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Giovedì, 28 Marzo 2024
Il reportage

Non è la solita Biennale di Architettura: focus sull'Africa, con un cambio di direzione

Riflettori della Mostra puntati sulla diaspora, sulla cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. Apre ufficialmente al pubblico sabato 20 maggio, e sarà visitabile fino al 26 novembre 2023

Non è la solita Biennale. La 18. Mostra internazionale di Architettura di Venezia (20 maggio - 26 novembre 2023) cambia paradigma rispetto alle precedenti edizioni e lo fa in modo concreto per contrastare il cambiamento climatico, promuovendo un modello sostenibile di progettazione e allestimento. In questo senso vanno lette le dichiarazioni della curatrice, la scrittrice e architetto anglo-ghanese Lesley Lokko, nel corso della conferenza di apertura della manifestazione: "Non ricostruiamo una nuova mostra - ha detto -, ma adattiamo quello che abbiamo ereditato da Cecilia Alemani (la curatrice della precedente Biennale, ndr), perché la cornice che ci ha lasciato è eccellente". Allo stesso tempo, Lokko ha richiesto ai partecipanti di toccare il meno possibile le Corderie all'Arsenale e il padiglione centrale ai Giardini: "Sebbene non sia privo di carbonio - ha spiegato -, l'uso di schermi, film, proiezioni e disegni dà un tono diverso".

Non ricostruiamo una nuova mostra, ma adattiamo quello che abbiamo ereditato

Viaggio nella diaspora africana

Quest'anno, i riflettori della Biennale sono puntati sull'Africa e sulla sua diaspora, sulla cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. Una mostra suddivisa in sei parti, con 89 partecipanti, oltre la metà dei quali provenienti dall'Africa o comunque emigrati dal proprio Paese d'origine. Risiede in questo, per il presidente della Biennale, Roberto Cicutto, il punto di forza della mostra: "Poter ascoltare dall’interno le diverse voci che vengono dall’Africa e dialogano con il resto del mondo, costringendoci ad abbandonare un’immagine di quel continente e dei suoi abitanti che abbiamo perpetuato per secoli, quella di un’Africa vista più come un problema o solo come un paese da aiutare". La Biennale si impegna in un cambio di prospettiva, 'incontrando' un continente che anagraficamente è il più giovane della terra, e oggi è diventato un interlocutore alla pari per accordi economici sul piano dell’approvvigionamento energetico e degli investimenti infrastrutturali.

Il progetto espositivo inizia idealmente nel padiglione centrale ai Giardini della Biennale, dove sono riuniti 16 studi che rappresentano il distillato di 'forza maggiore' della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi all’Arsenale, con la sezione Dangerous Liaisons (relazioni pericolose), affiancata ai progetti speciali della curatrice. "In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani 'practitioner' africani e diasporici", ha ricordato Lokko. Con il termine 'practitioner' la curatrice si riferisce ai partecipanti: "Non li qualifico come 'architetti', 'urbanisti' o 'designer' - ha avuto modo di dire a più riprese -, perché riteniamo che le condizioni dense e complesse dell’Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine 'architetto'".

I padiglioni nazionali

Al 'core' della Biennale, si accompagnano come di consueto le partecipazioni nazionali, 64 in tutto. Ventisette Paesi hanno organizzato le proprie mostre nei padiglioni ai Giardini, altri 22 all'Arsenale e 14 nel centro storico di Venezia. Il Niger partecipa per la prima volta alla Mostra di Architettura, mentre, sempre per la prima volta, Panama si presenta da solo (in passato lo faceva con l'Organizzazione internazionale italo-latina americana). Degno di menzione è il padiglione dell'Ucraina all'Arsenale, confermato solo pochi giorni prima della pre-apertura della Mostra, a cui il commissario, Mariana Oleskiv, e i tre curatori, Iryna Miroshnykova, Oleksii Petrov e Borys Filonenko, hanno lavorato incessantemente per due mesi. L'installazione si presenta al visitatore come uno spazio claustrofobico e senza prese di luce, simbolo di luoghi abbandonati che possono diventare vitali per progettare piani di sopravvivenza e speranza per il futuro. È di fatto la rappresentazione dell'interno di un bunker, che esprime come molti ucraini abbiano trascorso nell'ultimo anno la maggior parte delle proprie giornate. In un luogo buio, illuminato solo dai display degli smartphone.

Padiglione Ucraina alla Biennale di Architettura 2023

Condividiamo le nostre speranze per un futuro libero da aggressioni e guerre

L'Ucraina è presente anche ai Giardini, presso lo spazio Esedra, con un'installazione a cielo aperto, riproduzione di una rete di fortificazioni del X secolo nella regione di Kiev, in gran parte dimenticata, riattivata durante i primi giorni dell'invasione russa, per rallentare l'avanzata dell'esercito invasore verso la capitale. Sono spazi di riflessione e incontro, che nei sei mesi di apertura al pubblico ospiteranno, in momenti diversi, un programma pubblico di incontri, dove i rappresentanti della comunità culturale ucraina racconteranno le loro storie ed esperienze al mondo intero. "Attraverso la nostra partecipazione - hanno spiegato i curatori -, condividiamo le nostre speranze per un futuro libero da aggressioni e guerre. È una testimonianza della forza e della determinazione del popolo ucraino a costruire un mondo migliore".

La maggior parte dei 64 padiglioni nazionali ha risposto in maniera positiva alle richieste della curatrice di affrontare temi sensibili come l'impatto sull'ambiente, e di conseguenza sull'umanità, derivante dall'enormità di rifiuti plastici, il concetto di riparazione di ciò che già esiste, e ancora il risveglio del desiderio di utopie. A suo modo, anche il Padiglione Italia rientra nello stesso filone di idee, e non è un caso che come curatori siano stati scelti i giovani architetti di 'Fosbury Architecture', collettivo sin dalla sua nascita attento alle tematiche della sostenibilità e della condivisione. L'esposizione, inaugurata venerdì alla presenza del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, si intitola "Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri" e si propone come attivatore di azioni concrete a beneficio di territori e comunità locali, oltre l’idea che una mostra debba essere solo esibizione.

Il progetto è stato articolato in due momenti distinti, il primo propedeutico al secondo: "Spaziale presenta", da gennaio ad aprile 2023, ha visto l’attivazione di 9 interventi 'site-specific' in altrettanti luoghi selezionati in tutto il territorio italiano: Taranto, Massa Lubrense, Trieste, Ripa Teatina, terraferma veneziana, Montiferru, Librino, Belmonte Calabro, Prato. Segue "Spaziale: Ognuno appartiene a tutti gli altri", che all’interno del Padiglione Italia costituisce la sintesi formale e teorica dei processi innescati nei 9 territori nei mesi precedenti, restituendo una diversa e originale immagine dell’architettura italiana nel contesto internazionale. Un progetto che esalta gli spazi del padiglione, in cui l’architettura si intreccia con la comunità. "Il progetto - spiegano i curatori - si fonda sulla visione che l’architettura sia una pratica di ricerca al di là della costruzione di manufatti e la progettazione sia sempre il risultato di un lavoro collettivo e collaborativo, che supera l’idea dell’architetto-autore. Lo 'spazio' è inteso, in questa visione, come luogo fisico e simbolico, area geografica e dimensione astratta, sistema di riferimenti conosciuti e territorio delle possibilità".

L'architettura sia una pratica di ricerca al di là della costruzione di manufatti

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