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Sabato, 1 Aprile 2023
il caos / Libia

Un nuovo rischio per l'energia italiana arriva dalla Libia

Con la riduzione dell'export di greggio, i rifornimenti in Europa rischiano di andare in tilt, facendo schizzare i prezzi del barile sul mercato

Lo spettro delle “primavere arabe” ritorna sulla Libia, il paese nordafricano dove si consuma uno stallo istituzionale con due governi che da marzo si contendono il potere. Da giorni, c’è alta la tensione nel paese, dopo gli scontri di piazza che hanno interessato tutte le principali città libiche: da Tripoli a Misurata e Tobruk migliaia di persone hanno protestato contro il netto peggioramento delle condizioni di vita e la paralisi della politica nazionale. 

La crisi istituzionale ed economica

In Cirenaica lo scorso 1° luglio è stato assaltato e devastato l'edificio che ospita il Parlamento di Tobruk, dove i manifestanti hanno distrutto documenti, scrivanie, scaffali mentre la piazza scandiva lo slogan più noto delle rivolte arabe del 2011: “Il popolo vuole la caduta del regime”. Il presidente della Camera dei rappresentanti libica, Ageela Saleh, ha accusato i sostenitori del precedente regime di Gheddafi di aver deliberatamente appiccato il fuoco scorso alla sede del Parlamento a Tobruk, sostenendo che bruciare la sede del Parlamento è un atto premeditato per rovesciare l'autorità legislativa.

I libici sono stanchi di non ricevere risposte da una classe politica giudicata incapace di risolvere i problemi della vita quotidiana dei cittadini e di guidare il paese verso nuove elezioni, dopo l’annullamento di quelle previste lo scorso dicembre. La comunità internazionale guarda con attenzione gli sconvolgimenti interni, dal momento che il paese è cruciale per l’approvvigionamento di petrolio e per la sua posizione nel Mediterraneo. Ma la Libia è abbandonata al suo destino.

Il paese è diviso a metà. Dopo la fine dell’ex regime di Muammar Gheddafi, deposto e ucciso nel 2011, in Libia ci sono stati diversi tentativi di instaurare un governo che potesse assicurare una stabilità interna - cercando di controllare i ripetuti round di conflitto tra i leader di Tripoli e Bengasi - e una continuità per gli affari finiti nel mirino degli occidentali.

Attualmente, l'ex ministro dell'Interno Fathi Bashagha (sostenuto dall’uomo forte Khalifa Haftar) è il premier ad interim del Governo di stabilità nazionale, ma non è riconosciuto dalla comunità internazionale; al contrario, invece, Abdel Amid Dbeibah, nominato premier ad interim con l’approvazione delle Nazioni Unite per condurre il Paese alle elezioni che avrebbero dovuto sancire la riunificazione nazionale, rifiuta di farsi da parte e di voler lasciare Tripoli. Proprio il premier libico Dbeibah, sostenuto dalla comunità internazionale, ha lanciato un vero e proprio grido d’aiuto, invocando dimissioni collettive di tutte le istituzioni politiche e cittadini subito al voto.

Un volano per i prezzi del gas

La guerra in Ucraina si fa sentire anche in Libia, che importa quasi tutto il suo cibo dal paese devastato dalle truppe del Cremlino. Il conflitto in Ucraina ha fatto salire i prezzi al consumo e ha colpito il settore energetico, già provato delle divisioni politiche interne degli ultimi anni. 

I pozzi del petrolio sono infatti ostaggio della guerra civile. Gli idrocarburi sono la principale fonte di reddito del paese: la National Oil Corporation ha annunciato perdite per oltre 3,5 miliardi di dollari a causa delle chiusure e del calo della produzione di gas. Il colosso è stato costretto a fermarsi dopo che gruppi armati avevano minacciato i dipendenti dell’impianto.

Per le compagnie petrolifere straniere che operano in Libia (tra cui l’italiana Eni presente nel paese da più di 40 anni) è di primaria importanza garantire la sicurezza degli impianti e del personale. Una decisione che impone un limite nella produzione del greggio: gli impianti non possono infatti operare al massimo delle loro potenzialità.

Con la riduzione dell'export di greggio, i rifornimenti in Europa rischiano di andare in tilt, facendo schizzare i prezzi del barile sul mercato. I future sul petrolio Brent per settembre sono scivolati dello 0,12%, a 111,50 dollari al barile dopo essere balzati del 2,4% venerdì 1° luglio. I future sul greggio US West Texas Intermediate (Wti) con consegna ad agosto sono scesi dello 0,10%, a 108,33 dollari al barile, dopo essere saliti del 2,5% all'ultimo closing.

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