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Venerdì, 19 Aprile 2024
l'intervista

Mimosa Martini: "In tv informazione alla deriva, si pensa solo ai soldi". Da Lavrov su Rete4 al 'fenomeno D'Urso'

La giornalista, ex volto del Tg5, commenta l'ospitata del Ministro degli Esteri russo a Zona Bianca e fa una panoramica scoraggiante dell'attuale informazione televisiva

L'ospitata di Sergej Lavrov a Zona Bianca è solo la punta dell'iceberg. Lo spazio concesso al Ministro degli Esteri russo su Rete4, oltre ad aver sollevato una polemica mediatica e politica di grande portata, apre un vaso di Pandora in cui si nasconde un malandato stato di salute della tv italiana. O meglio, dell'informazione televisiva che presta spesso il fianco più all'intrattenimento che al giornalismo. Il Covid prima, la guerra in Ucraina adesso, il sovraccarico di news ha portato alla trasformazione - quasi del tutto radicale - di palinsesti, talk show e programmi all'occorrenza prestati alla cronaca. Una scelta per certi versi inattaccabile, ma quando a strizzare l'occhio al conduttore o dirigente di turno è lo share invece che l'informazione, il risultato è appunto un Lavrov che straparla in prima serata senza che qualcuno lo intervisti per davvero o lo contraddica davanti a certe castronerie

Il problema non è dare spazio a Lavrov, ma come. Ne parliamo con la giornalista Mimosa Martini, ex volto del Tg5 e per trent'anni in Mediaset - da cui si è licenziata - che fa una panoramica piuttosto scoraggiante dell'informazione televisiva. "Non c'è dubbio che da un punto di vista giornalistico si voglia intervistare Lavrov" afferma, mettendo sul tavolo un precedente, sempre di questa guerra: "Christiane Amanpour, un pezzo da novanta mondiale, ha intervistato Peskov, il portavoce di Putin. Lei era l'unica che poteva fare un colpo del genere, giornalista e donna di grandissimo potere. Quell'intervista nessuno ha osato criticarla, perché Peskov con lei ha abbassato le penne e risposto alle domande. Se non rispondeva, lei con grande pacatezza glielo faceva notare e le rifaceva la domanda. Perkov continuava a non rispondere e lei puntualizzava che non stava rispondendo. Così si fa. Anche la non risposta è una notizia. Nessuno critica lo spazio dato a Lavrov, ma la possibilità che gli è stata data per fare propaganda". 

Le responsabilità di Mediaset

L'intervista a Lavrov è oggettivamente un colpaccio giornalistico. Perché, tra tutti gli anchorman di casa Mediaset, affidarlo a Giuseppe Brindisi che alla polemica ha replicato: "Non toccava a me confutarlo"? Mimosa Martini non commenta le parole del conduttore, ma sul resto non ha dubbi: "So bene come nascono e crescono i personaggi lì, ma il problema è un altro. Quando hai un colpo giornalistico del genere, un'azienda editoriale, una testata, decide a chi far fare l'intervista. Non è Brindisi che ha chiamato Lavrov o viceversa. Allora diciamocela tutta, c'è una precisa scelta editoriale da parte di chi dirige editorialmente l'informazione. Un'azienda editoriale seria, che vuole davvero fare informazione, si cura dei suoi che sanno farla e in un caso del genere affida l'intervista al numero uno. Bisognava che ci fosse qualcuno in grado anche di contraddire l'interlocutore - continua - Uno che davanti all'affermazione 'Hitler era ebreo' interveniva per dire che è un falso storico, argomentando. A Lavrov è stato dato grande spazio, risalto, ed è un'operazione che se fatta in buona fede è un errore giornalistico, ma è chiaro che nasce anche il sospetto della cattiva fede". 

La tagliola degli ascolti tv e la deriva dell'informazione

Basta fare zapping per rendersi conto che quello di Lavrov non è un caso isolato. Sicuramente è il più eclatante, ma programmi e talk show di ogni rete non fanno mancare opinionisti filo-Putin, spesso messi lì con il solo scopo del "purché se ne parli". E soprattutto si guardi, visto che a dettare legge sono gli ascolti anche quando si tratta di informazione. Su questo Mimosa Martini concorda e aggiunge: "La televisione non fa informazione ma intrattenimento, questo si era visto già col Covid. L'informazione televisiva si basa unicamente sui dati di ascolto e i dati di ascolto sono soltanto il metro per far vendere e comprare pubblicità. Lo scopo è quello, non far crescere la società culturalmente o intellettualmente. Se l'informazione, che è uno dei capisaldi di una democrazia, finisce per essere unicamente strumento per vendere e fare soldi, ecco che succede".

