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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Domenico Iannacone: “La mia tv vicina al pubblico e lontana dagli stereotipi. L'ingerenza politica in Rai? Interesse di tutti i governi” (INTERVISTA)

Boom di ascolti puntando sulla qualità per 'Che Ci Faccio qui', l'ultimo programma del giornalista molisano, che va alla scoperta delle esistenze straordinarie di uomini e donne rivoluzionari, noti o sconosciuti: "La televisione torni a raccontare il pubblico e non se stessa. La mia bussola? La dignità dell'intervistato"

Domenico Iannacone entra nel laboratorio di quei ricercatori che, pur lavorando con un contratto precario all'università di Roma Tre, hanno annunciato al mondo la scoperta dell'acqua su Marte. Poi, insieme a Don Ciotti, ricorda quell'uomo senza fissa dimora che ha spinto il prete-attivista a dedicare la sua vita agli emarginati. Sono veri e propri "spaccati d'esistenza" quelli offerti dal suo 'Che ci faccio qui', programma d'approfondimento sociale in onda nell'access prime time di Rai Tre (ed ora in replica estiva ogni sabato), che nell'ultima stagione tv si è imposto come alternativa al racconto televisivo più diffuso, quello ormai piegato alla spettacolarizzazione dell'intimità. Un viaggio immersivo ma non per questo morboso, commovente ma non patetico, intimo e allo stesso tempo rigoroso, lontano dalla mediaticità delle "vite da copertina" che affollano il piccolo schermo e vicino alla straordinarietà del quotidiano. Segno che un'altra tv è possibile. 

I toni pacati, i silenzi, gli spazi concessi alla riflessione. Di uomini e donne rivoluzionari, famosi o sconosciuti, il giornalista molisano cattura sguardi e ricordi, gesti e proteste. Recupera la dimensione umana. Muovendosi, come è tipico del suo stile ormai riconoscibile al pubblico, tra cronaca e versante morale. L'obiettivo è "Raccontare storie che siano più vicine alla vita delle persone. Mi piace l'idea che i telespettatori riescano a comprendere che cos'è che ha spinto gli altri a muoversi in una determinata direzione", spiega a Today. Perché "La cosa straordinaria è che ogni storia è un pezzo unico, è come un’opera d’arte".

Nell'importante fascia dell'access prime time, affollata per tradizione da game show e talk politici, la prima edizione di 'Che ci faccio qui' ha raggiunto picchi del 7.4% di share. Qual è il suo bilancio?

La collocazione, allettante ma difficile, ha premiato il programma perché evade dagli schemi della narrazione tipica di quell'orario. Il mio tentativo era dare varietà, per non stereotipare la fascia ad un unico argomento. La trasmissione è aperta, le storie si alternano continuamente, nella dimensione, nella modalità, nella psicologia. Non sapere che cosa ti troverai davanti quando accendi la tv, è una bella sfida. L'interazione, anche sui social, è stata altissima: non solo like, ma la voglia di raccontare ciò che si è provato guardando la puntata. Significa che c'è stata immedesimazione ed in fondo è questo ciò che voglio.

In primavera la nuova stagione. Intanto, a novembre, quattro puntate speciali, ogni lunedì, in seconda serata. Andrà a Scampia e San Basilio. 

Due epicentri delle periferie classiche, l'una a Napoli, l'altra a Roma. Racconterò la dismissione periferica, che è diventata simbolo di ogni male, ma in cui io credo si trovi la "buona umanità". Il tema dell'emarginazione, l'idea che possano esserci città esterne e uomini invisibili mandati ai margini, è un argomento che rincorro, perché è uno dei grandi problemi sociali. Oggi, mentre il centro città è diventato vuoto ed ha perso di significato, nelle periferie c'è ancora un'energia incredibile, perché ci sono dinamiche legate alla sopravvivenza ed una solidarietà assente altrove.

Con quale approccio entra nelle vite degli altri?

La dignità è la mia bussola, da sempre. Mai far perdere la dignità all'intervistato.

Qual è stata la storia più difficile da raccontare?

Non so rispondere. Ogni storia ha una sua difficoltà, per come la intendo io, perché bisogna entrarci dentro per bene, ci metto tanta energia. 

E quale, invece, quella che vuole ancora trattare? 

