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Giovedì, 28 Marzo 2024
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7 Prisioneiros è la chicca di Venezia 78 che mostra la qualità del cinema brasiliano

La recensione del nuovo film di Alexandre Moratto prodotto da Netflix e in concorso alla sezione Orizzonti Extra della Mostra del Cinema di Venezia

Il cinema brasiliano ha una grande qualità: sa essere semplice, reale, privo di qualsiasi tipo di artefatto estetico. Non è facile al giorno d'oggi trovare sul grande schermo prodotti che si spogliano della "bellezza" a favore della realtà ma ci sono alcuni film che sembrano voler dare spazio a qualcosa di più importante della sola estetica. 7 Prisioneiros, il film in concorso Orizzonti extra in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia, è uno di questi.

Prodotto da Netflix, scritto e diretto dal regista di Socrates e Goodbye Solo, Alexandre Moratta, questo film accende i riflettori su un tema delicato quanto importante in Brasile: il traffico umano e la schiavizzazione dei lavoratori. 7 Prisioneiros nasce dall'urgenza di Moratta di mostrare al mondo che dietro le saracinesche delle fabbriche, nei capannoni o dentro le mura di qualche vecchio edificio c'è gente ridotta alla schiavitù e allontanata dalla propria famiglia pur di riuscire ad aumentare la produttività di un'azienda e la ricchezza di un singolo individuo. È tutta una questione di soldi, di potere, di mancanza di opportunità che fa sì che i giovani disoccupati brasiliani si ritrovino (inconsapevolmente) a perdere la loro dignità perché credono che la libertà, o la ricchezza, non sia un diritto che gli spetti.  Quello della schiavitù industriale brasiliana è frutto di un sistema di disuguaglianza marcio all'interno che può essere sradicato solo attraverso la sua conoscenza e quello di Moratta è un piccolo passo verso questo obiettivo. 

Il regista di 7 Prisioneiros sceglie di affrontare il problema attraverso una forma d'arte e lo fa mettendo in scena la questione, rendendola di dominio pubblico, scegliendola come tema del suo spettacolo da proiettare davanti a un pubblico internazionale in un festival del cinema come quello di Venezia.

Il bello di questo film non è solo nella perfetta regia, nell'intensa interpretazione dei suoi attori (alcuni dei quali alla prima esperienza), nella sua crudezza, nel suo tema principale ma nel mostrare il problema da diverse prospettive senza mai puntare il dito verso qualcuno. Alex Moratta fa un grande atto di umanità non condannando i responsabili del traffico umano, distaccandosi al punto tale da mostrare che le loro ragioni sono valide tanto quanto quelle di chi si trova dall'altra parte. In questo film i carnefici diventano vittime e le vittime carnefici e non si riesce mai a individuare un "buono" o un "cattivo" nella storia perché questi ruoli vengono interscambiati dai personaggi a seconda delle opportunità che gli si presentano davanti. E se l'unico modo per salvare la propria famiglia fosse quello di diventare, da schiavi, schiavisti, cosa si farebbe? Se si avesse la possibilità di fare soldi vendendo e maltrattando le persone e questo fosse l'unico modo per sopravviere, cosa si farebbe? Probabilmente tutti passeremmo dal lato del male, pur essendo partiti da quello del bene e allora, ci sarebbe ancora la divisione tra buoni e cattivi?

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