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Martedì, 23 Aprile 2024
L'intervista a today

Luca Ravenna e la nuova comicità (che riempie i teatri): "Scacco matto al complottismo e non solo"

Dal passato da cleptomane alla madre no vax. Dagli inizi su Internet al futuro da "comico vecchio e stanco ma pieno di soldi". Passando per quella nuova "scuola romana" di comici che, partita dal basso, sta riportando pubblico in platea (dopo anni). L'intervista allo stand up comedian, in tour con il nuovo live show "568"

"Vorrei mettere Massimo Gramellini e Michele Serra su un treno regionale e vedere che cosa succede. È quella la prova del nove. È lì che cade chi ha grandi ideali".

Nuovi stereotipi finora inevasi e pronti ad essere esorcizzati in veste comica nel nuovo live show "568" di Luca Ravenna. Che, insieme con i colleghi di quella che potremmo definire la nuova "scuola romana" della comicità (da Michela Giraud a Edoardo Ferrario a Valerio Lundini)  rinnova finalmente il repertorio dell'umorismo, da anni stantio ed ammuffito su battute cliché tra suocere insopportabili e campanilismi vari. E che, sempre insieme con gli stessi colleghi citati sopra, è riuscito nella missione impensabile (fino a qualche anno fa): ovvero riportare i giovani in sala, aspirazione talmente anelata da diventare negli anni un vero e proprio adagio ("Ieri sera, a Palermo, il gestore del teatro continuava a ripetermi quanto fosse incredibile vedere tanti ragazzi in platea", racconta lui, noto al pubblico generalista per la partecipazione Lol 1). 

Un doppio rinnovamento, insomma. Nato virtuale, tra YouTube e Podcast (con gavetta nei peggiori bar della Capitale) e tornato poi al piano reale: ovvero facendo il percorso opposto rispetto a ciò che è tradizione. E nato grazie a quella che è la chiave di volta della stand up comedy: via le maschere tipiche del cabaret, che hanno spesso portato ad un appiattimento per inerzia, benvenuto al punto di vista del comico. Intimista e dunque necessariamente originale anche quando si tratta - paradossalmente - di sfottere un comune sentire. La quarta parete praticamente non c'è più. È sfondata.  

Si va dal complottismo alle "diaboliche" cene di coppia.

"Mi sono chiesto quale fosse il più grande stereotipo a 34, 35 anni. Che è la mia età. Ed ho pensato alle coppie intese come quella cosa maligna che diventano ad un certo punto: siccome siamo un Paese con profonde radici medioevali, infatti, quando una coppia supera una certa durata di tempo inevitabilmente costruisce la propria rocca, diventa come un cattivo signorotto che fa guerra alle altre altri in modo passivo-aggressivo: fa caso a chi ingrassa, fa caso a chi spende di più rispetto a quello che dice di guadagnare". 

E come si fa scacco matto ai complottisti, invece? 

"Arginarli è impossibile. Chi è complottista lo sarà per sempre. Anche quando un complotto verrà svelato, infatti, dirà che è stato svelato perché era quello più debole, mentre quelli che sono davvero forti non vengono rivelati. Nello show vado avanti per iperbole. Tutto questo per gestire mia madre, che è una mega no vax". 

Altrettanto autobiografica è la storia della tua cleptomania, nei supermercati e non solo. E non nasceva certo da ragioni economiche. 

"Non rubavo per dare a mia madre, come si usa dire nel rap. Ho avuto una infanzia bellissima io. E, come tutti i bambini che hanno avuto una infanzia bella, devono crearsi dei traumi. E' ciò che ho capito crescendo, anche guardando agli amici: se sei molto fortunato e non hai problemi reali, ti inventi altro". 

Cosa rubavi?

"Ero un ladro di mer*a: rubavo anche ai miei amici. Di tutto. Ho sempre tenuto questo vizio, fino ai 25 anni, quando poi è stato troncato in modo terribile. Il 'come', lo spiego nello spettacolo". 

E, tra i tanti temi, come si inserisce Michele Serra?

"Un giorno ero, appunto, su un treno regionale e mi sono trovato faccia a faccia con le mie convinzioni, che poi sono quelle di molti, ovvero con i miei ideali di grande apertura e di amore per lo 'straniero'. Ma è quando sei sul treno regionale che scopri chi sei veramente, quale persona sei davvero. Così mi sono domandato se Michele Serra farebbe mai una Amaca su un treno regionale". 

Perché si perde facilmente la pazienza?

"E perché non puoi farlo vedere. Non puoi fare alcun cenno". 

Vivi a San Lorenzo, a Roma. Quartiere bohémien.

