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Sabato, 20 Aprile 2024
il caso

Quando in Rai le cose non vanno secondo copione

L'intervento di Fedez al concertone del Primo Maggio e l'accusa di censura nei confronti della Rai hanno acceso i riflettori su un "sistema" fatto di equilibri politici che ha radici profonde nella tv pubblica. Il rapper non ha scoperto né detto nulla di nuovo, semplicemente lo ha ricordato. E ha avuto la possibilità di farlo (non solo il coraggio)

L'incendiario discorso di Fedez al concertone del Primo Maggio ha messo tanta carne al fuoco. Non solo l'accorato appello per l'approvazione in Senato del Ddl Zan, ma anche la conseguente polemica su un monologo fatto senza contraddittorio e soprattutto la pesante accusa - con tanto di prova video - nei confronti della Rai, che avrebbe prima chiesto all'artista il testo, per approvazione, e poi lo avrebbe pregato di "edulcorarne il contenuto" evitando di fare nomi di partiti e politici. Richiesta non accolta, ma sputtanata in diretta tv e sui social, dove Fedez vanta 12 milioni di follower, senza contare quelli della moglie Chiara Ferragni e dei tanti colleghi e amici che hanno condiviso il suo intervento sul palco della Cavea, all'Auditorium Parco della Musica di Roma, scatenando un tam tam andato avanti per più di 24 ore e che non accenna a placarsi. Praticamente, in termini di platea, numeri che neanche le ultime 10 edizioni del concertone messe insieme si sono mai sognate di raggiungere. 

Un gesto, quello di Federico Lucia, definito da molti "rivoluzionario" per il coraggio di smascherare il "sistema" Rai e gridare alla censura. In realtà, però, dal vaso scoperchiato da Fedez non esce niente di nuovo. Che nella tv di Stato - lo dice il nome stesso - la politica faccia il buono e il cattivo tempo non è un segreto dal 1944, anno della sua nascita, quando prese il testimone dall'EIAR, che in epoca fascista era strumento di propaganda, diventando la spalla della Democrazia Cristiana. Una Rai che espulse Tognazzi e Vianello dopo uno sketch nel programma comico 'Uno due tre' in cui ironizzarono sulla caduta dell'allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi al Teatro alla Scala. Neanche con l'approvazione della legge 103, che nel '75 riformò la Rai garantendo il pluralismo dell'informazione, ci furono grandi passi in avanti. Il controllo passò dal Governo al Parlamento. Praticamente dalla padella alla brace, mentre nel '79 - dopo la nascita di Rai 2 e Rai 3 - si arrivò alla famosa 'lottizzazione', ovvero la spartizione delle tre reti fra i principali partiti: Rai 1 alla DC, mentre al Partito Socialista e al Partito Comunista andarono rispettivamente il secondo e il terzo canale. Ceppi antichi e profondi, dunque, quelli della politica nella tv pubblica, difficili se non impossibili da sradicare, che continuano a far germogliare (o seccare) direttori di rete e manager, ma anche conduttori. Basta pensare, per fare un esempio recente, ai due anni di stop di Antonella Clerici, fuori dalle grazie di Teresa De Santis, direttore di Rai 1 dal 2018 a gennaio 2020 in forza della Lega di Salvini, poi richiamata da un neo eletto Stefano Coletta, apprezzata punta Pd. 

Le nomine Rai arrivano dalla politica - e questo, lo ripetiamo, non è un segreto - perciò è difficile immaginare una tv pubblica totalmente libera, se non da censura quantomeno da condizionamenti partitici. L'elenco dei nomi è lungo, così come gli episodi che hanno richiesto un intervento censorio e quelli che hanno messo in imbarazzo i vertici, arrivando anche a far saltare teste. 

