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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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"Porta a porta"? Non è un programma d'informazione

Per il tribunale di Roma, Vespa è più un "anchor man" che un giornalista e "nulla è emerso che convinca della natura ontologicamente giornalistica" della trasmissione

"Porta a Porta" non è un programma giornalistico.

La definizione non viene dai detrattori del programma condotto da Bruno Vespa ma arriva direttamente dal tribunale del lavoro di Roma, che ha riconosciuto al giornalista abruzzese un ruolo più da "anchor man" che da "direttore responsabile". La questione è nata nel 2004, in seguito alla richiesta da parte dell'Inpgi (la cassa di previdenza dei cronisti) alla Rai, in merito al mancato pagamento dei contributi pensionistici di Vespa dal 2001 al 2003.

"Nulla è emerso che convinca della natura ontologicamente giornalistica del programma ‘Porta a porta’ - afferma il giudice Paolo Mormile - chiaramente appartenente al genere dei programmi di intrattenimento e approfondimento culturale e politico, realizzato come vero e proprio talk show (imperniato sulla carismatica figura di anchorman del noto conduttore)".

Dal 2001, Vespa non è più un lavoratore subordinato della Rai ma un collaboratore autonomo e pertanto la Rai ha versato i contributi di Vespa non all'Inpgi ma all'Inps e all'Enpals, la cassa previdenziale per il lavoratori dello spettacolo.

In difesa di Bruno Vespa e della sua attività giornalistica e contro questa "sentenza che sovverte solidi principi", si è pronunciato Franco Abruzzo, ex presidente dell'Ordine dei Giornalisti lombardi: "Vespa è un giornalista e il suo ruolo è paragonabile a quello di un direttore responsabile" che per sedici anni ha condotto oltre duemila puntate "“strutturate allo stesso modo e le interviste a personaggi di spicco della, politica, dell’informazione e dell’intrattenimento sono quasi un corollario della professione giornalistica in senso stretto".

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