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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il fenomeno / Bolivia

Il Paese dove i soldi evaporano

In Bolivia la paura di una crisi valutaria sta creando lunghe file davanti agli istituti di credito, con i cittadini in cerca dollari mentre il governo mira al rilancio dell'economia per aumentare le scarse riserve finanziarie

Nel centro di La Paz migliaia di boliviani hanno dato vita a code infinite davanti alla Banca centrale per provare ad ottenere quello è che è diventato il bene più raro nel Paese: i dollari. La crisi finanziaria che da anni interessa la nazione ha dilapidato le riserve di valuta estera detenute dal governo. Lo stato di abbandono in cui da tempo versa il principale settore di esportazione del Paese, quello del gas naturale, ha impedito all’attuale esecutivo, guidato dal socialista Luis Arce, di raccogliere i fondi necessari al sostegno della valuta nazionale.

I residenti della città che si trova a più di 3,5mila metri di altezza, hanno iniziato a radunarsi sotto la sede dell’istituto bancario boliviano nelle prime ore della serata di ieri. Infreddoliti dalle basse temperature andine, in molti hanno trascorso l’intera nottata accampati sui marciapiedi, in attesa del loro turno. "Immaginate quanto tempo stiamo perdendo per una transizione che dovrebbe essere semplice", ha dichiarato un’avvocatessa in fila che stava cercando di prelevare 5mila dollari. La carenza di valuta americana in Bolivia interessa l’intero sistema delle banche commerciali e degli uffici, si tratta di una scarsità così profonda da lasciare sprovvisto anche il mercato nero. Secondo l’ultimo rapporto governativo, citato da Globo, l’ammontare delle riserve nazionali non supererebbe i 372 milioni di dollari, sufficienti a coprire appena due settimane di importazioni. Inoltre, una buona parte di questi sarebbe detenuta in oro, e non sarebbe possibile per il governo di Arce convertire una grossa fetta di queste riserve auree in dollari stando ad una legge parlamentare che l’esecutivo sta cercando di modificare.

Dallo scorso febbraio la Banca centrale ha smesso di segnalare il valore delle riserve estere, in concomitanza con la richiesta del governo boliviano diretta ai cittadini di ridurre il prelievo o l’acquisto di dollari. Per tutta risposta, la popolazione si è allarmata, ed una buona parte si è affrettata a ritirare i propri risparmi o a comprare valuta estera, memore del passato iperinflazionistico della nazione, un ricordo ancora vivo nella mente di tutti i boliviani. "Negli anni 80’ i miei genitori giravano con uno zaino pieno di banconote per fare la spesa, un sacco di soldi che non valevano nulla, ecco perché siamo allarmati", ha detto Violeta Lopez, una casalinga rimasta più di sei ore in fila per cercare di ritirare qualche migliaio di dollari. La paura maggiore è quella che possa innescarsi da un momento all’altro una spirale negativa dei prezzi capace di dissipare in un lampo il valore della moneta nazionale, il boliviano.

L’attuale situazione ha portato il governo socialista a rafforzare le misure contro i traffici illeciti di valuta, basti pensare che nel giro di sole 24h le forze di polizia hanno arrestato 13 persone con l’accusa di commercio nero la scorsa settimana. Questa crisi parte da lontano, secondo diversi economisti, tra cui il boliviano Antonio Saraiva, risale al 2006, con la salita al potere di Evo Morales. Alla vittoria del leader di sinistra è seguita la nazionalizzazione dei giacimenti di gas, nonché delle raffinerie in mano a Repsol, Total e Petrobas, sul modello venezuelano. In un primo momento questa mossa ha dato i suoi frutti, la Bolivia ha raccolto fondi grazie al rialzo dei prezzi internazionali di petrolio e gas, ha visto la sua economia quadruplicarsi e la vita della sua popolazione migliorare di conseguenza. Tuttavia, questi felici sviluppi non sono stati accompagnati da investimenti sull’esplorazione del sottosuolo boliviano, finalizzati alla ricerca di nuovi giacimenti, né tantomeno ci si è mossi verso una diversificazione economica che permettesse al Paese di diminuire la dipendenza esclusiva dal gas naturale.

Nel corso degli anni le riserve di gas sono diminuite, così come le esportazioni, dimezzatesi nel 2014 e destinate ad esaurirsi entro il 2030, secondo la società di consulenza Wood Mackenzie. "La produzione in Bolivia è in costante calo dal 2015", ha affermato Amanda Bandiera, analista presso Wood Mackenzie, "con poche nuove scoperte e poca offerta di giacimenti maturi, la produzione diminuirà ad un ritmo più elevato del previsto. Attualmente la domanda interna consuma il 30% dell’offerta totale, entro la fine del decennio la domanda supererà l’offerta ed il Paese diventerà un importatore".  

Arce, che è stato ministro delle Finanze per gran parte del mandato di Morales, durato 14 anni, sta cercando di invertire la tendenza intensificando la ricerca di pozzi esplorativi. "È necessario investire in modo aggressivo nei campi di esplorazione e sviluppo, oggi stiamo pagando il prezzo per non averlo fatto prima", ha detto Marcelo Montenegro, attuale ministro delle Finanze. L’esecutivo sta approfittando della carenza di offerta di gas sul mercato internazionale per alzare i prezzi e contemporaneamente sta lavorando sullo sviluppo di biocarburanti. Il Paese può contare anche sulle sue enormi riserve di litio, le più vaste al mondo, grazie alle quali ha già stilato un contratto da un miliardo di dollari con Contemporary Amperex Technology, produttore cinese di batterie, per consentire lo sfruttamento delle riserve site nelle saline boliviane. Il Paese ha bisogno di tracciare più strade, trovare diversi partner ed espandere il suo potenziale, tutte cose che, secondo gli analisti, non accadranno nel breve periodo.     

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