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Venerdì, 29 Marzo 2024
L'intervista

"Il mio Christian di Sky è come un profeta nella sua arca"

Intervista a Stefano Lodovichi, regista della serie tv Christian, che per noi sarà la nuova Gomorra

PREMESSA: Questa intervista è stata realizzata prima dell'uscita degli ultimi due episodi di Christian, quindi non ci sono spoiler del finale. O quasi, insomma…

"Vengo dalla provincia, da Grosseto, e come tutti quelli che vengono dalla provincia ho dovuto trovare la possibilità di arrivare, di essere accolto da mamma Roma. Perché se vuoi fare cinema è qui che devi arrivare".

Stefano Lodovichi, 38 anni da Grosseto, oggi vive e dirige a Roma, è un regista con un curriculum notevole, ma il suo amore per il cinema è nato lì, nella provincia, dove "Francesco Falaschi è stato il primo a portare il cinema da noi, con i suoi film, i suoi festival, quindi se eri incuriosito avevi la possibilità di iniziare qualcosa".

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E lui, ovviamente, era incuriosito e ha iniziato. "Come runner e assistente, ho fatto un paio di lavori. Poi mi sono iscritto a critica del cinema a Siena, e mentre studiavo facevo esperienza sul set. Ho lavorato all'opera prima di Carlo Virzì, L'estate del mio primo bacio, poi a un film americano, Letters to Juliet, in quel caso facevo il runner per la scenografia.

E così ho potuto accumulare esperienza in vari ambiti, dalla scenografia alla fotografia e ai costumi. Quando mi sono laureato, sono andato a Roma e lì sono stato molto metodico, forte degli insegnamenti di mio padre che diceva "datti dei tempi e degli obiettivi precisi, se riesci bene se no torni a casa e fai altro".

Io mi sono detto che dovevo riuscire a scrivere e a realizzare un film. Grazie a mio fratello Lorenzo, che lavora nel mondo dell'animazione, ho conosciuto lo sceneggiatore Davide Orsini e con lui abbiamo scritto Aquadro. Rai Cinema ha creduto nel progetto e ci ha dato un budget che ci ha permesso di realizzare Aquadro. Da lì, piano piano, è iniziato tutto".

Ed eri giovanissimo…

"Sì, devo dire che per fortuna l'età media dell'esordio di registe e registi si è abbassata molto negli ultimi anni. Quando ho iniziato io avevo 29 anni ed ero un caso speciale, adesso invece ci si può credere anche sotto i 30 anni"

A proposito di giovani, tra un episodio e l'altro di Christian in famiglia abbiamo cercato informazioni su di te e abbiamo letto la trama del tuo film La stanza con un misto di interesse e paura…

"Sì, beh capisco il thriller, la suspense, ma no, La stanza non fa paura. È un monito per tutti i genitori che parte da una premessa comica: se tu sapessi che tuo figlio torna da te dal futuro ed è incazzato nero, come ti comporteresti?"

Io personalmente scapperei per non incorrere nelle ire di mia figlia...

"Io non ho "figli miei", ma sono sposato con Camilla (l'attrice Camilla Filippi, da noi vista di recente nel bellissimo film Il grande passo, ndr) che aveva già due figli, e convivendo ormai da anni possiamo definirci una famiglia moderna, allargata, in totale armonia: ecco, un film come La stanza sono riuscito a farlo solo da quando sono diventato una figura genitoriale. La prima grande svolta nella mia vita è stata la morte di mia madre, perché una volta che ti manca un genitore e ti confronti con il tuo ruolo di genitore ti rendi conto di come le cose cambino…"

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E dopo La stanza, siamo arrivati a Christian. Come sei entrato nel progetto, e cosa hai pensato quando hai letto il fumetto Stigmate di Mattotti e Piersanti?

"Beh io sono un grande lettore di fumetti, Mattotti lo stimo da tantissimi anni e Stigmate lo conoscevo già da prima. Diciamo anche che Christian è liberamente ispirato a Stigmate, ma non è quello.

