rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Today

Today

Redazione

Francesca Michielin e il problema della Resistenza "brandizzata" Prada

"Oggi inizia la resistenza, buongiorno a tutt3". Scrive così su Twitter la cantante Francesca Michielin all'indomani della vittoria della destra di Giorgia Meloni alle elezioni. Francesca Michielin che su Spotify ha un podcast femminista che si chiama "Maschiacci", che mesi fa aveva una trasmissione ambientalista chiamata "Effetto terra" e che, in quest'era mediatica, è sempre ben posizionata tra "quelli che ben pensano" dei temi d'attualità più discussi. Che è, insomma, non più solo cantante ma vera e propria influencer dotata di grande puntualità. E che, il giorno dopo aver lanciato la resistenza via social, era, altrettanto puntuale, all'evento di Prada a margine della Milano Fashion Week (evento patinatissimo ma anch'esso "all'insegna della sostenibilità", ovviamente). Una resistenza brandizzata, insomma.

Ora, non è nostra priorità intentare un processo alle intenzioni di Francesca, la quale nutre certamente reale buona fede negli ideali di cui si circonda. Né è priorità accrescere le fila dei suoi oppositori, i quali giustamente ritengono che sia un filo pretenzioso scomodare la Resistenza e le relative rappresaglie, se si sta inviando il proprio grido di battaglia "dall'iPhone 14 Pro Max, mentre si è comodamente seduti su un divano Carpanelli in un attico a Citylife". Tantomeno sottolineeremo l'impietoso paragone con la vera resistenza che tutti abbiamo negli occhi in questi giorni, ovvero la marcia delle donne in strada in Iran (anche perché sennò verremmo accusati subito di "benaltrismo"). Né - infine - evidenzieremo che "resistere" contro il 44% degli italiani in democrazia si chiama opposizione e non Resistenza.

Ma quello che ci preme invece sottolineare è come certe gaffe degli influencer, ai quali abbiamo clamorosamente affidato il dibattito intellettuale della campagna elettorale, stiano rischiando, in alcuni casi, di "influenzare" male quelle sacrosante battaglie sociali alle quali invece vorrebbero fare bene. Basti ripensare a certe dichiarazioni approssimative sul femminismo di Elodie (che ritiene di combattere gli stereotipi di genere accusando Meloni di essere "poco donna" perché violenta, ovvero rafforzandoli lei stessa) oppure allo scempio delle parole pronunciate da tale Giulia Torelli (che ai suoi 214mila follower dice che "i vecchi non devono votare perché sono rincogli*niti", ovvero perché, a differenza dei giovani cresciuti a pane e attivismo social, votano a destra). 

Tornando specificatamente a Michielin, anzitutto serve una premessa: da quando è diventata influencer? Rispondiamo subito. Michielin è diventata influencer da quando ha gradualmente orientato il suo percorso professionale verso la sensibilizzazione su temi legati ai diritti civili e alla causa ambientale, mixando il tutto con la carriera da cantante e polistrumentista. E, siccome influencer di professione è chi influenza opinioni, Michielin non è più solo un'artista. La sua è una scelta professionale ben precisa. Una scelta professionale "mista" che però è drammaticamente caduta in un errore di comunicazione quando, a distanza di poche ore, ha condiviso appunto sul suo profilo Instagram prima un appello da partigiana e poi, subito dopo, quello da ospite d'onore di uno dei brand più lussuosi del globo. 

Un errore che è simbolico, non tanto per il suo personaggio, quanto per l'intero sistema che le gravita attorno. Perché racconta quanto l'attivismo di oggi sia patinato. E quanto questo contribuisce a rinvigorire, ancora una volta, quel cliché che vede contrapposte da un parte una "élite liberale", che si preoccuperebbe dei diritti altrui, e dall'altra un "popolo che vota a destra" e che invece si interesserebbe a tutt'altri egoismi. Il tutto, senza che il "presunto popolo" riesca a credere fino in fondo alle buone intenzioni della élite. Ed il tutto, senza che la presunta élite si interessi di comprendere quali sono le urgenze che hanno portato il 44% degli italiani a non considerare prioritaria la battaglia per la "e" rovesciata alle urne: ovvero, consentendosi spesso uno snobismo che è l'esatto opposto dell'attivismo. 

