La sete di gas dell'Italia (e dell'Europa) che alimenta il regime in Algeria
Il giorno prima della visita di Meloni, il governo di Algeri ha sciolto la principale organizzazione per i diritti umani del Paese. Lanciando un segnale di forza all'opposizione
Il giorno prima della visita di Giorgia Meloni, la leadership algerina ha pensato bene di lanciare un messaggio chiaro agli oppositori politici, sciogliendo la principale organizzazione del Paese per la difesa dei diritti umani, nonché una delle principali anime del movimento Hirak che dal 2019 si oppone al presidente Abdelmadjid Tebboune. "Paghiamo il nostro impegno per la democrazia e la libertà", si legge in una nota della Laddh, la Lega algerina per la difesa dei diritti umani.
Cos'è il Piano Mattei di cui parla tanto Giorgia Meloni
Lo scioglimento della Laddh è solo l'ultimo atto di una stretta sempre più forte del governo di Algeri nei confronti della società civile dopo le elezioni turbolente del 2019, alle quali andò a votare appena il 40% degli elettori. Secondo l'indice sulle democrazia dell'Economist, nel 2022, tre anni dopo l'ascesa al potere di Tebboune, il Paese nordafricano era da considerare a tutti gli effetti un regime autoritario, alla stregua della Russia. E proprio come il regime di Vladimir Putin, quello del presidente algerino sta facendo delle sue enormi riserve energetiche, in particolare di gas, uno strumento per consolidare il potere interno, e rafforzare la sua posizione sulla scacchiere internazionale.
Su Algeri, tanto più dopo la guerra in Ucraina, si sono concentrate le attenzioni dell'Europa per trovare forniture supplementari di gas. E l'Italia ha sfruttato subito i suoi buoni rapporti con il Paese per aumentare i flussi non solo per il proprio mix energetico, ma anche per quello del resto del continente. Dopo una prima missione di Mario Draghi, che aveva già portato a fare dell'Algeria il primo fornitore di gas del Paese, la premier Meloni ha voluto ribadire l'interesse italiano verso Algeri recandosi lunedì scorso direttamente alla corte di Tebboune.
Tanto con Draghi, quanto con Meloni, in prima fila nelle missioni algerine c'era l'Eni, forte del suo rapporto di lunga data con la "Gazprom africana", la Sonatrach (proprietaria, tra l'altro, della raffineria di Augusta, in Sicilia): con Sonatrach, l'Eni ha, tra gli altri progetti comuni, una joint venture per la gestione del Transmed, il gasdotto che arriva in Sicilia attraversando la Tunisia. E sul Transmed si gioca una partita che potrebbe fare dell'Italia l'hub del gas non solo algerino, ma africano: da un lato c'è il Trans-Saharan, il maxi gasdotto in fase di progettazione che collegherebbe la Nigeria (altro Paese in ottimi rapporti con Eni) con l'Algeria. Dall'altro, c'è il Galsi, altro gasdotto in fase di progettazione che allungherebbe i tubi del Transmed fino alla Sardegna, per poi inabissarsi di nuovo raggiungendo la Toscana, e da qui, è la speranza italiana, fino al resto di un'Europa "orfana" della Russia.
Il progetto piace a tanti, e vede impegnati altri pezzi grossi dell'energia tricolore come Edison, Enel e il gruppo Hera. Ma la lista degli interessi italiani in Algeria non si esaurisce al gas: altre aziende hanno cominciato a inserirsi in quello che potrebbe essere il business del futuro, ossia l'idrogeno verde prodotto dagli impianti fotovoltaici. Il potenziale per un Paese che ha la decima estensione geografica al mondo, e che è ricoperto per lo più da deserto, è enorme. Ma tra i sogni di gloria italici e la realtà ci sono di mezzo una serie di questioni che potrebbero complicare il quadro. Ci sono le tensioni tra Algeri e la Spagna, per esempio, animate a sua volta dalle tensioni con il vicino Marocco. Ci sono i rapporti con la Francia, che sta cercando di ricucire con la sua ex colonia. E non per ultimo c'è la questione dei diritti umani.
Perché l'Italia punta sull'Algeria
Il caso della dissoluzione della Laddh non è un buon biglietto da visita: se in Italia la politica può chiudere più di un occhio, non è detto che lo faccia l'Europa, tanto più dopo lo scandalo del Qatargate. Il francese Thierry Mariani, deputato al Parlamento europeo e alleato a Strasburgo della Lega, ha in questi giorni tuonato contro i presunti doppi standard dell'Ue: "Tollerando tutto dall'Algeria e criticando sistematicamente il Marocco, l'Ue e Macron stanno rafforzando il regime di Algeri e sconvolgendo tutti coloro che, con i militanti di Hirak, chiedevano un vero cambiamento", ha scritto su Twitter. Una posizione che non è isolata.