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Martedì, 23 Aprile 2024
Cinema

Favino come Proietti: un sonetto per salutarlo. Nel 2003 fu il Maestro a omaggiare così Sordi

17 anni fa i versi letti davanti a migliaia di persone a piazza San Giovanni. Oggi per i romani un triste déjà vu

Era il 27 febbraio del 2003 quando su un palco allestito a Piazza San Giovanni, a Roma, davanti la Basilica dove si erano appena svolti i funerali di Alberto Sordi, Gigi Proietti lesse davanti a migliaia di romani un sonetto dedicato al suo maestro, ignorando - forse - che da quel momento sarebbe diventato lui il custode di una romanità in grado di unire - su un set, in uno studio televisivo o in un teatro - generazioni e regionalità diverse. Oggi, 17 anni dopo, con la sua morte si riapre la corsa a un'eredità così importante, anche se davanti a tanta unicità nessuno si sente di raccogliere il testimone. 

Quel giorno, in pochi versi, Proietti riuscì a sintetizzare il dolore di un'intera città, lo stesso dolore che da questa mattina - all'alba dei suoi 80 anni - ha improvvisamente invaso di nuovo Roma. "Lo voglio salutare sinteticamente, con 4 versi - aveva detto commosso - Alberto mi perdonerà, forse non saranno nobilissimi, ma fanno parte di un sonetto. Il sonetto, come molti sanno, è stato nella nostra città un modo di comunicare, di annunciare nascite, morti, riappacificazioni. Pochi versi, perché tanti discorsi non li so proprio fare".

"Io so sicuro che nun sei arivato ancora da San Pietro in ginocchione,
a mezza strada te sarai fermato a guardà sta fiumana de persone. 
Te rendi conto sì che hai combinato? 
Questo è amore sincero, è commozione, 
rimprovero perché te ne sei annato, rispetto vero, tutto per Albertone. 
Starai dicenno 'ma che state a fa? Ve vedo tutti tristi, ner dolore' e c'hai ragione. 
Tutta la città sbrilluccica de lacrime e ricordi, 
che tu nun sei sortanto un grande attore, 
tu sei tanto de più, sei Alberto Sordi"

Il sonetto di Pierfrancesco Favino per Gigi Proietti

Non potrà esserci la stessa folla gremita per l'ultimo saluto a Gigi Proietti, che non solo se n'è andato nel giorno del suo compleanno, ma di un anno tremendo del quale spesso, negli ultimi mesi, aveva parlato, isolato da marzo nella sua casa romana per paura del virus. Anche lui, però, ha il suo sonetto, scritto da un altro romano doc, Pierfrancesco Favino.

"Però 'n se fa così, tutto de botto.
Svejasse e nun trovatte, esse de colpo a lutto.
Sentì drento a la panza strignese come un nodo
Sape' che è la mancanza e nun avecce er modo
de ditte grazie a voce pe' quello che c'hai dato
pe' quello che sei stato, perché te sei inventato
un modo che non c'era de racconta' la vita
e ce l'hai regalato così un po' all'impunita,
facendo crede a tutti che in fondo eri normale,
si ce facevi ride de quello che fa male,
si ce tenevi appesi quando facevi tutto,
Parla', balla', canta', pure si stavi zitto.

Te se guardava Gi', te se guardava e basta
come se guarda er cielo, senza vole' risposta.

All'angeli là sopra faje fa du risate,
ai cherubini imparaje che so' le stornellate,

Salutece San Pietro, stavolta quello vero,
tanto gia' ce lo sanno chi è er Cavaliere Nero".

Però ‘n se fa così, tutto de botto. Svejasse e nun trovatte, esse de colpo a lutto. Sentì drento a la panza strignese come un nodo Sape’ che è la mancanza e nun avecce er modo de ditte grazie a voce pe' quello che c’hai dato pe' quello che sei stato, perché te sei inventato un modo che non c’era de racconta' la vita e ce l’hai regalato così un po’ all’impunita, facendo crede a tutti che in fondo eri normale, si ce facevi ride de quello che fa male, si ce tenevi appesi quando facevi tutto, Parla’, balla’, canta’, pure si stavi zitto. Te se guardava Gi’, te se guardava e basta come se guarda er cielo, senza vole’ risposta. All’angeli là sopra faje fa du risate, ai cherubini imparaje che so’ le stornellate, Salutece San Pietro, stavolta quello vero, tanto gia’ ce lo sanno chi è er Cavaliere Nero.

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