole un visto. E la risposta delle autorità è no: “Non possiamo farlo”.

Una delle tombe in cui potrebbe essere stato sepolto Ahmad (foto di Giovanni Aiello-TriestePrima)

Silvia Maraone non si dà per vinta. Qualche mese dopo decide di scrivere all’Istituto forense di Zagabria. Sa che lì c’è il cadavere di un migrante e che quel cadavere potrebbe essere Ahmad. La segretaria afferma di non poter condividere l’informazione, ma lascia intendere che sì, Ahmad è lì. Se da un lato la speranza si accende, dall’altro gli sviluppi non portano da nessuna parte. Spunta un cugino che vive in Germania e che riceve il campione di sangue dalla famiglia. Nonostante questo, la vicenda si ferma. Passa ancora un po’ di tempo. Tranne che a Silvia, la storia di Ahmad non interessa quasi a nessuno. “A un certo punto leggo che alcuni corpi erano stati assegnati al cimitero di Lipa e sepolti”. Il calendario indica la data dell’8 marzo 2020. Mancano 24 ore alla chiusura del mondo per covid. “Sono partita da Milano quel giorno, volevo parlare con qualcuno”. È domenica e nella chiesetta davanti al cimitero, intitolata a San Nicola, il prete dice messa. “Non capiva la mia richiesta, ma per fortuna trovo una parrocchiana che mi porta a vedere la tomba”.

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La tomba di Ahmad non ha ancora un nome, né una data. Il destino vuole che qualche anno prima la parrocchiana abbia fatto la volontaria per la Croce Rossa in Siria. “È lui”, si convince Silvia. “Ci son voluti due anni per dare un nome al corpo – aggiunge lei –. Purtroppo, è sempre così, anche quando si hanno elementi per farlo, poi è difficilissimo riportare il cadavere in patria. Le agenzie funebri la fanno facile, trovi una bara zincata, prepari i documenti e paghi. L’importante è pagare. Ma è tutto molto più difficile di quanto non sembri”. Il problema, in questi casi, è che ci vuole qualcuno che si accolli i costi. Intanto il tempo della burocrazia si dilata e fa aumentare i prezzi. Perfino da morti è complicato attraversare i confini. Nel 2022, lungo la rotta balcanica, sono state registrate ufficialmente cinquanta vittime. Trentuno di loro non hanno ancora un nome.

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