Vasco Rossi. Credo abbia molto di inesplorato. Vorrei osservarlo nella sua dimensione più intima, perché penso sia diventato un personaggio pubblico anche nel racconto che fa di sé, ed è come se questo gli avesse tolto forza. Non lo conosco personalmente, ma ho avuto contatti con lo staff.

Ambisce a portare il programma in prima serata?

Non mi interessa la collocazione, ma il progetto. Questo è interessante per questa fascia e con questa durata (dai 15 ai 20 minuti, ndr). Si può scrivere un romanzo o un racconto breve, ma entrambi posso avere la stessa forza d'espressione. 

Il 9 luglio ci sarà la presentazione dei palinsesti Rai. Lei è in azienda da vent'anni, che cosa si augura per il futuro del servizio pubblico?

Che tenga sempre ben presente il racconto della verità e la sua qualità, senza lasciarsi suggestionare dalle sirene dello share e dalle dinamiche concorrenziali. La tv pubblica ha un ruolo a cui non deve abdicare. Soprattutto Rai Tre, che per me è casa: vorrei mantenesse libero il suo livello di racconto. Se guardo alla tv in generale, noto che c'è tanta dispersione di energie e poco racconto di realtà che imprime un significato. C'è tanto di superficiale, mentre io vorrei un rilancio dell'approfondimento, che non sia quello manierato e di facciata. 

La tv è sede di stereotipi?

SÌ, in generale. Sta raccontando se stessa e non il pubblico. Da professionista che da tanti anni lavora nel racconto televisivo classico, documentaristico e di inchiesta, dico che c'è stato un peggioramento: l'offerta si è ampliata, ma non nella qualità. 

Rai Tre è casa, diceva. Ma ha mai pensato di dirigersi altrove?

Ci sono stati degli incontri, ma resterò qui fin quando mi sarà consentito di essere libero. Con il direttore Stefano Coletta c'è comunanza di intenti: conosce il prodotto televisivo, sa esattamente che cosa anima la rete. 

Quando parla di libertà televisiva, che cosa intende?

Poter scegliere gli argomenti di cui parlare, anche se complessi, e poterli trattare senza che nessuno ci metta bocca, senza i "sì però". La libertà di chi racconta la verità deve essere assoluta. 

E, a proposito di libertà, soprattutto in questi giorni di messa a punto dei palinsesti, si parla molto della presunta ingerenza politica in Rai.

Si dice sempre che la politica non deve entrare nelle dinamiche del sevizio pubblico, che è la più grande azienda culturale del paese. Ma questo, di fatto, viene sempre disatteso. Tutte le forze politiche che hanno vinto le elezioni, e che sono andate al governo, hanno dato per assodato che mai avrebbero fatto ingerenza, invece io vedo che paradossalmente si perde più tempo a pensare a ciò che viene trasmesso in televisione piuttosto che a risolvere i problemi. E' un male assoluto, perché la televisione fa la televisione e la politica fa la politica. Oggi poi i social permettono ai politici di arrivare più in fretta, eppure, evidentemente, per loro la tv ancora rimane avamposto in cui collocare idee e spingere perché vengano diffuse. 

A lei la politica è stata proposta lo scorso anno (il Pd voleva candidarlo al Parlamento, ndr).

Ma non se ne è fatto nulla. 

Non è nelle sue corde?

Mi sono detto: se anche entrassi in politica, come potrei incidere nella quotidianità della gente? La mia capacità di incidere sarebbe stata minima, allora ho continuato a fare qualcosa che arriva di più alle persone. 

Quale profonda differenza tra politica e sociale?
In politica il singolo conta pochissimo: è fatta di gruppi, l'idea da sola non ha forza. Quando, invece, io faccio un pezzo sulla casa e riesco a smuovere la politica e a far assegnare un alloggio popolare, come è successo lo scorso anno, allora io ho inciso. Quello per me è incidere. 

E i prossimi progetti?

Vorrei affrontare uno spettacolo di teatro civile, in cui portare le storie che ho incontrato, come in un alfabeto di emozioni. Poi, il prossimo anno, a Milano, rappresenterò l'Odissea con il Teatro Patologico di Roma. Il viaggio intrapreso nella loro realtà è stato uno dei più belli, realizzerò cinque o sei puntate che proporrò a Rai Tre. La malattia mentale è un mondo inesplorato, c'è una parte di purezza che non ha sovrastrutture né malizie: è solo candore. Si immagini di incontrare la parte dell'uomo più candida... è una cosa straordinaria. 

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