Stesso palco, stesso panico sull'episodio che vide coinvolti Elio e le Storie Tese al concertone del Primo Maggio 1991: la band attaccò con il brano 'Cassonetto differenziato per il frutto del peccato' per poi virare a sorpresa su 'Sabbiature', testo irriverente che denunciava alcuni dei più noti casi giuridici archiviati in Italia. Base del brano, un'inchiesta de L'Espresso in cui si cominciava a parlare di corruzione e mazzette in politica "facendo nomi e cognomi" (per parafrasare una citazione tanto cara all'ex premier Giuseppe Conte) dei politici dell'epoca, Andreotti in primis: di lì a poco sarebbe esplosa l'inchiesta Mani pulite. Ebbene, qualche minuto dopo l'inizio della performance, l'inquadratura si spostò all'improvviso su Vincenzo Mollica, presente nel backstage del concerto: il conduttore, disorientato, iniziò ad intervistare il chitarrista Ricky Gianco, mentre all'esibizione restò solo il volume bassissimo del sottofondo. Qualche anno dopo, intervistati da Daria Bignardi, i musicisti raccontarono di "un dirigente che ci dice 'voi con la Rai avete chiuso", per poi aggiungere con un mix di irriverenza e politically correct: "Scherzava evidentemente'". 

"Sbianchetti" è stata invece soprannominata Lorena Bianchetti dal noto critico televisivo Aldo Grasso dopo un episodio avvenuto nell'aprile 2009 col mago Silvan a Domenica In. "Questa è una bacchetta magica che poi presteremo anche a Berlusconi (allora Presidente del Consiglio, ndr)", disse l'illusionista durante una gag, in riferimento ai tempi di ricostruzione della città dell'Aquila, all'epoca tragicamente coinvolta dal terremoto. Bianchetti... sbiancò, il sorriso divenne maschera di cera e, mentre agitava nervosamente una mano in segno di voler placare rimostranze che nel frattempo stavano esplodendo nel backstage, prese subito la parola al termine dello sketch. Il filmato è ancora oggi un cult sul web: si vede la presentatrice che sottolinea come la battuta di Silvan "fosse assolutamente personale" e quanto invece fosse importante ringraziare "le istituzioni che veramente sono molto presenti sul campo". Una precisazione che "volevo personalmente fare", aggiungerà. 

Non si contano, poi, i comici che negli anni a Sanremo avrebbero dovuto camminare sulle uova, tenuti a bada molto spesso da 'indottrinati' direttori artistici o di rete, in modo da evitare la frittata politica. Con alcuni ci si riuscì, come Luca e Paolo che nel 2015 si limitarono a punzecchiare Renzi, oppure Crozza che due anni prima fu tutto sommato magnanimo con la parodia del Cavaliere. Missione fallita invece con Beppe Grillo, nell'89, quando andò oltre il monologo concordato sparando a zero sulla classe politica di quegli anni, compreso il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Per non parlare dei casus belli fatti esplodere, secondo i più maligni, ad hoc, come accadde ad esempio nel 2017 a Paola Perego nel programma 'Parliamone sabato', chiuso dopo un servizio che spiegava perché gli uomini italiani preferivano le donne dell'est. Purghe staliniane che servirebbero per eliminare il personaggio scomodo di turno, sempre politicamente parlando, seguito dal consueto infinito scarico di responsabilità. 

Nessun nero pubblicitario, nessuno stacco (e, nei fatti, nessun diktat, va precisato), invece, per Fedez, ultimo paladino dell'anti-censura ed emblema di un'epoca, quella dei social network, in cui le personalità popolari sono abituate (finalmente e democraticamente) a comunicare col proprio pubblico senza la mediazione più o meno schierata e filtrata del piccolo schermo. L'altroieri Fedez ha trattato Rai Tre come fosse Instagram, trascinando il piccolo schermo nell'attivismo performativo dei social e fregandosene di qualsivoglia attivismo partitico. Il video del suo intervento sul palco del Primo Maggio ha raggiunto le 14 milioni di visualizzazioni su Instagram, due milioni invece le views per la telefonata tra il rapper e lo staff di Rai Tre. Una viralità impensabile ai tempi degli Elii, quando il tam tam social non era ancora un miraggio nella testa degli informatici più visionari e Mark Zuckerberg aveva appena sette anni. Ma quando, ormai trent'anni fa, la musica era sempre la stessa...

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