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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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La cacciata di Morales e il perché della crisi in Bolivia in quattro punti (e un paradosso)

Il presidente della Bolivia Evo Morales è stato costretto a dimettersi e a chiedere rifugio politico in Messico. In molti parlano di un "golpe" mentre nelle strade di La Paz si vivono scene da guerra civile: ecco cosa sta succedendo e le cause della crisi

Evo Morales si è dimesso da presidente della Bolivia e si è rifugiato in Messico. È l'epilogo dopo tre settimane di proteste per i sospetti di brogli alle elezioni di ottobre. Morales è stato il primo presidente indigeno della Bolivia, ed era al potere da oltre 13 anni. "La lotta continua" ha detto l'ex presidente boliviano appena sbarcato a Città del Messico, paese che gli ha offerto asilo politico.

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Morales ha ribadito di essere stato rovesciato da un "golpe" sostenendo che un militare della sua scorta gli ha confidato di aver ricevuto un'offerta di 50mila dollari per arrestarlo. Una trama che nella narrazione di Morales vede un complotto ordito dall'opposizione dopo il "trionfo" ottenuto alle elezioni del 20 ottobre.

"Se ho una colpa - ha dichiarato - è quella di essere un indigeno di aver realizzato programmi sociali per i più umili e di essere anti imperialista".

C'è un paradosso dietro la crisi in Bolivia: il paese andino vive un piccolo "miracolo economico" con un'aspettativa di vita passata da 56 a 71 anni in un ventennio, la povertà assoluta più che dimezzata (dal 35% al 15%), una disoccupazione al 4% e una crescita del pil al 4,1% (il migliore del Sudamerica). Molto è frutto di sussidi, creazione di reti idriche, elettriche, e l’adozione di un programma di assicurazione sanitaria universale.

Morales, che cosa è successo in Bolivia

Come dicevamo la crisi odierna nasce dalla denuncia di brogli elettorali. Ma la crisi politica ha radici nel 2016 quando un referendum ha bocciato una modifica della Costituzione voluta da Morales per cancellare il limite di due mandati alla presidenza. Ma il partito di Morales ha ottenuto dalla Corte Costituzionale una sentenza che dichiarava i limiti di mandato una violazione del diritto di un cittadino a candidarsi. Così si arriva alle elezioni presidenziali del 2019 tra vibranti proteste contro la ricandidatura del presidente uscente al terzo mandato.

Al termine delle elezioni del 20 ottobre scorso Morales si è proclamato vincitore al primo turno dopo che le autorità elettorali avevano sospeso per 24 ore lo spoglio pubblico dei voti: con il 90% delle schede scrutinate sembrava certo che non avrebbe ottenuto il vantaggio necessario ad evitare il ballottaggio con Carlos Mesa, il candidato dell'opposizione che ha subito denunciato "una frode gigantesca".

Il Consiglio permanente dell'Organizzazione degli stati americani ha poi avuto un ruolo chiave nella crisi in corso nel Paese latinoamericano: gli ispettori dell'Osa - che Morales aveva accettato per una revisione dei risultati elettorali e delle modalità di spoglio - hanno presentato un rapporto in cui si denunciavano diverse irregolarità, raccomandando nuove elezioni. La richiesta era stata accolta da Morales che, sempre domenica, aveva annunciato nuove elezioni, poche ore prima di essere costretto a dimettersi dalle opposizioni, con il sostegno di polizia e Forze Armate.

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Manifestanti a La Paz festeggiano le dimissioni di Evo Morales

In Bolivia c’è stato un golpe?

Per i sostenitori di Morales, come il presidente argentino Alberto Fernandez, nel paese andino è in atto “un colpo di Stato”. Per altri, come il presidente americano Donald Trump, è “un momento significativo per la democrazia”.

Decisivo è stato il voltafaccia dell’esercito che tramite il comandante generale delle forze armate Williams Kaliman ha "suggerito" a Morales di dimettersi, "“consentendo la pacificazione e il mantenimento della stabilità". Nei giorni scorsi, in solidarietà con Morales, avevano rassegnato le dimissioni anche il vicepresidente e i presidenti dei due rami del parlamento: le cariche istituzionali più importanti del paese.

Una seduta straordinaria del Parlamento boliviano è stata convocata a La Paz per "assicurare il funzionamento istituzionale e nominare nuove autorità che garantiscano un nuovo processo elettorale".

Non è affatto chiaro chi assumerà la presidenza e convocherà le prossime elezioni. A rivendicare l’incarico è Jeanine Anez Chavez, vice-presidente del Senato ed esponente del partito di opposizione Unione Democratica. La Costituzione non è chiara al riguardo, di sicuro il passaggio dei poteri dovrà essere approvato dal parlamento, che però è controllato dal partito di Morales, il Movimiento al Socialismo.

Nel paese il rischio di scontri violenti è concreto: centinaia di campesinos che sostengono Morales si sono messi in marcia verso il centro della capitale La Paz e si sono registrati vandalismi e violenze da parte di militanti di entrambi gli schieramenti, con incendi e saccheggi di negozi e supermercati.

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