L'idea della serie è di Roberto Saku Cinardi, che ha anche diretto un episodio, e ha creato Christian con Valerio Cilio, headwriter della serie, ed Enrico Audenino, e permettimi qui di citare anche gli sceneggiatori (insieme a Cilio e Audenino) Patrizia Dellea e Renato Sannio. Io sono entrato come showrunner e come lead director (regista principale) quindi ho potuto non solo supervisionare il progetto, parlare di budget con la produzione, ma anche poter creare un linguaggio e dare uno stile, un'atmosfera, un mood a Christian.

Una situazione di grande impegno, in cui mi sono trovato davvero molto bene perché ho avuto modo di esprimermi. Avevo già collaborato con Lucky Red per La stanza e Il Processo e con Sky per In fondo al bosco, quindi avevo già la loro fiducia, però comunque avere in mano una produzione così originale e così particolare per l'Italia era una grande scommessa. Da parte mia, mi sono divertito a portare la mia voglia di mixare mondi e linguaggi per creare qualcosa di originale"

E direi che ci sei riuscito, come ho scritto nella recensione dei primi quattro episodi per cui mi hai taggato su Instagram: vuol dire che ho attirato la tua attenzione con il rimando a Gomorra?

"Sì, ecco, noi non avevamo la convinzione che sarebbe di sicuro diventata una serie cult, perché è una cosa che si capisce nel tempo, se diventa un esempio, se lascia un segno. Sappiamo però che il percepito è ottimo, e ce lo dicono i feedback di addetti ai lavori e pubblico.

Mentre creavamo Christian, eravamo sicuri che stavamo raccontando qualcosa di onesto e che nel farlo ci divertivamo tutti molto, spesso eravamo proprio esaltati. Del resto non capita spesso agli interpreti di avere a che fare con personaggi così definiti, così coloriti, e a chi dirige non capita spesso di poter davvero osare con una storia che vada oltre l'autoriale o il thriller.

Con Christian abbiamo creato qualcosa di ibrido, ed è strano perché tendenzialmente le cose che non sono né carne né pesce sono dei fallimenti. È estremamente difficile riuscire a tenere tutto in equilibrio sulla bilancia, ma noi ci rendevamo conto in ogni fase – dalla scrittura alla lettura dei copioni e alle prove – che tutti ci sentivamo in armonia con questa bilancia"

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L'impressione da spettatore è che invece di "riempire un modulo" siate andati totalmente a mano libera.

"Esatto, ma ricordiamoci che la mano libera funziona solo se si sa dove andare, se le idee sono chiare. Quando ho iniziato la serie ero sicuro del risultato, nel senso che sapevo quello che sarebbe uscito nell'episodio. Questo perché, anche se si lascia sempre un certo margine con gli interpreti, che iniziano a trovare la personalità dei personaggi, a prendersi spazio… però sapevamo sempre che la direzione era quella giusta, grazie in particolare alla scrittura"

Provo ad approfittare della distrazione del tuo gatto che ci ha appena salutato passando davanti allo schermo e ti chiedo: ci sarà una seconda stagione di Christian?

"(sorride) ci stiamo lavorando… posso dirti che stiamo scrivendo, per il resto non posso dirti nulla (sorride)"

Ok, la domanda a sorpresa non ha funzionato. Parliamo allora di Edoardo Pesce, che tipo è?

"Recentemente l'ho descritto come Davide e Golia fusi (intreccia  le mani di fronte al viso, ndr). Edo ha un animo gentile, colto e delicato anche se gioca a fare il cafoncello da strada, ma come si dice dalle mie parti ha il cervello fine, e questo lo aiuta a lavorare sui personaggi. Per Christian ha avuto il giusto tempo per entrarci bene, poi noi abbiamo già lavorato insieme quindi e ciò ci ha permesso da un lato di avere degli automatismi, dall'altra di dargli libertà.

