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Venerdì, 29 Marzo 2024
Film al Cinema

“Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”, il debutto di Pawo Choyning Dorji nei bellissimi scorci del Bhutan

La recensione del film d’esordio del regista bhutanese candidato agli Oscar come Miglior lungometraggio internazionale. Dal 31 marzo al cinema

È una gran bella sorpresa “Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”. Tanto più se si pensa che il film è il debutto alla regia del giovane regista e fotografo bhutanese di origine indiana Pawo Choyning Dorji. Ed è un esordio col botto che luccica già di preziosa luce dorata il primo film bhutanese candidato al Premio Oscar come Miglior lungometraggio internazionale.

Un colpo da maestro per Pawo Choyning Dorji, che improvvisamente si è ritrovato incredulo per la sua prima candidatura al premio più ambito in America, così come aveva dichiarato: "La parte più magica di tutto questo è che è stato così inaspettato ... Spero che ispiri i registi bhutanesi e himalayani".

E si augura che sia un bel film “Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”, come lo è stato per lui quando aveva impiegato due mesi per girare la sua pellicola nella scuola più remota del Bhutan, nel freddo villaggio himalayano di Lunana.

Leggiamo la trama del film, un piccolo e dolce gioiellino che si incasella bene nel panorama cinematografico internazionale.

“Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”, trama del film

Ugyen Dorji (Sherab Dorji) è un giovane insegnante che lavora nel Bhutan moderno. Non gli manca nulla: una casa, la nonna che lo sveglia la mattina e gli prepara da mangiare, amici, una ragazza e la musica. Con tanto di iPod e cuffie che martellano musica alle orecchie. Per di più, ha anche un impiego ben pagato che gli permette di vivere dignitosamente. Non è la sua strada, però, l’insegnamento: il suo sogno è cantare in Australia, magari con una chitarra in mano e la carriera da cantante avviata. 

Spinto dalla sua ambizione, decide di sottrarsi ai suoi doveri lavorativi ma la sua superiore gli intima di finire l’anno accademico nella scuola più remota del Bhutan (e del mondo), in un villaggio di 56 abitanti a 4.800 metri di quota: Lunana.
Controvoglia, Ugyen parte per il lungo viaggio e incontra Singye (Tshering Dorji) che lo accompagna per otto giorni al villaggio, tra sentieri ripidi in salita, pioggia, fango, pit stop in una povera locanda con la famiglia misera del posto pronta ad ospitarlo e tradizionali canti popolari.

E finalmente a Lunana, Ugyen viene accolto dalla bontà dei pochi abitanti, felici del nuovo Maestro per i figli che vogliono imparare dai suoi insegnamenti. Per Ugyen, ormai occidentalizzato e avvezzo alla vita di città con l’elettricità a portata di mano e tutti gli strumenti didattici utili per il suo mestiere, abituarsi alla povertà del posto non è facile e andarsene gli sembra la cosa più giusta da fare…

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“Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”, si apprezza di più quando non si ha niente

È una dolce e nostalgica reminiscenza della tenera età che ricerca la felicità “Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”. Le belle fotografie dei paesaggi del Bhutan, i riti devoti agli dei per invocare la protezione dei viaggiatori, vivere con poco perché il popolo umile non ha mai conosciuto la ricchezza materiale di oggi, le gelide case costruite con il legno e i sorrisi dei bambini che non hanno niente. Eppure, sembrano avere tutto. Con i loro ideali e l’educazione di chi sa quali sono i valori morali che contano nella vita. Perché, anche senza elettricità, gas e beni di prima necessità, non manca la bontà d’animo. E di quella gli abitanti del villaggio di Lunana ne hanno così tanta da far invidia.

E Ugyen, ammaliato com’è dalla venerazione che i bambini e tutti gli abitanti manifestano per lui, si ritrova a combattere la battaglia con il suo stesso ego. Senza una ragione precisa. Aveva tutto ciò che gli serviva in una città civilizzata. Tuttavia, trascurava un pezzo importante che turbava la sua vita incompleta. E non erano oggetti materiali e nemmeno la musica che tanto adorava. Ometteva il suo viaggio spirituale, la spina attaccata alla presa di corrente che elettrizzava sé stesso (e non l’iPod per la musica di cui volentieri poteva farne a meno), perché i rapporti umani valgono più di ogni cosa e l’indifferenza continua sempre a fare male e a portare solo (auto)annichilimento.

E nel villaggio di Lunana, pochi abitanti, condizioni disagiate, tradizionali storie e leggende legate al capo del popolo, i pascoli, asini e yak, Ugyen assapora la “solitudine tecnologica”, affronta il freddo, impara a vivere da pastore e canta. La sua voce che adesso ha un suono diverso, spontanea, libera e apprezzata, lontana dalla musica da piano bar. E con il canto a cappella de “Il virtuoso yak Lhadar”, mantra del villaggio e del capo che l’ha scritta.

C’è tanta devozione verso la figura del Maestro in “Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”. I bambini, che non vedono l’ora di apprendere gli insegnamenti di colui che ha il futuro in mano, lo trattano come fosse un’entità superiore. E gli abitanti, che si affidano alla sua cultura per far crescere i figli in modo diverso assecondando i loro sogni, gli preparano il cibo servito sulla scodella di legno (riservato agli ospiti di un certo livello), il thè sempre bollente e la genuinità, tra tutti, della piccola Pem Zam (Pem Zam, stesso nome della carinissima attrice), una bambina molto sveglia capitan(a) di classe che gli insegna che la semplicità nei gesti e nelle parole (e nei beni materiali) è l’arma migliore per fuggire da tutte le frustrazioni.

E lo rimpiange Ugyen, quando con una maglietta a maniche corte e la chitarra in mano a Sydney si rende conto di essere nel luogo sbagliato. E la musica che aveva camminato insieme a lui si sfalda nella completa apatia dei citizens australiani, perché tornare indietro soffrendo la mancanza della nonna (che alla fine non era poi così assillante), nel villaggio alla fine del mondo era il posto migliore per stare bene con i suoi simili (e forse con un nascente amore?) e apprezzare quel poco che la stessa natura offre. E magari la figura dell’insegnante non era poi così scomoda per costruire il suo futuro. Perché da tutte le esperienze, anche negative, si impara e i bei ricordi ritorneranno continuamente, in quei posti che se non uccidono fortificano.

VOTO: 7.5

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