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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Barbara Palombelli racconta l’adozione delle figlie: “Così le ho salvate da un padre biologico violento”

Il ‘Corriere della Sera’ anticipa alcuni passi dell’autobiografia ‘Mai fermarsi’ della giornalista che racconta il difficoltoso iter verso l’adozione delle figlie Serena e Monica

In questo periodo il nome di Barbara Palombelli si pronuncia spesso nelle cronache mediatiche accanto a quello di Serena Rutelli, la figlia che lei e il marito Francesco hanno adottato nel 2000 insieme alla sorella Monica e che adesso è in gara come concorrente nell’edizione in corso del Grande Fratello.

Nella puntata di ieri la ragazza ha potuto leggere la lettera scritta per lei dalla sua mamma biologica che l’ha abbandonata quando aveva sette anni, rifiutandosi di incontrarla perché – ha spiegato Serena – “Io una madre ce l’ho, un padre ce l’ho”. Adesso lei, la donna che l’ha cresciuta e che fino ad ora non è mai scesa nei dettagli della delicata situazione famigliare, ha voluto raccontare per intero quella storia nella sua autobiografia, in uscita per Rizzoli il 14 maggio, dal titolo ‘Mai fermarsi’, di cui il Corriere della Sera nell’articolo di Candida Morvillo anticipa alcuni passaggi.

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Il padre biologico violento di Serena e Monica

Nel libro Barbara Palombelli parla dell’adozione di Serena e della sorellina Monica a partire dal giorno del 2000 in cui i coniugi Rutelli le incontrano in una casa famiglia di suore a Roma, dov’erano state lasciate dal padre biologico quando Serena aveva tre anni. “Hanno dieci e sette anni, ma non hanno mai festeggiato un compleanno, mai un Natale in famiglia, mai visto il mare, mai un film, mai un ascensore, mai uscite con il buio, mai frequentato un fast food, mai fatto uno sport”, racconta la giornalista che le ricorda come due bimbe che si fanno forza a vicenda.

“La storia va tenuta segreta, segretissima. Il padre biologico, un uomo violento e pericoloso, allora girava ancora per la città. Potremmo incontrarlo, lui o uno dei suoi amici malavitosi, le ragazze ne hanno il terrore. Non devono uscire foto sui giornali, nessuno deve sapere”, spiega ancora Palombelli che i primi anni ha dovuto lottare non poco contro la burocrazia: “Guido pianissimo, quando sono con loro cerco di essere prudente come mai. (...) Sono stati mesi terribili: portare in giro due ragazzine che non hanno il tuo cognome e senza un pezzo di carta che ti autorizzi è un’impresa durissima. E rischiosa: in caso di incidente, di allergia o di una banale infezione, i genitori biologici — all’epoca ancora titolari della patria potestà, incredibilmente non decaduta dopo anni di abbandono e di istituto — avrebbero potuto rivalersi su di noi”.

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Le difficoltà burocratiche dell’adozione

L’iter verso l’adozione di Serena e Monica non è stato affatto semplice, ostacolato dalle difficoltà delle relazioni con i tribunali dei minori in casi così delicati. “Il tribunale, che aveva più volte messo sotto processo il padre biologico per violenze fisiche e altri reati, condannandolo a sei anni in via definitiva, non faceva decadere la patria potestà nonostante gli ormai tre anni di distacco dalle piccole. Senza la dichiarazione dello stato d’abbandono, nessun minore può diventare adottabile. E lui, che non era in carcere (...) continuava a vagabondare”,  spiega ancora Barbara Palombelli: “Le ultime parole che aveva pronunciato all’indirizzo delle suore e che le bambine avevano sentito benissimo erano state gridate: ‘Un giorno tornerò e vi ucciderò tutte’. Ogni tanto Serena continuava a chiedermi: ‘Non è che un giorno ci trova?’”.

Finché l’uomo è rimasto in vita (è deceduto per tubercolosi) Barbara Palombelli non ha mai portato le figlie fra la folla: “Mai nei grandi mercati o centri commerciali, mai a piazza Navona...”, il ricordo della donna che insieme al marito ha donato alle sue ragazze l’opportunità di godere dell’amore di una famiglia.

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