Ma poi Edo è anche Golia, non solo perché è imponente, ma ha anche il carisma degli alfa. Anzi, per Christian ho dovuto frenare il suo essere alfa, perché il fascino di questo personaggio è proprio questo, che lui non ha voglia di comandare e viene toccato da un potere che non voleva e di cui non ha bisogno".

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A proposito di poteri e divinità, qual è il tuo pantheon personale per quando riguarda film e serie tv/telefilm?

"(sorride) diciamo che anche il mio pantheon è una famiglia moderna e allargata… Amo alla follia i film di animazione, a partire dai vecchi cartoni Disney che mi hanno formato e che sono sempre dentro di me, da Robin Hood a La Spada nella roccia e Il Re Leone.

Sono storie che contengono archetipi, in cui c'è la cultura occidentale, c'è Shakespeare, ma ci sono anche cose molto profonde che puoi sintetizzare attraverso quelle storie per bambini. Per questo mi piace parlare di quei cartoni quando lavoro. Così per esempio parlando con Edoardo mi sono inventato il 'complesso di Semola', di chi non vuole la spada e ciò che comporta, ma la spada va lo stesso da lui.

Per me, quindi, è fondamentale il mondo Disney, o meglio l'universo che ha inglobato altri mondi, Star Wars, Pixar, Marvel, soprattutto, per me che sono un fumettaro storico, dalla Marvel ai Bonelli. Il mio preferito tra i bonelliani è Martin Mystere, perché io sono uno spielberghiano e quindi amo i mondi fantastici, le avventure, le scoperte di altri mondi, da Indiana Jones al mio film preferito, Incontri ravvicinati del terzo tipo.

Per il resto non ho una formazione precisa… Nasco con la commedia italiana perché mia madre mi faceva vedere quei film, in particolare conservo un amore particolare per Nino Manfredi. Poi però mio padre mi faceva vedere film di fantascienza e azione, con Schwarzenegger o Bruce Willis, ed è un attimo che da Atto di forza arrivi a Harry Potter…

Alla fine, la cosa che mi piace del mio lavoro è legare le cose. Che forse è la mia idea di cultura, che non è sapere le cose ma saperle legare. E così prendo un po' dai manga, un po' dal primo Haneke, o da quello che vedevo ai festival di Venezia che seguivo da studente… e alla fine cerco di reinterpretare il tutto.

Un approccio figlio del post moderno, in cui prendi qualcosa di codificato, lo smonti e lo fai tuo, come fa anche Sorrentino, o come quando gli chef destrutturano le ricette tradizionali: uno può provare a destrutturare la carbonara, magari esce qualcosa di buono o magari fa schifo, ma è giusto provarci".

E per quanto riguarda i telefilm e le serie tv della tua vita?

"Sicuramente ricordo con paura X-Files. La mia famiglia aveva una casetta a Principino a Mare, vicino a Grosseto, dove trascorrevamo le estati, e ricordo che in certi momenti anche solo fare cento metri a piedi con i miei genitori nella pineta illuminata dalla luna, dopo certe scene di X-Files, mi terrorizzava.

Poi ci sono i capolavori moderni, quelli che mi hanno segnato come Breaking Bad, esaltato come Game of Thrones, emozionato come Lost… in pratica a me piacciono quelle storie con un mistero dentro che sia non dico sovrannaturale ma che possa portarti a pensare o immaginare vite diverse dalla nostra. Da spettatore non mi interessa la vita di tutti i giorni, la vivo già… Io voglio vedere dei viaggi, nello spazio, nel tempo, nella storia…"

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Hai saputo che rifanno Quantum Leap?

"No, non lo sapevo. Che bello che era Quantum Leap, lo vedevo con mio fratello. Così come adoravo Ai confini della realtà, lo guardavo con mio nonno e mi ricordo la paura per l'episodio dei gremlins.

