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Giovedì, 25 Aprile 2024
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La Porta Rossa, Gabriella Pession: "Anna ha cresciuto sua figlia da sola, come mia madre ha fatto con me"

La fine di un capitolo importante, la scelta di tornare in Italia, la gratitudine nei confronti della mamma e la fortuna di ricoprire lei oggi quel ruolo accanto all'uomo che ama

"A destra, così prendiamo la Pontina". Gabriella Pession è in viaggio verso Roma quando abbiamo il nostro appuntamento telefonico. È tornata a casa, nella "sua" Italia, dopo anni trascorsi a Los Angeles con il marito, l'irlandese Richard Flood, e loro figlio Giulio, di 10 anni. "Mi mancava immensamente" ci racconta, spiegando che la scelta di lasciare gli Stati Uniti non è legata a motivi professionali. Tanti i nuovi impegni - davanti e dietro la macchina da presa -, un grande capitolo invece si chiude mercoledì 1 febbraio, quando su Rai 2 andrà in onda l'ultima puntata de "La Porta Rossa". Una fine "fisiologica" di una serie che per lei è stata "uno spartiacque nel panorama televisivo" e le ha dato la possibilità di confrontarsi con un personaggio che l'ha messa davanti a una grande verità, anzi due. Quella di aver avuto una madre "coraggiosa" e di sentirsi fortunata oggi a crescere un figlio con l'uomo che ama e che è "un padre eccezionale".

Siamo riusciti ad acciuffarla tra un set e l'altro. È impegnatissima in questo periodo...
"Sì, ce l'abbiamo fatta (sorride, ndr). Non mi lamento mai, ci sono stati periodi difficili che però ho sempre visto come positivi perché fanno parte di un percorso artistico mai lineare. Questo è un periodo molto bello, sono felice di essere tornata in Italia. Ho tre film in uscita, sto iniziando una serie internazionale, sto scrivendo la mia prima serie come co-autrice. Tante cose belle ma soprattutto divertenti". 

Mercoledì invece si chiude una porta importante. La Porta Rossa.
"Eh sì. Era fisiologico. È giusto che anche le cose più belle abbiano un termine. Siamo stati tutti felici di esserci rincontrati per questa terza stagione, che trovo meravigliosa. Sono molto legata a questo progetto ed emozionata per l'ultima puntata, anche se per noi la vera conclusione è l'ultimo ciak delle riprese più che la messa in onda. Nei nostri cuori è un capitolo chiuso già da un po', ma condividerlo con il pubblico è sempre una forte emozione".

Cosa ha significato per lei questa serie?
"Venivo da tanti anni di tv generalista, da progetti di successo a cui sono legata e non recrimino niente. Sono felice di aver fatto tanto prodotto generalista. La Porta Rossa per me è stato un inizio nuovo, uno spartiacque nel panorama televisivo, con un linguaggio diverso per raccontarsi e raccontare. Una scrittura più moderna, non stereotipata, girata in una maniera molto cinematografica, con grandi piani sequenza, pochi primi piani, un protagonista che muore alla prima scena e la protagonista che cerca per tre stagioni di ritrovarlo. Sia a livello narrativo che visivo è stata un'innovazione per tutti, anche per me". 

Il tema del distacco è cruciale. Fare i conti con la morte di chi si ama è dura anche su un copione?
"Nella realtà di più. È un tema universale. Credo che il grande successo di questa serie, al di là del crime scritto in maniera magistrale, sia dovuto proprio al tema della separazione dalle persone amate. Quando arriva la morte azzera tutto e questo silenzio incolmabile è anche speranza che ci sia qualcosa dall'altra parte. Questo è un racconto che tocca delle corde talmente umane, tenere e struggenti, universali, che credo sia stato il cuore caldo e pulsante di questa storia". 

C'è un lutto che l'ha segnata?
"Mio padre, ma è doloroso per me parlarne. È morto pochi mesi prima dell'inizio delle riprese de La Porta Rossa. La perdita di un genitore è tra le più gravi in assoluto".

Anna, il personaggio che interpreta, è riuscita a crescere da sola sua figlia. Lei sarebbe stata altrettanto coraggiosa?
"La più grande fortuna della mia vita è stata incontrare mio marito, che è un padre eccezionale. Condivido l'essere genitore con lui. Siamo noi tre. Mia madre mi ha cresciuta da sola, con grande difficoltà, dandomi un forte esempio di coraggio. È una grandissima donna e oggi mi chiedo come abbia fatto. Crescere un figlio da sola è complicato. Se devi farlo lo fai, perché la vita è più forte e vai avanti, ma avendo avuto la fortuna di crescere un figlio insieme a suo padre, guardo mia madre con enorme tenerezza e con ancora più comprensione e con una stima infinita per quello che ha fatto. Io non so se avrei avuto il coraggio di avere un figlio da sola, avrei avuto molta paura. Ho avuto voglia di avere un figlio quando mi sono resa conto che avevo incontrato la persona giusta, altrimenti probabile che non avrei avuto il coraggio".

In Italia una donna single non può avere figli. Lei che ne pensa?
"Io sono pro adozioni. Sono stata spettatrice di varie case famiglie e ho visto la situazione sia degli affidi che delle adozioni. Se una donna ha una sua stabilità mentale e finanziaria, perché i bambini hanno bisogno di questo, io sono a favore dell'adozione. Anche un single può adottare, assolutamente. Mi auguro diventerà possibile in questo Paese".  

