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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cinema

Giulio Andreotti e il cinema: dalla guerra al neorealismo a "Il Divo"

Dal giudizio negativo con "Umberto D." alla comparsata ne "Il Tassinaro" di Alberto Sordi fino al ritratto in nero firmato da Paolo Sorrentino: un rapporto lungo e tormentato tra Andreotti e la cinematografia italiana

Più di ogni altro politico, Giulio Andreotti, morto a Roma a 94 anni, ha legato il suo nome e la sua figura al cinema italiano.

Giovane sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo nei primi anni Cinquanta, fu molto criticato per il suo giudizio sferzante sul neorealismo. "I panni sporchi si lavano in famiglia", è la celebre battuta che in molti gli hanno attribuito ma che lui ha sempre smentito. Resta però il commento scritto contro "Umberto D." di Vittorio De Sica, comparso su "Il Popolo": "Se nel mondo si sarà indotti, erroneamente, a ritenere che quella di 'Umberto D.' è l'Italia della metà del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla patria, che è la patria di don Bosco, di Forlanini e una progredita legislazione". Restano anche le accuse di aver "sabotato" il neorealismo con censure, finanziamenti negati o ridotti, come raccontato da Giovanni Sedita in un saggio recente dal titolo "Giulio Andreotti e il neorealismo. De Sica, Rossellini, Visconti e la guerra fredda al cinema" (pubblicato sulla rivista Nuova Storia), che cerca di dimostrare la morte del neorealismo come conseguenza dell'azione costante di Andreotti volta a favorire la "cristianizzazione" della cinematografia italiana per strapparla all'egemonia culturale del Pci.

Giulio Andreotti e il cinema

Diversamente dagli altri colleghi di partito, Giulio Andreotti non ha mai fatto mistero di amare il cinema e non sono poche le immagini che lo ritraggono sorridente a fianco di attori, registi e presentatori tv. L'unica apparizione cinematografica accreditata è quella nel film di Alberto Sordi "Il Tassinaro", nel quale Andreotti interpreta se stesso, passeggero a bordo del taxi Zara 87, discettando con la consueta ironia tagliente di politica e calcio. Erano i primi anni Ottanta e sembrava che la Democrazia Cristiana dovesse e potesse durare in eterno.

Poco più di mezzo secolo (niente, per chi ha attraversato l'intera storia politica e culturale dell'Italia dal dopoguerra ad oggi) e la figura di Giulio Andreotti al cinema si sovrappone a quella fosca e oscura creata da Paolo Sorrentino ne "Il Divo". Il ritratto in nero che il regista partenopeo non piace al Divo Giulio, che dopo averne visto l'anteprima sbottò: "È una mascalzonata". Salvo poi correggere il tiro pochi giorni più tardi, con il consueto aplomb: "Ho esagerato, le mascalzonate sono ben altre. Questa la cancello". 

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