Un'altra serie storica che andrei a girare subito, perché amo il progetto e la sua epopea meravigliosa, è poi il Dottor Who. Perché tende all'infinito, cambia i personaggi e cambia l'epoca e lo puoi riadattarlo in modo coerente con i tempi che ci sono. Io ho pianto con Dottor Who, con questo personaggio drammatico, che ha deciso di lasciare il suo pianeta, che potenzialmente vive per sempre, con le conseguenze positive e quelle drammatiche che ne conseguono".

Parlando di serie che durano all'infinito, ti ci vedi a invecchiare con Christian, o anche "solo" a fare molte stagioni come Gomorra?

"Se il paragone con Gomorra sarà forzato lo capiremo nel tempo. Io ho amato Gomorra fin dalla prima stagione, ha creato un nuovo immaginario e anche le registe e i registi che ci hanno lavorato – da Sollima a Comencini a tutti gli altri – si sono messi al servizio di una visione sempre molto originale. Con le Vele, Gomorra ha creato un mondo che è diventato un'icona.

Io me ne sono reso conto anche di recente, quando siamo andati a Cannes Series dove Giorgio Giampà ha vinto un premio meritatissimo per le sue musiche, perché è un grandissimo compositore. Ad ogni modo, Salvatore Esposito-Genny Savastano era in giuria, e quando è salito sul palco c'è stata letteralmente un'ovazione per lui.

Gomorra ha creato delle icone, io non so se noi ci riusciremo però posso dirti che il mondo che abbiamo creato lo abbiamo pensato in quel modo. E in effetti, la nostra idea era trovare un'ambientazione  che avesse dentro la stessa potenza delle Vele.

Non volevo però un quartiere reale, non volevo Corviale, Vigne Nuove, Tor Bellamonaca, ma volevo una forte connotazione simbolica. Così con i V-FX ho unito due quartieri e ho creato il rione immaginario di Città Palazzo, la cui spina dorsale è Corviale.

Nella mia idea, nel mio immaginario quel posto era una grande arca guidata da un profeta, ed è anche un rimando al verme di Dune o anche a una nave crociera che attraversa il mare. Insomma, non volevo che fosse iper realistico ma volevo riuscire a creare un piccolo immaginario nostro, in cui poter creare regole che fossero solo nostre. E a livello estetico, quel monolite orizzontale, con il suo brutalismo, è a suo modo meraviglioso.

Quanto al paragone con Dottor Who, non te lo so dire perché è come se vivessimo in un cantiere. Quando ci sarà da fare il tetto lo faremo, se ci sarà un terremoto faremo crollare tutto".

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E cederesti la tua sedia a qualche regista per far continuare Christian?

"Io penso sia giusto e naturale cedere le proprie sedie quando è il momento, per creare la migliore squadra possibile. Ci sono tantissime registe e registi molto bravi, ad esempio Alessandro Tonda, che è un caro amico e che secondo me diventerà uno che spacca come Sollima. Insomma, se arriva il momento di lasciare la sedia vuol dire che non è più il mio momento, perché non mi vogliono più o perché io non voglio più".

E se invece un'entità sovrannaturale ti obbligasse a lasciare il tuo lavoro di regista cosa faresti? Non mi dire l'aiuto regista…

"No, di certo lascerei il cinema, ma dovrei studiare e io ero un pessimo studente, non so come ho fatto a finire il liceo classico…

Diciamo che mi ha sempre affascinato l'idea di creare qualcosa dal niente, scrivere, disegnare, il mondo dell'architettura e del design. Mi piacerebbe fare qualcosa con le mani…"

Con le mani come Christian?

"No per carità (ride), non ho il fisico e poi sono un pacifista. Piuttosto mi piacerebbe qualcosa nel mondo dell'artigianato, un po' come Daniel Day Lewis che per Gangs of New York ha fatto per un po' di tempo il calzolaio a Firenze…"

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