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Giovedì, 25 Aprile 2024
l'intervista a today

Francesca Brienza porta il calcio femminile in tv: "Finalmente. Competizione tra colleghe? Non confondete le giornaliste con altro"

Su La7 le partite della Serie A femminile raccontate e commentate da una squadra di donne capitanate dalla Brienzina. "Una scommessa in cui ho creduto da subito" spiega a Today, fiera di un passo così importante che in Italia mancava

Donne che giocano a calcio e donne che lo raccontano. Finalmente. Dal rettangolo verde allo studio televisivo, quello che per generazioni è stato considerato come uno degli sport 'maschi' per eccellenza si tinge di rosa e conquista lo spazio che merita, anche in tv. Grazie all'accordo siglato tra Gruppo Cairo Communications e Figc, per il prossimo biennio La7 sarà la casa del calcio femminile in chiaro, con la messa in onda della miglior gara di ciascuna delle 22 giornate di campionato, oltre alle semifinali e alla finale di Coppa Italia e Supercoppa Italiana, per un totale di 28 incontri a stagione. A dare il 'calcio d'inizio' a questa bella novità televisiva, sabato scorso, è stata la partita Empoli-Roma, mentre domenica 5 settembre, alle 17.30, sarà la volta di Fiorentina-Juventus.

In studio per il pre e post partita Francesca Brienza, che dopo otto anni di calcio maschile - dagli esordi a Roma Channel fino a Tiki Taka - non ci ha pensato un attimo a lanciarsi in questa nuova avventura professionale. Una "rivoluzione" - così la definisce - che porta l'Italia al passo di tanti altri Paesi dove il calcio femminile è una realtà affermata, in campo e 'dietro le quinte' (o meglio, davanti le telecamere). Con lei, oltre ad Antonio Cabrini, un team composto da quasi sole donne: Cristina Fantoni e Laura Gobbetti per le telecronache, mentre il commento tecnico è affidato a Martina Angelini. Colleghe "valide" con cui sfatare il mito che le donne non sanno fare squadra. A proposito di miti da sfatare, via anche quello della competizione: "Per averla vuol dire che dovremmo occupare ogni spazio disponibile ma purtroppo ancora non è così". E precisa: "Ben venga, l'importante è che si gareggi con colleghe preparate. Non basta stare in un programma sportivo per essere una giornalista".

Il campionato di serie A femminile sbarca in tv. Finalmente, è il caso di dirlo?
"Finalmente, sì. In Italia siamo ancora un po' indietro su questo. Ci sono delle squadre di calcio femminile, il Lione ad esempio, che ha vinto tutto, che vivono questa realtà da tempo. La scommessa di La7, così come la mia che vengo da otto anni di calcio maschile, è certamente un passo importante verso il futuro di questo sport. Siamo felici di poter dire 'finalmente andiamo in onda'.

Questa di La7 è una sfida che potrebbe valere molto, soprattutto considerando le lotte sui diritti tv che ormai da anni reti e piattaforme fanno per il campionato maschile e gli altri tornei.
"Questo è sicuramente qualcosa da considerare. Facciamo da pionieri. In questo momento per vedere una partita di calcio devi avere quattro, cinque abbonamenti, invece la gran rivoluzione è vedere una partita in chiaro, gratuitamente. Cosa che ormai è un'utopia. La scommessa di La7 è molto bella e ci ho creduto fin da subito, perché so quanto è andato avanti il calcio femminile nelle altre nazioni e mi auguro che l'Italia possa far parlare di sè, in bene, anche per questo". 

Pensi che il calcio femminile possa arrivare ad avere lo stesso appeal?
"Lo stesso appeal non lo so. Il calcio maschile ormai è diventato anche business, non so se quello femminile arriverà mai a scuotere lo stesso interesse, ma già che ci sono molti tifosi che stanno iniziando a supportare anche le compagini femminili della loro squadra del cuore, è un segnale. Le basi ci sono, poi nessuno ha le pretese di paragonare i contesti. Quello che so è che è sicuramente piacevole vedere le ragazze in campo, perché giocano davvero. Non si fanno certo le carezze. Dopo tanto tempo a commentre il calcio maschile, nelle prime occasioni in cui ho seguito in maniera più attenta quello femminile mi sono accorta di aver ritrovato la purezza che si ha all'inizio, quando si vedono le partite ai campetti. Nel calcio maschile si è persa un po' questa purezza, perché è vittima del suo successo. Adesso si parla molto anche di quello che succede fuori dal campo, del trasferimento dei giocatori, non c'è solo quel volersi concentrare su ciò che succede in campo. Guardando una partita di calcio femminile invece quella purezza la ritrovi ancora". 

C'è un pregiudizio nei confronti dello sport agonistico femminile?
"Non credo. Soprattutto per le soddisfazioni che stanno dando le donne nello sport. Basta guardare quello che ha fatto a Tokyo Bebe Vio, o la grande avventura di Federica Pellegrini alle Olimpiadi. Per fortuna almeno su questo siamo maturati in fretta e il riconoscimento che c'è delle donne dello sport e dei traguardi che hanno raggiunto è un dato di fatto".