"Qui trovo molti spunti comici. Sono nato e cresciuto a Milano. A Roma sono arrivato nel 2006, dove mi sono diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia. Roma è una città bellissima dove raccontare storie e Milano è il posto in cui portarle. Vivo diviso tra le due". 

Che vita fa un comico in tour?

"Mi sveglio al mattino prestissimo, verso le sei e mezza. Poi faccio colazione. E poi è tutta una lenta attesa di andare a dormire al pomeriggio. Che è l'unica cosa che mi calma, in vista della serata". 

Tre anni fa, quando la stand up comedy è esplosa tra virtuale e reale, si è imposta come comicità generazionale dei Millennials. Come alternativa intellettuale all'umorismo più dozzinale. E' ancora così? 

"Lo show è spiccatamente indirizzato verso persone della mia età o più giovani, ma è anche trasversale. Il pubblico è eterogeneo, l'ho notato specialmente nelle serate di Milano. E ne sono contento". 

Per citare l'adagio di cui sopra, la stand up ha riportato giovani in teatro. Dal virtuale al reale, dal podcast alle arene piene. Da ex studente del Centro Sperimentale, ti sei fatto una idea di come le sale cinematografiche, che sembrano persino più moribonde di quelle teatrali, potrebbero fare lo stesso percorso? 

"Vorrei rispondere come hanno risposto un miliardo di stronzi interrogati sulla stessa domanda. Quegli stronzi dicevano che «bisogna ripartire dalle idee, sono le idee la cosa he conta» e, nella loro stronzaggine, avevano ragione. Ma sono anche le stesse persone che hanno reso il cinema ombelicale, quasi come la letteratura". 

Ovvero?

"Se tu oggi parli di cinema al pubblico, non puoi fare riferimento al cinema contemporaneo, ovvero a quello relativo agli ultimi dieci anni, perché nessuno sa di cosa stai parlando. Puoi parlare di Gabriele Muccino e di Roberto Benigni, ma non vai oltre. Oggi come oggi, il cinema italiano non c'è. E' un'arte che si è persa nella rappresentazione di ciò che sta al di fuori della chiacchiera degli addetti ai lavori. Bisognerebbe invece guardare un po' fuori e non solo dentro. Ad oggi, tre quarti delle storie italiane rappresentate nei film sono sui tradimenti, come se l'unico dramma dell'umanità fosse tradirsi". 

Servirebbe un moto spontaneo forse, com'è stato per la comicità. Ravenna, Fanelli, Giraud, Ferrario, Lundini. Com'è stata, da dentro, la scalata verso il rinnovamento del genere? 

"Io scrivevo con i The Pills (collettivo romano da un milione di visualizzazioni a video su YouTube, nel 2014, ndr). Loro hanno fatto per la comicità underground quello che I Cani hanno fatto per la musica underground. Far parte di questo 'movimentino' è una grande soddisfazione, soprattutto perché è partito appunto dal basso. E a Roma questo accade, sia per la musica che per la comicità. A Roma c'è la possibilità di crescere erbacce e diventare un giardinetto. A Milano invece succede che, non appena qualcosa accade, si tende a brandizzare". 

C'è stato tra tutti supporto reciproco, contaminazione, potrebbe esserci un manifesto comune?

"C'è molto rispetto tra tutti. C'è molta competizione, sana e malsana. Di base ci siamo sempre tutti annusati, osservati. Guardavamo reciprocamente i nostri spettacoli. E dalla contaminazione non può che nascere qualcosa di positivo. Più invece separi, più tieni per te e più diventi finto, di plastica". 

Un nome valido che ancora non si è "piazzato" a livello generalista?

"Daniele Tinti. Che tra l'altro è quello che ha creato il primo podcast sulla comicità in Italia, ovvero Tintoria. Credo che il suo spettacolo Dilemma sia lo spettacolo comico più bello che c'è ora in Italia. E' mio amico, è romano, è ancora limitato al pubblico romano, ma guardando il suo ultimo live c'è da tenersi la pancia dal ridere". 

E invece la vecchia generazione di comici con quale approccio si relaziona a voi? Rivalità, timore, stima? 

"Non c'è un gran contatto. Anche perché c'è questa storia della stand up che è un po' invisa a chi ha fatto il grande cabaret che ha un po' eroso col tempo la vena comica (Zelig e cose simili). E poi raramente i milionari  hanno voglia di andare nella bettola a vedere i ragazzini". 

Qualche nome noto che hai visto seduto in prima fila ad un tuo show?

