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Giovedì, 25 Aprile 2024
La repressione / Iran

Che cos'è la polizia morale iraniana accusata della morte di Mahsa Amini

Fino al 2005, l'anno di istituzione del Gasht-e Ershad, i codici di abbigliamento venivano fatti rispettare in modo informale da altre forze dell'ordine e unità paramilitari iraniani

La polizia morale iraniana (Gasht-e Ershad, in persiano), tornata sotto i riflettori internazionali a seguito della morte della giovane Mahsa Amini - deceduta lo scorso 16 settembre a Teheran mentre era detenuta dall'apparato disciplinare iraniano per non avere indossato correttamente il velo islamico - è finita nel mirino di Washington. 

Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla polizia morale iraniana, accusandola di abusi e violenze contro le donne iraniane e ritenendola responsabile della morte della 22enne Mahsa Amini. Come si legge una nota del Tesoro degli americano, sono stati sanzionati sette alti funzionari dell'esercito e della sicurezza iraniani, incluso il capo delle forze di terra dell'esercito iraniano. "Condanniamo questo atto nei termini più duri e chiediamo al governo iraniano di mettere fine alla violenza contro le donne", afferma il segretario al Tesoro Janet Yellen. 

La storia di Amini ha riportato alla ribalta l'apparato disciplinare iraniano, sollevando la questione della responsabilità e dell'impunità di cui gode l'élite clericale del Paese. Da giorni, centinaia di manifestanti stanno sfidando la dura repressione e chiedono l'abolizione del corpo di sicurezza chiamato “pattuglie della morte”.

Perché è nata la polizia morale iraniana

La polizia morale è un corpo delle forze dell'ordine iraniano istituito nel 2005 con il compito di arrestare le persone che violano il codice di abbigliamento. Secondo la legge iraniana, che si basa sull'interpretazione della Sharia, le donne sono obbligate a coprirsi i capelli con un hijab (velo) e indossare abiti lunghi e larghi per mascherare la propria figura.

La polizia morale si occupa quindi di far rispettare il codice di abbigliamento per le donne introdotto all'indomani della fine della Rivoluzione islamica iraniana nel 1979, che trasformò la monarchia del paese in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira alla legge coranica. Nell'Islam, l'hijab rientra in quello che è considerato un abbigliamento modesto. 

Il 7 marzo 1979, il leader della rivoluzione, l'ayatollah Ruhollah Khomeini, decretò che l'hijab sarebbe stato obbligatorio per tutte le donne sul posto di lavoro e che considerava le donne scoperte come "nude". Le autorità iraniane avevano come obiettivo quello di far vestire le donne in modo modesto.

Il decreto però non era stato accolto positivamente. Più di 100mila persone, per lo più donne, si sono radunate nelle strade di Teheran il giorno successivo - Giornata internazionale della donna - per protestare contro l'obbligo dell'hijab. Nel 1983, il parlamento decise che le donne che non si coprivano i capelli in pubblico potevano essere punite con 74 frustate. Più recentemente, l'organo legislativo ha introdotto un emendamento alla legge, aggiungendo un pena carcerario fino a 60 giorni.

Fino al 2005, l'anno di istituzione del Gasht-e Ershad, i codici di abbigliamento venivano fatti rispettare in modo informale da altre forze dell'ordine e unità paramilitari iraniani. La polizia morale è spesso composta e sostenuta dal Basij, una forza paramilitare inizialmente mobilitata per combattere nella guerra tra Ira e Iraq negli anni '80. Basij è presente in tutte le università iraniane per controllare l'abbigliamento e il comportamento delle persone, dal momento che gli atenei sono i luoghi in cui uomini e donne studiano e frequentano corsi insieme per la prima volta dall'inizio dei loro studi.

La polizia morale è spesso criticata dal pubblico per il suo approccio pesante. Le persone arrestate dalla polizia morale ricevono un avviso o, in alcuni casi, vengono portate in "strutture di correzione" o in una stazione di polizia dove vengono insegnate loro come vestirsi o comportarsi moralmente prima di essere rilasciate ai loro parenti maschi. Le donne vengono spesso detenute e rilasciate solo quando un parente sembra fornire assicurazioni sul rispetto rigoroso alle norme di abbigliamento. A volte vengono comminate multe, anche se non esiste una regola generale sulla sanzione pecuniaria.

Recentemente è stata introdotta una nuova stretta dal governo iraniano per l'uso del velo. Il 15 agosto scorso, il presidente Ebrahim Raisi, un religioso intransigente eletto l'anno scorso, ha firmato un decreto per far rispettare la legge sull'hijab e sulla castità. In base alla norma, le donne che pubblicano le loro foto senza l'hijab sui social network sono private di alcuni diritti sociali per un periodo compreso tra sei mesi e un anno, come l'ingresso negli uffici governativi, nelle banche o l'utilizzo dei mezzi pubblici. Il governo iraniano sta anche pianificando di utilizzare tecnologie per il riconoscimento facciale sui mezzi pubblici per identificare le donne che non indossano l'hijab.

L'ondata di proteste

Le restrizioni dello scorso mese hanno portato a un aumento degli arresti, ma hanno anche innescato un'ondata di dimostrazioni di molte donne che, in segno di protesta, hanno deciso di non portare il velo in pubblico in varie città iraniane, filmandosi e condividendo i video sui propri profili social. Quelle che si stanno registrando in questi giorni non sono quindi le prime proteste contro l'uso obbligatorio dell'hijab, su cui sono divisi sia cittadini che membri del regime iraniano. Un sondaggio condotto da un centro di ricerca collegato al parlamento nel 2018 ha rilevato che è diminuito il numero delle persone favorevoli all'azione del governo sul rispetto dell'obbligatorietà del velo. 

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