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Venerdì, 29 Marzo 2024

Donatella Polito

Giornalista

Silvia Toffanin e le lacrime davanti a un pubblico che non vuole più piangere

Nel pomeriggio di una domenica già rabbuiata dall’ora solare appena scattata, un’ombra di cupa mestizia è calata sulle case degli italiani sintonizzati su Canale 5. Sincero il pianto di Silvia Toffanin che ascoltava la storia personale di Eleonora Pedron, verissimo proprio come il nome del talk show assurto a elegante rimpiazzo dei salotti di Barbara d’Urso. Qui non si urla, ma si parla piano, il tono di voce è misurato e, a domanda, si risponde placidi a una garbata intervistatrice che però poi, quando si commuove, è la fine. La fine della leggerezza promessa da un programma che vorrebbe coinvolgere e invece costringe all’empatia, della promessa di una lietezza che sfocia in scoramento, dell’obiettivo di far conoscere una triste vicenda famigliare che passa in secondo piano perché distratta dalla plateale afflizione della conduttrice.

Una sorella che muore, una mamma che grida di dolore, un padre che tenta di salvare la propria figlia durante un incidente stradale che gli sarà fatale, sono situazioni difficilissime da raccontare per chi le ha vissute. Chi le ascolta non può non restare indifferente, soprattutto se il modo di ripercorrerle ha la dignità propria di chi non vuole essere compatito, solo inteso. L’intensità della reazione, tuttavia, andrebbe rimessa alla sensibilità di ognuno, libero di dispiacersi tanto o solo un po’, di commuoversi oppure no, di annoiarsi o lasciarsi prendere dal momento. Ma se è la presentatrice ad aver bisogno dei kleenex posti come oggetto di scena accanto all’ospite, la faccenda cambia e, per quanto indubitabile il suo autentico coinvolgimento emotivo, lo spettatore ne resta stordito. E qualche domanda sull’andazzo attuale della tv se la pone.

Il pianto come format televisivo 

Il pianto televisivo ha sempre catturato l’attenzione del pubblico. Nella storia resta indimenticato quello di Sandra Milo, vittima nel 1990 di un terribile scherzo durante il programma di Rai3 L’amore è una cosa meravigliosa, quando una telefonata l’avvisò di un falso incidente del figlio e quel “Ciro Ciro Ciro” riecheggiò a lungo nelle cronache del tempo. Struggenti anche quelli degli innamorati che grazie ad Alberto Castagna e al suo Stranamore, misero da parte l’orgoglio con i primi videomessaggi oggi materiale indefettibile di C’è posta per te e, ancora, gli abbracci dei parenti ritrovati con le Carrambate dell’indimenticabile Raffaella. Con il tempo, l’emozione suscitata dalle lacrime di chi sta davanti a una telecamera è diventata caratteristica strutturale di un certo filone televisivo. La naturale tendenza all’immedesimazione nella sofferenza altrui è una silenziosa ma potentissima garanzia di successo.

Forse, però, adesso, a ridosso di un’emergenza sanitaria non ancora finita, la gente chiede altro, ha bisogno di altro. Magari di una tv che proponga riflessioni senza imporre reazioni, che intrattenga senza per forza dover urlare, stupire, turbare lo spettatore che di shock, in questi mesi, ne ha già subiti tanti e di piangere, in un tranquillo pomeriggio autunnale, non merita.

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