Parliamo del programma. La vostra squadra è composta quasi totalmente da donne...
"Sono molto contenta di lavorare con tre colleghe valide come Cristina Fantoni, Laura Gobbetti e Martina Angelini. Un team di donne, così abbiamo anche sfatato il mito che non sappiamo fare squadra. Le donne invece non solo ci riescono in campo, ma anche fuori. Ne vado fiera. Lavoriamo molto bene in gruppo e ci intendiamo benissimo nonostante con alcune non ci siamo ancora incontrate, ma è come se ci conoscessimo da una vita". 

Le donne non solo sanno giocare a calcio ma sanno anche raccontarlo. 
"Mi auguro che si sapesse già prima di noi. Ci sono tante colleghe che fanno telecronache e commentano il calcio maschile. Abbiamo cominciato a prenderci più spazio ed è la dimostrazione che con impegno e dedizione, non importa il sesso, si raggiungono i risultati nel mestiere che fai. Questo sarà sempre un contesto tanto caro al maschio e sarà difficile fargli rinunciare al suo pezzettino di piacere personale nel parlare coi suoi amici e dire che la partita la capisce solo lui. Credo che se fosse stato il contrario non ne avremmo parlato così tanto di questi 'progressi'".

Vale a dire?
"Prendi l'uomo in cucina, visto il cliché. Noi non ci siamo mai scandalizzate nel vedere tanti chef e sous chef in tv. Anzi. Se ci fossimo state noi al posto degli uomini non staremmo qui, dieci anni dopo, a chiederci se stiamo prendendo più spazio. Sorrido di questo sperando che un giorno non ci sia più bisogno di sottolineare i progressi che stiamo facendo. Siamo sulla buona strada".

Cosa rispondi a chi sostiene che è strano sentire una telecronaca fatta da una donna, oppure che un commento tecnico sia meno autorevole?
"Era così anche all'inizio, quando non esistevano le telecronache e abbiamo iniziato ad ascoltarle. E' una questione di abitudine, bisogna abituarsi e basta". 

Quella delle giornaliste sportive in tv non è proprio una vita semplice. La concorrenza negli ultimi anni sembra spietatissima...
"Se è spietata ben venga nel momento in cui c'è un valore e una preparazione alta, significa che bisogna essere sempre più brave e preparate. L'importante è che si gareggi con colleghe preparate. Fare di tutta l'erba un fascio no. Io sono sempre dell'idea che le giornaliste sono una cosa e chi racconta il calcio o sta in tv è un'altra. Non basta stare in un programma sportivo per essere una giornalista. Purtroppo si tende a pensare questo, bisogna fare attenzione a non confondere".

Dando per assodata questa distinzione, con le 'vere' colleghe c'è competizione?
"Non c'è questa competizione altissima, secondo me perché ancora non si dà così tanto spazio a noi donne. Per averla vuol dire che dovremmo occupare ogni spazio disponibile ma purtroppo non è così. Non sento la competizione, ma quando ho davanti una collega brava mi stimola ad essere ancora più brava. E di colleghe brave ce ne sono". 

Tipo?
"Non faccio nomi ma ce ne sono e questo mi fa piacere, così come mi fa piacere pensare che un giorno si possa anche creare una sana competizione". 

E con gli uomini?
"E' un po' delicato l'argomento. Se c'è sono talmente gentili da non fartene accorgere. Sicuramente c'è competizione, anche i colleghi uomini sono molto legati al loro spazio e al loro momento. Diciamo che esiste ma è celata". 

Gender gap. Nel giornalismo sportivo esiste questo divario tra uomini e donne?
"Non ho mai chiesto a un collega quanto guadagna. Non ti saprei dire, ma spero di no".

Il tuo compagno, Rudi Garcia, è un nome di rilievo nel mondo del calcio. Questo è mai stato un peso nella tua carriera?
"Un peso no, ma sicuramente non ne ho tratto vantaggio, al contrario di quello che si possa pensare. Io lavoravo già quando lui ha iniziato la sua avventura nella Roma e poi ho continuato. Il fatto di essere legata a un allenatore che ha rappresentato fortemente una squadra in alcune occasioni è stato un limite, ma più che questo in realtà lo è stato il mio dichiararmi tifosa romanista".

Cioè?
"In alcuni incontri importanti usciva fuori: 'Sei brava ma sei troppo immagine Roma'. L'ho accettato serenamente, convinta che l'importante è l'imparzialità che mostri nel lavoro. E ho avuto ragione. Trovo molto più intelligente dichiarare la propria fede, non nascondersi ed essere obiettivi che far finta di non essere tifosi. Chiunque ha a che fare con il calcio a un certo punto per forza di cose diventa tifoso. La mia è stata una scelta coraggiosa di cui non mi pento".

Il tuo sogno televisivo?
"Ne ho uno da anni, da quando ho iniziato a fare questo mestiere. Vorrei fare un programma di intrattenimento in cui lo sport si mescola con la tradizione e la cultura dei luoghi".

Un format che non c'è...
"Sì, non esiste. Cogliere attraverso lo sport l'occasione di raccontare i luoghi". 

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