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Giovedì, 18 Aprile 2024

Marianna Ciarlante

Giornalista

Tutto il bello di The Lost Daughter e delle "madri innaturali" di Venezia 78

Ci vuole coraggio a dire ad alta voce di essere una madre "innaturale", così come ci vuole coraggio ad ammettere che si sta meglio senza i propri figli e che parlare con loro al telefono non è poi così bello. Maggie Gyllenhaal questo coraggio ce l'ha e lo mette tutto nelle parole, negli sguardi e nelle scelte della protagonista del suo film di debutto alla regia presentato alla 78° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Si intitola The Lost Daughter e non è solo l'adattamento di un romanzo di Elena Ferrante, è un temerario e profondo racconto dal lato brutto dell'essere madri e della contraddizione che questo ruolo porta con sé a livello psicologico. 

Che la maternità sia uno dei temi centrali di questa edizione del Festival di Venezia è evidente. Ne parla Madres Paralelas, il film di apertura di Venezia 78 di Pedro Almodovar, il russo 107 Madri in concorso a Orizzonti, è un argomento che viene fuori in Competencia Official e come non citare Spencer di Larraín. Abbiamo visto tante mamme in questi giorni sui grandi schermi delle sale cinematografiche del Lido, molteplici ritratti di donne che, per scelta o no, hanno assunto questo ruolo nella propria vita. Contraddittorie, perfino egoiste ma di un'onestà di cui avevamo un tale bisogno da trovarle indispensabili. Il bello delle rappresentazioni cinematografiche delle madri di Venezia 78 è il loro realismo, l'essere tangibili, riconoscibili, ammirabili, vere. 

Ma torniamo a Maggie Gyllenhaal.

L'ex attrice di Donnie Darko fa un lavoro straordinario nella regia di The Lost Daughter. Non eccede mai, non esagera, lascia spazio solo ai dettagli significativi e lascia fluire il carattere dei personaggi dandogli piena libertà di espressione. Questo film mostra al pubblico tutta l'esasperazione di crescere due bambine piccole mentre si cerca di non mandare all'aria il proprio sogno, mostra l'egoismo, l'irrazionalità, il tradimento e quel legame materno che per quanto si possa odiare in alcuni momenti, una volta che lo si ha, resta inevitabilmente dentro di sé.

Sorprende la sceneggiatura di questo film e l'interpretazione di Olivia Colman e Dakota Johnson in due personaggi paralleli che potevano incontrarsi e notarsi solo nel momento in cui l'una poteva insegnare qualcosa all'altra e farle da esempio.

Maggie Gyllenhaal fa qualcosa che Pedro Almodovar con Madres Paralelas non riesce a fare: arriva al pubblico nonostante l'oscurità della sua protagonista e il suo essere una madre imperfetta, una madre che abbandona le sue figlie, che le lascia per pensare alla sua di felicità. Questa donna sceglie di essere una mamma egoista e in nome di quello stesso egoismo per cui lascia le figlie sole poi torna da loro perché "egoisticamente" le mancano. Giusto? Sbagliato? Ma chi siamo noi per giudicare!

Nessuna donna nasce madre. C'è chi ha un istinto materno più marcato, chi non ce l'ha per niente, chi scopre di averlo tardi e chi si pente di averlo avuto del tutto ma va bene così perché la contraddizione, l'egoismo, l'onestà fanno parte della vita e per una volta il cinema non ha avuto paura di mostrarlo. 

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