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Giovedì, 18 Aprile 2024
Geopolitica

Quando l'Italia vendeva le armi alla Libia

La crisi nel Paese non è mai passata: da quando il regime di Gheddafi è caduto non si è mai smesso di combattere. Adesso si ragiona sull'intervento italiano, anche se fino a qualche anno fa le armi che arrivavano qui erano made in Italy

Nel 2009 Gheddafi veniva accolto a Roma dall'allora premier Silvio Berlusconi. In ballo c'erano diverse questioni, tra cui quella dell'immigrazione. L'accordo stilato dai due leader arrivò dopo giorni di mediazione: fermare le partenze dei migranti dalle coste libiche, in modo da evitare la traversata verso Lampedusa. Così, come documentato da Fabrizio Gatti su L'Espresso, i clandestini in Libia venivano portati al confine, nel mezzo del deserto e qui morivano di fame, sete e arsura.

I RAPPORTI TRA ITALIA E LIBIA - Da sempre il nostro Paese e la Libia hanno stretti rapporti istituzionali. Tutto comincia nel 1911 quando il governo Giolitti decide di conquistarsi "un posto al sole" e di far partire la campagna per la colonizzazione che sembrava tutta in discesa. In realtà dura ben 30 anni e qui combatte anche Mohammad Gheddafi, che prenderà il potere nel 1969. Dagli anni '70 in poi il petrolio viene nazionalizzato ma gestito dal nostro Paese. Per questo arrivano sedi di Eni, Enel, Saipem. In cambio del petrolio, l'Italia e la Francia (presenti in Libia con Suez, Gas de France, Edf ed Edison) forniscono armi. 

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TENDE A ROMA E PISTOLE A TRIPOLI - Quando nel 2009 Gheddafi piantò la sua tenda a Villa Pamphili a Roma, con sé portava un documento che ha dato il via a oltre 10mila pistole e fucili Beretta per un viaggio dall'Italia alla Libia ben prima della guerra civile nel Paese. Come spiegava Francesco Vignarca su Altreconomia, non si trattava solo di armi ordinarie:

7.500 pistole, 1.900 carabine e 1.800 fucili finiti alla fine del 2009 nelle mani del settore di Pubblica Sicurezza del Comitato Popolare Generale (l'istituzione di Governo Libica)

Già il 9 novembre la Beretta ha emesso le relative fatture (24 per la fornitura di pistole e carabine e 5 per i fucili). L'Italia non avrebbe dichiarato all'UE la propria vendita e nessuno avrebbe potuto conoscere l'esatto numero di pistole e fucili consegnati. "Autorizzati come armi ad uso civile e poi finiti molto probabilmente sulle piazze degli scontri che hanno causato almeno duemila morti": gli scontri si cui parla Vignarca nel suo articolo sono quelli che nel 2011 hanno portato alla deposizione e all'uccisione di Gheddafi. 
 



IL CAOS - Dal 2011 la Libia è nel caos: l'Italia bombarda e intanto si scontrano senza tregua fazioni, bande, gruppi politici ed eserciti privati. Alcuni di questi sono mercenari dell'Africa subsahariana al soldo di Gheddafi. Così scatta la caccia all'uomo: chi ha la pelle scura potrebbe combattere per il Comandante e quindi deve essere ucciso. Moltissimi erano i migranti dell'Africa del sud fermi sulle coste, a causa degli accordi Berlusconi-Gheddafi. Per evitare quella "caccia all'uomo" la maggior parte di loro tentava la traversata in mare, affogando o arrivando a Lampedusa (insieme ai profughi delle varie "primavere arabe") e facendo esplodere sulle nostre coste l'emergenza migranti.

NIENTE GUERRA, C'E' IL PETROLIO - In tutto questo l'Italia ha continuato a fare affari con la Libia, tanto che la nostra ambasciata è stata l'ultima a lasciare il paese e che, quando è scattata l'operazione di alleggerimento della Farnesina, molti di coloro che rientravano erano tecnici o dirigenti Eni ed Enel.

Come intervenire militarmente adesso, in un territorio con cui ci sono tanti interessi economici? Ma soprattutto contro chi si combatterà? Contro il Califfato? "La situazione in Libia è fuori controllo da tempo, non solo perché è arrivato il "marchio Isis". Da quando Gheddafi è caduto è il caos. Un intervento di guerra alimenterebbe questa situazione. Ci sono nel paese oggi centinaia di gruppi e gruppuscoli che si fanno la guerra. Chi si andrebbe a bombardare esattamente? Quello militare è uno strumento: se non si conosce l'obiettivo da ottenere non serve a nulla. La situazione non è chiara e utilizzare le armi servirebbe solo a "fare qualcosa e non a risolverla" conclude Vignarca in un'intervista a Radio Città Fujiko

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