Il dibattito sulla famiglia tradizionale infiamma gli animi. Anche il suo?
"È un discorso molto complesso e delicato, purtroppo diventato un discorso politico quando invece è etico. I bambini hanno bisogno di amore. Da parte di un solo genitore, di due genitori o di due genitori dello stesso sesso, questo non cambia. La parola chiave è amore, stabilità. Un bambino deve essere accolto in un clima di armonia e serenità nel quale crescere. Idealmente ci sono una mamma e un papà, se questa cosa non è possibile e c'è solo una bravissima mamma o un bravissimo papà, oppure due papà o due mamme, l'importante è che ci sia amore. Però sostengo le adozioni, non sono d'accordo con la pratica dell'utero in affitto. Ci sono tanti bambini che hanno bisogno di una famiglia". 

Sabrina Impacciatore negli Stati Uniti è esplosa con "The White Lotus" e ha detto che in Italia non ha mai raggiunto tanto successo in vent'anni di carriera. Lei ha vissuto a Los Angeles diversi anni, fino a poco tempo fa. Ci sono più possibilità rispetto al cinema italiano?
"Il successo è qualcosa di effimero, soprattutto in America. Come te lo danno te lo tolgono. Ci sono grandi carriere hollywoodiane che esplodono e poi se sbagli un film non lavori più. Hollywood è un posto molto pericoloso, anche per la stabilità mentale. Sono stata tanti anni in America, sono in procinto di iniziare una grande serie internazionale, ma personalmente non cerco il riconoscimento e il successo quanto il poter stare all'interno di un contesto creativo importante, alto, che mi stimoli, e fare dei passi in avanti come artista. Poi dove arriva il successo, più o meno, non è mai stato di mio interesse". 

Il Me Too è esploso negli Stati Uniti ma anche in Italia ha fatto e continua a fare rumore. Lei si è mai trovata in situazioni simili?
"Abusi fisici no, ma ho subìto abusi verbali. Per aver rifiutato dei progetti o per aver avanzato delle richieste normali, dopo vent'anni di carriera, mi è successo di venire insultata. È inaccettabile. Io ho una teoria, che viene dal mio grande amico Francesco Scardamaglia, un produttore con cui ho avuto l'onore e il piacere di lavorare. Era una persona di un'educazione e una grazia inusuali e mi diceva: 'Metti in atto l'ecologia dei rapporti', cioè scegliere con chi lavorare. Chi usa anche solo verbalmente violenza è qualcuno con cui non voglio avere niente a che fare. Quando mi è successo l'ho fatto ben presente alla persona in questione".

Se ci fosse stato un uomo sarebbe andata diversamente?
"Certo. Si prendono certe libertà perché sei donna, viviamo in un Paese ancora fortemente misogino e a volte la misoginia arriva dalle donne. Quella è la cosa peggiore che ti fa capire quanto è radicato tutto questo. Donne che fanno ostracismo alle donne. Terribile. Poi ci sono donne intelligenti che fanno squadra. Dipende dalla persona, non ne faccio mai una questione di genere". 

Come mai ha deciso di tornare in Italia?
"Mi mancava immensamente. Sono felicissima di essere tornata nel mio meraviglioso Paese, anche mio marito lo è. C'è una dimensione umana e di naturalezza che trovo stupenda e che mi mancava molto. In America c'è un politically correct a dei livelli insostenibili, siamo andati in una dimensione di terrore dove uno ha paura a fare una battuta, uno scherzo. C'è un clima troppo teso. Amo gli Stati Uniti, ho vissuto a Los Angeles per anni, è una città che mi ha dato tantissimo e dove torno spesso, ho amici meravigliosi che sono una seconda famiglia, ma sono tornata in Italia perché mi sento europea. Mio marito è irlandese, siamo tornati alle nostre origini, alle radici". 

Molti italiani invece preferiscono vivere all'estero, sostenendo sia più semplice...
"Vorrei parlarci con questi italiani e chiedergli quanti anni hanno vissuto all'estero. Dal punto di vista della ricerca scientifica e delle opportunità indubbiamente stanno un passo avanti. Io ad esempio ho iniziato ad avere dei progetti come produttrice esecutiva perché in America è normale, non c'è questo pregiudizio che se fai l'attore non puoi fare altro. Anzi. In questo senso c'è più opportunità, è una società che davanti a un'idea risponde: 'Wow, let's try' (proviamo, ndr). Poi c'è tutto un altro discorso. Il sistema sanitario americano, ad esempio, per me è sbagliato. In Italia le persone possono essere curate gratuitamente, non c'è questa spada di Damocle delle assicurazioni. E poi c'è il problema della armi. Ho vissuto tre anni negli Stati Uniti con un bambino e quando scegli una scuola con i vetri antiproiettile ci pensi, viverci tutti i giorni è dura. Non sai se al cinema qualcuno entra armato. Questa cosa esiste negli Stati Uniti, lo leggiamo sui giornali. In questo momento storico c'è molto divisionismo, la gente è arrabbiata, il Covid ha portato in superficie grandi problemi legati all'assistenza sanitaria. A Los Angeles ci sono migliaia di homeless per strada, sono aumentati durante la pandemia. Questa cosa è inaccettabile".

Alla fine ha scelto le radici.
"L'ho fatto anche per mio figlio. Lui ha il passaporto americano, se vuole può tornare lì quando sarà più grande, ci sono ottime opportunità di studio, è vero. Ma voglio dargli la possibilità di avere le radici nella sua Europa e poi sceglierà lui, ma privarlo di questo non mi sembrava giusto".

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