Non si salva neanche il tg

Una "deriva" iniziata almeno vent'anni fa, continua la giornalista: "Questo non avviene solo nei programmi, il problema di guardare gli ascolti ha tracimato nei telegiornali. I tg hanno iniziato già vent'anni fa a controllare gli ascolti minuto per minuto. Allora le notizie di esteri, ad esempio, facevano meno ascolti? Si facevano più brevi. Oppure la cronaca trattata in modo morboso e il gossip fanno ascolti? Più cronaca, sangue, notizie sui reali. Il cucciolo del giorno. C'è stato un periodo in cui al tg delle 20 bisognava mettere l'immagine del cucciolotto del giorno perché alzava l'ascolto. E quindi capitava anche che si toglievano notizie per il cucciolo. Uno scandalo. Un telegiornale dura 30 minuti, davvero la gente per 30 minuti non può reggere l'informazione seria?". Di conseguenza, spiega ancora Mimosa Martini, "cambia anche la mentalità di chi fa questo lavoro, che a un certo punto accetta tutto. Una vera deriva e adesso ne stiamo raccogliendo i frutti. L'informazione televisiva italiana sta dimostrando in questo periodo tutte le sue debolezze, fragilità e pecche".

Gli ospiti acchiappa-ascolti

Tornando ai talk show - oggi monopolio del conflitto russo-ucraino - la tagliola degli ascolti inciderebbe non solo sulla conduzione ma anche sulla scelta degli ospiti. Qui Martini ci racconta un episodio personale: "Ormai il lavoro del giornalista o del conduttore è mantenere lo spazio conquistato e per riuscirci devi fare il lavoro sporco. Siccome sono diventati tutti identici, devi usare le stesse armi degli altri, a partire dagli ospiti. Sono sempre gli stessi, ospiti acchiappa-ascolti che si guardano solo per assistere alla baggianata del giorno. Una volta mi hanno invitato a una trasmissione e ho chiesto chi ci fosse perché non volevo incontrare una persona. Mi hanno risposto che aveva un'esclusiva per un circuito di trasmissioni. Un circuito. E non stiamo parlando di personaggi dello spettacolo, parliamo di giornalisti. Quindi ovvio che dietro c'è un giro di soldi, di amicizie, niente a che vedere con l'informazione. Ancora meno con l'informazione di un conflitto atroce, devastante, preoccupante, che non sappiamo a cosa porterà e quindi merita, anzi ci obbligherebbe tutti, con grande responsabilità, ad osservare e analizzare, cercando di capire cosa succede". Invece solo chiacchiere, ma in questo la giornalista è più clemente: "C'è da dire anche che reggere dopo due mesi è difficile. I talk hanno bisogno di tanti ospiti per coprire tutte quelle ore. Tanti ospiti però non è sinonimo di buona informazione, vuol dire sicuramente tante chiacchiere. Servono strumenti per riflettere". 

L'infotainment e il fenomeno Barbara D'Urso

Questo continuo parlarsi addosso tra informazione e intrattenimento è il paradigma di un filone televisivo che negli ultimi vent'anni è nato, cresciuto e ora sembra essere sulla via del tramonto. Stiamo parlando dell'infotainment, tradotto spesso negli ultimi anni con il termine 'tv del dolore', che ha trovato in Barbara D'Urso e nei suoi programmi l'apice della sua espressione. Anche qui la responsabilità è da individuare all'origine. Nulla di sbagliato nell'infotainment, ma quando a dettare legge sono altre logiche si apre una voragine. Sul fenomeno D'Urso per Mimosa Martini è semplice fare uno più uno: "L'infotainment bisogna saperlo fare e affidarlo a persone che abbiano un minimo di etica. Il giornalista, per quanto criticabile, deve rispondere a delle regole. Se lo togli al giornalista e lo dai alla persona di spettacolo succede quello che è successo. Sulla D'Urso ci fu una battaglia enorme, fin da subito, perché non era giornalista - spiega - Mi ricordo che in un periodo faceva pubblicità a una catena di studi dentistici e si sollevò una bufera. Allora, di corsa, si sono inventati un contratto giornalistico di praticantato, lei ha smesso di fare pubblicità, ma comunque c'erano contrattoni con gli agenti. Non c'è stato nessun tipo di sorveglianza, chi doveva protestare è stato messo a tacere. Parlo dell'Ordine dei Giornalisti, del Sindacato, in un modo o nell'altro si sono neutralizzati. E l'infotainment ha preso sempre più piede, ma è stato l'inizio della fine". E chi ci mette la faccia paga: "Ci sono dirigenti che hanno voluto tutto questo. Sono gli artefici, si sono battuti e arroccati su questa scelta e nonostante tutto l'hanno mantenuta. Loro però stanno sempre lì. Non dicono mai 'ho sbagliato', addossano le colpe agli altri. La D'Urso è stata spremuta e usata. Per anni ha campato come la reginetta del ballo, dopodiché, quando le critiche sono diventate troppe, hanno detto che il problema è lei. L'ho visto fare con tante persone, non solo dello spettacolo". 

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