"Anni fa venne il Mago Forrest ad una serata che organizzavo al Teatro Parenti di Milano ed ero stato contentissimo. E' venuto un paio di volte anche Claudio Bisio. In generale penso che, adesso che riempiamo i teatri più grandi, possano sentire un po' di pressione, com'è normale che sia. Ed è bene che sia così, altrimenti non si puo' andare avanti all'infinito a vedere lo stesso comico, lo stesso copione. La comicità è una cosa che ad una certa devi smettere". 

Un comico non è per sempre?

"Lo dico anche per me. Non puoi far ridere allo stesso modo a 30 e a 60 anni. Dovresti riuscire a cambiare registro, per far ridere ancora. Il tempo passa e la comicità si basa sul tempo, alcuni meccanismi si inceppano. L'obiettivo è diventare in futuro stanchi e lenti ma pieni di soldi". 

E poi, nella generazione dopo di voi, c'è TikTok. Una comicità schizofrenica e collettiva. Una sorta di "memizzazione dell'homo sapiens". Da parte di gente comune e di creator dedicati, come Mattia Stanga, per dirne uno. Ideale per chi ha una soglia dell'attenzione molto bassa. Come ti poni rispetto al fenomeno? 

"Come tutti, ho sviluppato una totale dipendenza dal cellulare. Non gestisco direttamente TikTok, lo fa il mio social media manager. Carichiamo alcuni pezzi di stand up che però, tendenzialmente, non funzionano. Perché è difficile restituire un pezzo di stand up in quella schizofrenia. Non ho l'età né il mood di farlo. Ma vedere così tanti giovani che usano in modo creativo TikTok agli spettacoli mi fa pensare che è comunque conferma di quanto la risata dal vivo abbia ancora un effetto più forte".  

Perché dovreste scaricarvi (e perché no) TikTok, anche se avete più di 20 anni 

La serata col pubblico più difficile della tua vita?

"A Sabaudia. Nel corso di una serata evento organizzata da una rivista ed incentrata su incontri a metà tra il giornalismo e la politica, ma prima c'era mezz'oretta di comicità. Ebbene, Sabaudia è un posto in cui il fascismo non fa per niente ridere, anzi scorre nelle vene. E presentarsi come ho fatto io, cioè dicendo 'Buonasera, mi chiamo Luca Ravenna. E Ravenna è un cognome di origine ebraica', mi ha regalato 29 minuti che non posso dimenticare". 

Cosa accade nella testa di un comico quando il pubblico non ride?

"Si va alle misure di emergenza. Se sai fare le voci, cominci a farne una dopo l'altra. Sei come un pugile che non ci vede più e comincia a sparare colpi a caso. Ma giuro che mezz'ora di spettacolo così è lunga. Mezz'ora con ultraottantenti che ti vogliono mangiare la faccia perché vorrebbero sentire invece la Santaché che vuole uccidere la Boldrini. Sono minuti molto lunghi. Sudi come una spugna". 

A chi fai leggere pezzi per capire se funzionano o meno?

"A nessuno. Perché ho la fortuna di aver organizzato delle serate super unplugged".
 
Sai qual è la parola chiave più ricercata in associazione al tuo nome su Google?

"Fidanzata Alice (Oliveri, ndr)". 

Esatto. Giornalista, si occupa anche lei di spettacolo, ha irresistibile ironia (che su Twitter è seguita da 8mila persone). C'è mai stata una qualche forma di collaborazione ai testi?

"Le rubo molto di quello che dice. E che posso ripetere. Lei è una super comica, è un genio comico molto più cinico di me. Devo ammorbidire molto quello che dice. Ma anche lei aspetta di vedere, più che di leggere. Non faccio leggere i miei testi dal 2015". 

C'è qualcosa su cui ancora non hai trovato modo di scherzare?

"Magari. Ma di sicuro non mi sono mai posto il dubbio sui temi. O meglio non mi sono mai detto: "su questo tema non si puo' scherzare". Se ti viene questo dubbio, è perché devi scherzarci meglio". 

E' la tua posizione su politically correct. Immancabile domanda da un paio d'anni a questa parte nelle interviste ai comici. Anche se tu - mi sembra di capire - ritieni che non esiste. O meglio, sostieni che si può scherzare di tutto purché ci si prenda la responsabilità di farlo di fronte ad un pubblico e non su Twitter. 

"Se un comico sa dire una cosa, lo scopre sul palco. Tu pubblico hai pagato, hai il super potere di non venire mai più a vedermi, che è il massimo che si può fare, perché io non guadagno, non mangio e muoio. Io invece ci proverò, quanto meno, a dirtela quella cosa. E non per far ridere te ma per ridere insieme. Spesso ci si scorda che, sul palco, si diverte tanto anche il comico".

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