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Giovedì, 25 Aprile 2024
l'intervista

Lino Guanciale: "Dietro la mia porta rossa c'è il futuro di mio figlio"

L'ultimo capitolo di una serie dal successo inaspettato, l'importanza di Cagliostro nella sua carriera, l'impegno umanitario che da quando è diventato padre porta avanti con un senso di responsabilità ancora più grande, consapevole della sua fortuna

Interpretare un fantasma. Una sfida attoriale irrinunciabile che si è trasformata nella chiave di volta della sua carriera. Parola di Lino Guanciale, legato a doppio filo con Cagliostro, protagonista della serie tv La Porta Rossa, che mercoledì 11 gennaio torna su Rai 2 - per quattro prime serate - con la terza e ultima stagione. Tra le consapevolezze dell'attore abruzzese, 43 anni - fra i volti più amati della fiction italiana - c'è quella che senza questo personaggio per lui non si sarebbero aperte in tv strade diverse da quelle che stava già percorrendo, innestando "un'altra marcia". Una svolta professionale, poi, un anno fa, quella personale con l'arrivo del figlio Pietro. Oggi la sua priorità.  È lui, ci spiega, a spingerlo a fare la sua parte per chi è meno fortunato. 

Una sfida portare su Rai 2 una serie come La Porta Rossa, dove il paranormale si mescola al poliziesco, ma stravinta. Possiamo dirlo?
"Assolutamente. La risposta che abbiamo avuto già con la prima stagione, poi anche con la seconda, è un risultato straordinario e questo ha sorpreso per primi noi. Si trattava di una scommessa a tutti gli effetti, nonostante i personaggi fossero bellissimi, come la costruzione narrativa. Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi (ideatori della serie, ndr) hanno dato un sapore letterario e non soltanto di mestiere alla scrittura, fortissimo e ricco. Siamo stati felicemente sorpresi dalla capacità del pubblico di affezionarsi a una novità come questa. L'intento, con la terza e ultima stagione, è quello di non tradire le aspettative di chi ha tanto aspettato e sta aspettando questo lavoro". 

Una sfida anche interpretare un personaggio come Cagliostro...
"Sì. Io non avevo assolutamente idea di come sarebbe andata, però ho cercato sempre di fare le mie scelte partendo dall'innamoramento che scattava o meno nei confronti del personaggio da interpretare. Soprattutto da un certo punto in poi del mio percorso. Di Cagliostro era veramente impossibile non innamorarsi, sia per il personaggio in sé, per il carattere, sia per la sua particolarissima condizione. La sfida di interpretare un fantasma, con tutto quello che ne consegue, era troppo ghiotta per non essere colta". 

Come si è preparato?
"C'è stato un bel lavoro di squadra. Abbiamo cercato di fare il nostro meglio, concentrandoci sull'idea, e questo ha molto compattato il cast tecnico e quello artistico. Volevamo consegnare agli spettatori e alle spettatrici un progetto nuovo, un'incognita, ma la migliore incognita possibile. Non credo di sbagliare a dire che ci siamo riusciti". 

In questa stagione tutti i personaggi si confronteranno ancora una volta con l'esperienza del distacco dalle persone amate. Lino Guanciale come lo vive? 
"Non si può non viverlo in maniera traumatica e dolorosa. Crescendo quello che in qualche modo si impara a fare è contestualizzare il potere di risonanza che persone che non ci sono più ci lasciano. Concentrarsi sull'eredità che ci viene consegnata, emotiva, culturale. La fine delle cose è un dato talmente naturale dal far diventare insensato il conflitto. A me crescendo è successo questo. Impari a capire che in realtà la fine è un'esperienza che facciamo quotidianamente: la fine di un progetto che amiamo e che naturalmente arriva al suo termine, la fine di un libro di cui ci ostiniamo a non voler leggere l'ultima pagina, la fine di una giornata, nel bene e nel male. Sono tutte cose che ci lasciano una eco, un passaggio da metabolizzare".

