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Giovedì, 25 Aprile 2024
Film al Cinema

Till, la lunga battaglia di una madre per la giustizia

Il film di Chinonye Chukwu,ispirato a una storia vera, arriva nei cinema italiani il 16 febbraio

Nel marzo del 2022, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden firma l’Emmett Till Act, la legge contro il linciaggio intitolata a un ragazzo barbaramente ucciso 57 anni prima e la cui madre, da quel momento, ha portato avanti senza tregua una battaglia fondamentale per i diritti civili negli Stati Uniti. Di quegli eventi e di quella buona battaglia racconta il film Till di di Chinonye Chukwu, che arriva nei cinema italiani dal 16 febbraio con Eagle Pictures. A interpretare la protagonista del film, la coraggiosa Mamie Till è Danielle Deadwyler, Jalyn Hall è il suo sfortunato figlio Emmett ‘Bobo’ Till, mentre Whoopi Goldberg, coinvolta anche nella produzione, interpreta nonna Alma Carthan.

Till, la trama del film

Emmett Till, da tutti chiamato Bobo, è un ragazzino di quattordici anni vivace e sereno che vive con la madre Mamie a Chicago. La madre ha un buon lavoro, un uomo che le vuole bene, una bella casa e Bobo cresce tranquillo come ogni altro teenager finché un giorno non chiede di andare a trovare i cugini in campagna, nel Mississipi, in quelle terre da cui nonna Alma se ne è andata molti anni prima, ma che sono comunque le radici della famiglia. E’ il 1955 e nel Sud degli Stati Uniti la violenza razziale e la segregazione sono di fatto ancora la regola. La madre sa che non può impedire a un ragazzino che vuole crescere libero e senza timori una semplice gita per far visita agli zii, ma è preoccupata perché ciò che lei conosce del Mississipi il giovane Bobo, nato e cresciuto in una grande metropoli del nord, non può nemmeno immaginarselo. La madre gli spiega tutto quello che deve sapere, il ragazzino le assicura che ha capito e che seguirà le sue istruzioni che sono: “fatti piccolo”, anche se ‘invisibile’ sarebbe la parola più corretta. Quando, arrivato nel sud, Bobo con la sua serenità di ragazzino di città si permette di scherzare con una ragazza bianca al bancone dell’emporio locale, non può immaginare che sta andando incontro a una condanna a morte. Durante la notte un gruppo di uomini bianchi, assistiti da neri, irrompono nella casa dello zio di Emmett e portano via il ragazzino. Da Chicago la madre dà l’allarme e cerca aiuto nelle associazioni per i diritti dei neri per ritrovare il figlio, ma passeranno pochi giorni di ansia perché il cadavere di Bobo riaffiori da un fiume. Una volta arrivato a casa per il funerale sarà proprio quel cadavere, orrendamente sfigurato dalle violenze e gonfiato dall’acqua, a gridare l’ingiustizia subita da un ragazzo. E sarà la determinazione della madre a mostrare quella prova al mondo, ad aprire la strada per una lunga battaglia, che partendo da un tribunale del Mississipi ha coinvolto pian piano tutti i livelli istituzionali del paese, scuotendo l’opinione pubblica e dimostrando la necessità di una giustizia e di una parità di diritti che era ancora lontana dall’essere raggiunta.

Un film classico e senza sbavature per una storia da non dimenticare

Quando si ha a disposizione una storia così forte come quella di Emmett Till e di sua madre Mamie, della morte per linciaggio di un ragazzino di 14 anni e di una battaglia durissima, lunga decenni, di una madre che ha trasformato il suo dolore in una missione civile di giustizia, al netto del saper maneggiare bene la ‘macchina film’, non serve molto altro per coinvolgere ed emozionare il pubblico. E infatti, anche la regista Chinonye Chukwu pare scegliere la strada di mettere mano meno possibile a quello che già la sceneggiatura e ancor prima il materiale di base di questa agghiacciante storia vera ha di potente da raccontare. Le emozioni sono dunque tutte affidate a ciò che è realmente successo, all’ingiustizia subita da un ragazzino e al coraggio da leonessa della madre che, nel momento in cui viene messa davanti a tutto l’orrore di cui è vittima, decide di chiamare a testimone il mondo. Quello stesso mondo che, fino ad allora, ha potuto nascondersi dietro la scusa di ‘non sapere e non vedere’, ciò che succedeva ogni giorno nelle campagne del sud degli Stati Uniti. La scelta atroce di pubblicare le foto di quel cadavere martoriato, come succederà per altri gravissimi fatti di ingiustizia, anche in Italia, fu un grande schiaffo all’ipocrisia e rappresentò la scossa che mise in moto un terremoto delle coscienze e della consapevolezza.

Il cuore del film è tutto in quel momento, in cui quella donna sceglie di imboccare una strada da cui non sarà più possibile tornare indietro. Il doloroso dibattimento processuale in una sgangherata aula del Mississipi davanti a una giuria di maschi bianchi anziani da cui uscirà il verdetto che era facile aspettarsi, è solo il primo passo di un lungo cammino che Mamie Till ha percorso, un piede davanti l’altro, nonostante le bugie, nonostante la difficoltà, nonostante la prima lacerante imgiustizia. Una forza d’animo che nel film è raccontata affidandosi, come si conviene, ai primi piani stretti sulla faccia a volte addolorata, a volte rabbiosa, a volte consapevole, a volte fredda di Danielle Deadwyler. E praticamente, è tutto qui. Una storia importante, raccontata senza guizzi ma con una neutralità probabilmente voluta perché capace di raggiungere qualsiasi tipo di pubblico. Un prodotto per il grande schermo che rinuncia a sfruttare la potenza delle tante possibilità del cinema per non sbagliare, e che sarebbe stato quindi perfetto per la tv.

Voto: 6

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