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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cinema

Tomas Milian: "La mia vera madre è Roma"

Il pubblico del Festival del Film ha incontrato l'attore cubano, che ha parlato del suo rapporto con il cinema e soprattutto del suo legame con la Capitale e i suoi abitanti

Dopo la premiazione ufficiale durante la serata inaugurale della nona edizione del Festival del Film di Roma, che gli ha consegnato il premio alla carriera, Tomas Milian ha incontrato il pubblico romano per una "masterclass".

La sala Petrassi era gremita e quando l'attore cubano è entrato sono tutti scattati in piedi per la prima di quasi una mezza dozzine di standing ovation. Ed era proprio lui, Nico Giraldi detto er Monnezza: berretto in testa, occhiali da sole scuri, barba ispida e bianca, tuta da ginnastica nera e felpa sollevata sugli avambracci. 

In “Eva contro Eva” gli applausi venivano definiti “ondate d’amore che invadono la scena”. E mai definizione fu più azzeccata per descrivere l’ondata di affetto che ha lasciato quasi stordito Tomas Milian. Ormai anziano, cammina con il bastone, ma resta dritto in piedi a raccogliere gli applausi del suo pubblico, che lo sostengono.

Prima del suo ingresso, una futurette di una decina di minuti ha raccontato la straordinaria carriera di Millian dai suoi esordi “impegnati”, tra Bolognini e Visconti, fino al passaggio verso il cinema popolare con gli spaghetti western e l’esplosione del commissario Monnezza, arrivando a raccontare l’ultima parte della sua carriera, in America.

Le prime parole di Milian sono per Roma, la sua città. “Non ho mai avuto una madre - ha raccontato, ricordando la sua infanzia difficile in una famiglia senza affetto - Roma è stata mia madre, mi ha accolto e mi dato un calore immenso. E' a lei che dedico tutta la mia vita”.

Tomas Millian parla e si commuove spesso, ogni volta che il discorso cade sulla Città Eterna. “Ma non sono un piagnone. Solo quando parlo d’amore, piango”, avverte in quel suo italiano che è un misto di romanesco, inglese e spagnolo. Una lingua strana e solo sua, che gli fa dire frasi come: “Allora mi sono alzato e gli ho dato ’na pigna, you know”.

Annuncia che ci sarà un nuovo commissario Monnezza e lancia il suo figlio adottivo Mathias, che prenderà le sue orme.

Già dalle prime battute, è chiaro che non sarà possibile rispettare la scaletta. Tomas Milian un fiume in piena, racconta tutta la sua vita, dal rapporto con la sua famiglia, alla decisione di lasciare Cuba per andare in America e iscriversi all’Actors’ Studio. I moderatori cercano ogni tanto di riportarlo sui binari dello schema classico del “question&answer”, ma alla fine Milian sbotta: “Datemi il mio cazzo di tempo di dire loro che cosa è successo della mia vita”.

E Milian parla faccia a faccia con il suo pubblico, cuore a cuore, in un dialogo talmente intimo che persino il microfono è un impiccio. Come un vecchio amico o uno zio, quello che si starebbe ad ascoltare per ore, anche se alla fine gli aneddoti sono sempre gli stessi e l’età gli fa ripetere più volte le stesse frasi, a volte un po' costruite gigionescamente per stupire la platea.

La voglia di parlare al pubblico è tanta, ma il tempo è ormai trascorso. Anche la liturgia del commiato ufficiale è stravolta: Milian ringrazia il Festival per avergli dato il premio alla carriera, un riconoscimento che lui sente soprattutto per aver interpreto un uomo comune come è stato er Monnezza, quanto di più lontano ci fosse da lui, giovane playboy cubano tutto donne e poker al club. E nemmeno i saluti possono essere convenzionali. Milian abbraccia il suo pubblico con un verace e sentito: “Vi amo, cazzo”. 

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