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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Giustiziato / Iran

Il professore e medico "italiano" condannato a morte sarà impiccato

L'esecuzione di Ahmadreza Djalali, scienziato e docente che ha lavorato anche in Italia, è stata confermata dalla magistratura iraniana. Non ci sarà uno scambio di prigionieri con due ex funzionari di Teheran detenuti in Belgio e Svezia

Ahmadreza Djalali sarà certamente giustiziato, per impiccagione. A uccidere la speranza di una diversa soluzione nel caso del ricercatore con passaporto iraniano e svedese condannato a morte in Iran, sono state ieri le parole di Massoud Setayeshi, portavoce della magistratura iraniana. L'esecuzione della condanna era inizialmente prevista per il 21 maggio, poi è stata sospesa su richiesta dell'avvocato di Djalali. Ora la magistratura di Teheran ha terminato la procedura di revisione del suo caso: la sentenza è stata confermata e sarà portata a compimento "a tempo debito".

Secondo quanto ci ha raccontato Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty International Italia, in questa intervista, c'era il timore fondato che le autorità iraniane stiano minacciando di mettere a morte Djalali per costringere Belgio e Svezia a consegnare due ex funzionari iraniani e a spingere questi due Stati, tra gli altri, a non avviare ulteriori procedimenti giudiziari nei confronti di alcuni funzionari di Teheran. I due ex funzionari sono Asadollah Asadi, un ex diplomatico iraniano che sta scontando una condanna a 20 anni in Belgio in relazione a un attentato poi sventato in Francia; e Hamid Nouri, ex dirigente penitenziario sotto processo in Svezia per la sua presunta partecipazione ai massacri del 1988 nelle prigioni iraniane, contro il quale la sentenza è attesa il prossimo 14 luglio.

Nelle scorse ore, però, la magistratura iraniana ha escluso l'ipotesi secondo cui, per via della sua doppia nazionalità iraniana e svedese, Djalali potrebbe essere scambiato con un detenuto iraniano. "Non c'è alcun piano per scambiare Nouri con Djalali e quest'ultimo verrà giustiziato a tempo debito", ha affermato Massoud Setayeshi.

La storia di Ahmadreza Djalali, condannato a morte in Iran

Ahmadreza Djalali, 50enne di origini iraniane, è scienziato, docente e ricercatore in medicina dei disastri e assistenza umanitaria. Passaporto iraniano e svedese, nel 2009 ha lasciato il suo paese per un dottorato di ricerca al Karolinska Institutet in Svezia, dove risiedeva prima che il suo calvario cominciasse. Ha poi lavorato all'università degli studi del Piemonte orientale, a Novara, e in Belgio, a Bruxelles. È stato condannato a morte e a pagare 200mila euro di multa per "corruzione sulla terra" ("efsad-e fel-arz"), dopo un processo-farsa davanti alla sezione 15 della corte rivoluzionaria di Teheran. L'accusa nei suoi confronti è di aver lavorato come spia per Israele nel 2000. Secondo uno dei suoi avvocati, il tribunale non ha fornito alcuna prova per giustificare queste accuse. Il giudice non ha fornito una copia del verdetto, che è stato letto in tribunale il 21 ottobre 2017 in presenza di uno dei legali di Djalali.

L'uomo, che ha insegnato in diverse università in Belgio, Italia e Svezia, era in viaggio in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz, quando è stato arrestato dai funzionari del ministero dell'intelligence di Teheran, nell'aprile del 2016. Dopo l'arresto, per dieci giorni nessuno ha informato la sua famiglia sul luogo di detenzione. Il 50enne è stato tenuto in una località sconosciuta per una settimana, prima di essere trasferito alla sezione 209 del carcere Evin di Teheran, dove è stato detenuto per sette mesi, di cui tre in isolamento. Successivamente è stato spostato nella sezione 7 della stessa prigione. Djalali ha raccontato che, mentre era in isolamento, gli è stato negato l'accesso a un avvocato: è stato costretto a fare "confessioni" davanti a una videocamera leggendo dichiarazioni scritte da altri. L'uomo sarebbe stato sottoposto a forti pressioni, con tortura e altri maltrattamenti, incluse minacce di morte anche verso i figli che vivono in Svezia e la sua anziana madre che vive in Iran. Tutto questo per fargli "confessare" di essere una spia.

Ahmadreza Djalali ha sempre negato le accuse, sostenendo che siano state fabbricate ad arte dalle autorità. In una lettera dell'agosto del 2017 scritta dalla prigione di Evin, ha affermato che sono state le autorità iraniane nel 2014 a chiedergli di "collaborare con loro per identificare e raccogliere informazioni provenienti dagli Stati dell'Ue. La mia risposta è stata "no" e ho detto loro che sono solo uno scienziato, non una spia". Il ricercatore ha detto di essere stato trattenuto esclusivamente a causa del suo rifiuto di utilizzare i suoi legami accademici con le istituzioni europee per spiare per conto delle autorità iraniane.

Il 24 ottobre 2017, durante una conferenza stampa con i giornalisti, il procuratore generale di Teheran, Abbas Ja’fari Dolat Abadi, ha detto - senza specificare il nome di Ahmadreza Djalali - che "l'imputato" aveva tenuto diversi incontri con l'agenzia di intelligence israeliana Mossad, e che forniva loro informazioni sensibili su siti militari e nucleari iraniani in cambio di soldi e della residenza in Svezia. Accuse infondate, secondo la sua famiglia e secondo le organizzazioni internazionali per i diritti umani, che continuano a chiedere alle autorità iraniane di annullare la condanna a morte dello scienziato e di consentire il ritorno immediato di Djalali a Stoccolma, dove risiedono la moglie Vida Mehrannia e i due figli che non vede da sei anni.

"Una sentenza inumana e impossibile da accettare"

Speranze che però ora sembrano vane, dopo la conferma della condanna a morte. Per il ricercatore, cittadino onorario di Novara, sono arrivati altri appelli nelle scorse ore. "Come è già stato fatto in passato, manderemo in queste ore una lettera al governo iraniano per rivedere questa sentenza, che consideriamo inumana e impossibile da accettare. Esploreremo ancora una volta tutte le vie diplomatiche", ha detto il rettore dell'università del Piemonte orientale Gian Carlo Avanzi. "Ancora una volta si esprime solidarietà e vicinanza al dottor Djalali, alla sua famiglia e ai suoi amici - ha scritto la provincia di Novara -, insieme con la volontà di continuare a far sentire in tutte le sedi e in tutti i modi la propria voce di massima contrarietà, con quelle di tutte le istituzioni locali, per poter fermare questa barbara sentenza".

"Una notizia che non avremmo mai voluto leggere e che apprendiamo con profondo dispiacere. Purtroppo le azioni messe in campo fino ad ora ad ogni livello istituzionale non hanno ancora avuto esito positivo, ma non è questo il momento di arrenderci", ha detto il consigliere regionale democratico Domenico Rossi. "Non possiamo arrenderci a questa sentenza inumana e senza appello - commentano i leghisti di Novara Riccardo Lanzo, Federico Perugini e Letizia Nicotra -, arrivata al termine di una vicenda processuale che ha sollevato l'indignazione della comunità internazionale. Di fronte alla definitiva decisione del tribunale di Teheran la nostra unica speranza è che la diplomazia italiana possa ancora intervenire presso il governo dell'Iran per scongiurare la sua impiccagione".

La storia del professore e medico "italiano" condannato a morte in Iran
 

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