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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Redazione

Le picconate di Raffaella Carrà a pregiudizi e discriminazioni: "Ha amato per tutti"

A differenza di tante altre personalità, che spesso ricevono solo da morte il plauso e il riconoscimento che meritano, Raffaella Carrà si era guadagnata già in vita l’appellativo di "mito". Ma non si diventa dei miti soltanto perché si è bravi in quello che si fa, come lei ovviamente era (Audrey Hepburn fu una sua grandissima fan, convinta che in America la Raffa nazionale sarebbe diventata una star ancora più grande): il duro lavoro e l'impegno consolidano quello che gli inglesi chiamano star quality, il carisma naturale di una persona che la porta a brillare nell'empireo della celebrità. La Carrà era un'icona. Qualche anno fa addirittura il Guardian lo aveva ricordato, definendola la "pop star italiana che ha insegnato all'Europa la gioia del sesso", una "pioniera che ha aiutato la gente a vivere vite più ricche di soddisfazioni, usando ritmi a cui nessuna persona con sangue nelle vene può resistere".

Tanti dive e divi sono considerati tali anche perché irraggiungibili, ma lei era una diva umanissima e questo il pubblico l'ha sempre sentito. L'unica torre d'avorio in cui si è chiusa, legittimamente, è stata quella costruita a protezione della propria privacy. Un riserbo mantenuto fino all'ultimo. Ma Raffaella Carrà si è sempre esposta e ha condiviso spesso con il suo pubblico pezzi della propria vita e delle proprie esperienze, non meno importanti di quei gesti e testi rivoluzionari che l'hanno resa famosa e "iconica" e che hanno contributo negli anni a dare piccole ma significative picconate al muro di oppressione, pregiudizio e discriminazione che incombeva sull'Italia di allora e anche su quella di oggi. Subito dopo la notizia improvvisa della sua scomparsa, e proprio mentre infuria il dibattito sul ddl Zan, sono tornate a "fare rumore" alcune sue interviste passate nelle quali parlava tra le altre cose di adozioni, omosessualità, diritti. Su Twitter c'è qualcuno che oggi scrive: "Chiamatela Legge Raffaella e approvatela domani". 

Qualche anno fa la Carrà diceva che per lei "il mondo non è fatto di gay e di etero, ma di creature", che le sembrava assurdo che "un transessuale con due lauree non trovi lavoro solo perché è nato in un corpo di maschio sentendosi donna" e che lei "cresciuta con una mamma single" non aveva potuto avere un figlio in adozione in quanto single. Parole semplici, il più delle volte domande retoriche che la Carrà si poneva e alle quali la risposta era implicitamente già data tanto dalle sue azioni quotidiane quanto anche dall’avanzamento stesso della società, in contrapposizione al ripiegamento di politici e legislatori, come spesso accade quando si tratta di diritti. Lo raccontava spesso: il padre assente, il divorzio "pionieristico" di sua madre, l'infanzia passata con mamma e nonna (e nurse inglese). "Oggi, quando si parla delle adozioni a coppie gay ma anche etero, faccio un pensiero: 'Ma io con chi sono cresciuta?' Mi rispondo: con due donne, mia madre e mia nonna. Facciamoli uscire i bambini dagli orfanotrofi, non crescono così male anche se avranno due padri o due madri. Io le ho avute. Sono venuta male?", si chiedeva, con grande semplicità e pragmatismo. Lei che non è mai riuscita a diventare madre ha cresciuto le figlie dell'allora compagno Gianni Boncompagni e ha fatto da "babbo" (parole sue) ai figli del fratello, prematuramente scomparso per un tumore. Una vita vissuta all'insegna della libertà, dell'autodeterminazione, dell'uguaglianza, della parità, dei diritti, con un solo grande faro: l'amore. L'amore per se stessi, quello per il proprio lavoro e quello per il prossimo. E tutto questo amore reclama sempre rispetto: per se stessi, per il proprio lavoro e per il prossimo. 

Per i funerali di Giuseppe Verdi, Gabriele d’Annunzio scrisse di lui: "Pianse e amò per tutti". Parafrasando, e mischiando un po' le carte in tavola tra i generi e i secoli, di Raffaella Carrà si potrebbe oggi dire: "Ballò e amò per tutti". 

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