Vendesi ideali (su Instagram). Processo alle intenzioni degli influencer, anzi attivisti, anzi imprenditori 

L'attivismo è il contrario dello snobismo, ma troppe influencer se ne dimenticano 

Dello snobismo non fa certo parte Michielin nello specifico, ma parecchie colleghe. Un esempio. Intorno alla mezzanotte di lunedì 26 settembre, ovvero nell'orario in cui s'era ormai capito che quella di Meloni era una vittoria assoluta, un gruppo di femministe "influattiviste" - neologismo dietro cui si annidano coloro che hanno fatto dell'attivismo una vera e propria professione "social" ben retribuita - si sono riunite in diretta per ubriacarsi goliardicamente per protesta. "Domani espatrio", e giù calici di rosso con un ghigno di ostentato distacco. Da una parte c'erano insomma loro, social-femministe, pseudo maestre di vita alla Do Nascimento, con una indignazione strabordante dagli occhi color mascara, sdegnate del fatto che non tutti i 60 milioni di italiani avevano accolto l'allerta Meloni che da mesi lanciavano nella loro "bolla social". Dall'altra c'era l'altra metà del Paese, con una indignazione che si era tradotta in una "x" apposta sul partito di Fratelli d'Italia e che, nei mesi di campagna elettorale, mai aveva trovato una celebrità disposta a fare endorsement al loro partito. Due mondi agli antipodi, l'uno contro l'altro ripugnanti.

Eppure è proprio grazie alla Rete che, in questi anni, la battaglia in favore dei diritti civili aveva fatto finalmente passi in avanti verso la coscienza collettiva e, quindi, passi indietro rispetto all'immagine di "cosa da radical chic dei Parioli" (Emma Bonino). Poi tutto è diventato vetrina, piedistallo. Ovvero mancato dialogo in quella piazza virtuale che non avrebbe nulla da invidiare a quella reale.

Come sottolinea insomma Selvaggia Lucarelli, ci sarà da valutare in futuro, o forse proprio oggi, quanto può far male al dibattito il contributo di personalità come Giulia Torelli, influencer che influenza insegnando sui social il decluttering (ovvero come si mettono in ordine gli armadi) e alla quale abbiamo regalato la presunzione di sentirsi nel giusto quando dice che "i vecchi non devono votare perché sono dei rincoglioniti" (perché votano a destra, appunto). Presunzione che, fa ben notare la social media manager Serena Mazzini, appartiene ad un nuovo "classismo" che neanche corrisponde a verità, se si pensa che, a sorpresa, a destra c'ha votato anche il 30% degli under 25 (già, proprio quegli under 25 che la narrazione comune voleva appartenenti alla "rivoluzionaria" generazione z). 

Se i diritti sono diventati un prodotto

Ci sarà insomma da riflettere in futuro, o forse proprio oggi, su quanto anche il concetto di personalismo sia opposto a quello di attivismo. E su quanto invece, proprio nel concetto di personalismo, le influencer sono costrette ad attingere per antonomasia, poiché di professione vendono loro stesse. Su quanto c'è di genuino in coloro che dei diritti fanno un prodotto, ovvero un contenuto utile a generare engagement (ovvero coinvolgimento degli utenti, ovvero follower, ovvero profitto), in quest'epoca in cui l'attivismo è virale e, dunque, garantisce ben retribuita viralità. È inevitabile, ad esempio, che ci si domandi perché Chiara Ferragni ha fatto campagna elettorale contro Meloni, per poi sentire l'urgenza di prendere pubblicamente le distanze da Giuseppe Conte, per poi (però) guardarsi molto bene dal fare endorsement verso un partito specifico.

Ci sarà da riflettere su quanto certe gaffe, certe iperboli e certi piedistalli possano danneggiare la comunicazione di certi messaggi. Perché quando le battaglie sociali diventano utili alla profilazione del proprio personal branding, ovvero del proprio profitto, ovvero del proprio businness, è inevitabile che si creino perplessità tra il pubblico e legittimi processi alle intenzioni.

Si parla di

Francesca Michielin e il problema della Resistenza "brandizzata" Prada

Today è in caricamento