La fine di una serie tv...
"In questo caso si tratta davvero di qualcosa che ho amato moltissimo, amo moltissimo e amano allo stesso modo anche i miei colleghi. Il motto della Porta Rossa è 'la fine non esiste', che è vagamente interpretabile. Io lo leggo così: la fine non esiste perché qualunque cosa passi e chiunque passi, anche la persona che amiamo di più e per cui soffriamo di più nel dover abbandonare, ci lascia qualcosa di importante che continua a risuonare potentemente dopo di noi". 

Questo al di là del fatto se esiste o meno una vita dopo la morte.
"Indipendentemente da quali siano le nostre convinzioni su cosa c'è dopo". 

Il mondo dei vivi, quello reale e non della fiction, com'è per lei oggi? 
"Il mondo in cui viviamo ora è un mondo che si è svegliato tra pandemia e nuove guerre con una consapevolezza nuova sul fatto che non si fosse arrivati alla fine della storia. Torniamo sempre lì. La fine non esiste. Siamo ancora ben dentro la storia, siamo ancora costretti a prendere decisioni sul nostro futuro. E questo è un bene. La pandemia, la guerra e il riscaldamento globale ci insegnano che il nostro mondo non ha finito di muoversi. Si muove e lo fa in maniera decisamente problematica, perciò dobbiamo prendere decisioni per cercare di produrre cambiamenti migliorativi. Io credo che quello che è successo negli ultimi due anni e mezzo debba essere preso come altamente responsabilizzante per ognuno di noi. Credere di potersi sedere su una vita fatta di benessere è un'illusione. Da un certo punto di vista è un bene che la storia ci abbia dato un modo per farci svegliare".

Gli occhi con cui guarda il mondo sono cambiati con l'arrivo di suo figlio, un anno fa?
"È cambiato il modo di vivere alcune cose, ma le linee guida che mi ero dato per cercare di fare la mia parte, non soltanto quella personale ma anche pubblica, non sono mutate. Faccio le stesse cose con uno spirito diverso, questo sì. Per fare un esempio, sono testimonial ormai da molti anni di UNHCR, è una cosa che ho sempre amato fare ma adesso mi sento ancora più responsabilizzato a fare la mia parte perché noi siamo una famiglia fortunata. Al mondo invece c'è un buon 80% di persone che questa fortuna non ce l'ha e bisogna fare qualcosa".

Diventare padre ha cambiato anche il suo modo di rapportarsi con il lavoro?
"In qualche modo sì. Adesso è prioritario riuscire ad essere il più possibile presente nella vita della mia famiglia e questo cambia il modo in cui costruisci il tuo percorso. E poi - ed è la parte più bella - ha portato un arricchimento forte al mio vissuto emotivo, che è quello che bisogna portare in dote quando si fa il mio lavoro. Quindi anche sotto questo punto di vista mi ha migliorato". 

Lei è uno dei volti più amati della fiction italiana. Qual è il ruolo a cui deve di più? 
"In termini di opportunità che si sono aperte, in termini di corde che ho avuto modo di esprimere e che hanno portato altri ruoli, Cagliostro ha significato moltissimo, è stato una chiave di volta fondamentale nel mio percorso. Sono pienamente cosciente che se non ci fosse stata La Porta Rossa, anni dopo non avrei avuto l'opportunità di concorrere alla scelta del commissario Ricciardi, ad esempio. Fino ad allora avevo prevalentemente frequentato dei generi leggeri nella produzioni televisiva e invece con La Porta Rossa si è innestata un'altra marcia. Da lì è cominciata una storia più articolata nel mio percorso televisivo". 

Cosa c'è dietro la sua "porta rossa", quella da raggiungere a tutti i costi?
"Bella domanda (sorride, ndr). Dietro la mia porta rossa c'è il futuro della mia famiglia. Il futuro di mio figlio, di mia moglie, il mio e quello di noi tre insieme. Quello che spero riusciremo a fare insieme, io e mia moglie, è cercare di rendere più ricco e felice possibile nostro figlio". 

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