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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Raisi alla corte di Xi: si rafforza l'asse ostile all'Occidente

Il faccia a faccia tra i leader dei due paesi serve anche a stemperare le tensioni sorte lo scorso dicembre quando Xi, in viaggio in Arabia Saudita, ha teso la mano al re del paese del Golfo stipulando 34 accordi per un valore di 30 miliardi di dollari

Tappeto rosso per il presidente iraniano, alla sua prima visita in Cina da quando ha assunto la carica: Ebrahim Raisi è stato accolto a Pechino con ventuno salve di cannone, nel suo primo giorno di visita iniziata oggi 14 febbraio. Viaggio di stato, quindi, per il leader della Repubblica islamica, che in tre giorni di trasferta mirerà a rafforzare la relazione tra le due forze autocratiche in un contesto globale sconquassato dalla guerra in Ucraina.

Pioggia di accordi per rafforzare l'intesa bilaterale

In questi tre giorni, il presidente iraniano Raisi cercherà di ampliare la cooperazione ad ampio raggio con la Cina, facendo leva sull'incontro con il suo omologo cinese Xi Jinping. Il presidente iraniano è infatti arrivato nel gigante asiatico accompagnato da una folta delegazione commerciale e finanziaria, di cui fanno parte i ministri degli Esteri, dell'Economia, dei Trasporti, del Petrolio, dell'Agricoltura e del Commercio, oltre al capo negoziatore iraniano sul nucleare, Ali Bagheri Kani e al governatore della Banca Centrale, Mohamed Reza Farzin. 

Figure e personalità che permetteranno a Raisi di tornare in patria con nuovi 20 accordi di cooperazione in diversi campi, come il turismo, l'export e commercio internazionale, la telecomunicazione, l'ambiente e l'agricoltura, e infine la proprietà intellettuale, lo sport e la cultura. La firma di queste nuove intese potrebbe porre fine al periodo di incomprensione tra Pechino e Teheran.

Perché la Cina vuole fare più affari con i paesi arabi

Il faccia a faccia tra i leader dei due paesi serva infatti anche a stemperare le tensioni sorte lo scorso dicembre quando Xi, in viaggio in Arabia Saudita, ha teso la mano al re del paese del Golfo, Salman bin Abdulaziz, stipulando 34 accordi per un valore di 30 miliardi di dollari. Un'intesa non gradita a Teheran, irritata in particolar modo per la citazione nel comunicato congiunto tra Pechino e i paesi dell'area di una disputa di sovranità tra Iran ed Emirati Arabi Uniti per tre isole nello Stretto di Hormutz, amministrate dalla Repubblica Islamica. A seguito delle polemiche, la Cina aveva precisato che era pronta a un "ruolo costruttivo" per migliorare le relazioni tra Iran e Paesi del Golfo.

L'ultimo incontro tra Raisi e Xi risale allo scorso settembre, a Samarcanda, in Uzbekistan, a margine del vertice della Shanghai Cooperation Organization. Ma da allora la situazione politica è precipitata nel paese degli ayatollah: l'Iran è infatti sconvolto dalle proteste popolari dopo il decesso di Mahsa Amini, la 22enne curda morta in custodia dopo essere stata arrestata dalla polizia morale iraniana. Nei mesi scorsi, la Cina aveva rimarcato il suo sostegno all'Iran contro le interferenze straniere e a salvaguardia della propria sovranità e dell'integrità territoriale, oltreché della dignità nazionale, in un apparente riferimento al sostegno di Pechino alla Repubblica islamica rispetto alle proteste anti-governative nel Paese, che hanno attirato la condanna dell'Occidente. Sostegno che permette al capo di Stato della Repubblica islamica di mantenere alta l'attenzione sul commercio bilaterale. 

Cosa c'entra la Cina con le proteste in Iran

La Cina è infatti il primo partner commerciale dell'Iran, che assorbe gran parte dell'export di greggio di Teheran (a dicembre scorso la Cina ha importato più di 1,2 milioni di barili al giorno, il 130% in più dei volumi dello stesso mese del 2021, nonostante le sanzioni a cui è sottoposto l'Iran, un dato che fa della Repubblica islamica il terzo fornitore di greggio alla Cina, dietro Russia e Arabia Saudita). Gli investimenti, però, languono: nel primo anno di presidenza di Raisi, gli investimenti cinesi nell'economia iraniana si sono fermati a quota 162 milioni di dollari, inferiori a quelli riservati ad Afghanistan e Turchia. 

Il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo iraniano Ebrahim Raisi alla Grande Sala del Popolo, Pechino, 14 febbraio 2023 (Ansa)

A poche ore dall'inizio dell'incontro bilaterale, Raisi si è espresso sul Quotidiano del Popolo, organo di stampa ufficiale del Partito comunista cinese, rilanciando le posizioni comuni di Pechino e Teheran su molti dossier internazionali e l'opposizione all'imperialismo e all'unilateralismo, definite cause principali di crisi.

Parole che devono essere lette come un chiaro riferimento agli Stati Uniti e alle sanzioni applicate contro Teheran (le ultime, in ordine di tempo, proprio oggi: Washington ha preso di mira alcune società accusate di svolgere un ruolo fondamentale nella produzione, vendita e spedizione di prodotti petrolchimici e petrolio iraniani agli acquirenti in Asia). 

Il tema caldo del programma nucleare iraniano

Il presidente iraniano, che ha auspicato un ordine mondiale stabile, ha anche insistito sull'importanza del rispetto dei diritti e degli interessi delle altre nazioni per raggiungere un vero multilateralismo.

L'unione fa la forza contro un nemico comune. Xi si è espresso a favore di un dialogo per risolvere al più presto la questione nucleare iraniana, esprimendo il suo sostegno alla Repubblica islamica nella salvaguardia dei suoi diritti e interessi. E poi, in un apparente riferimento agli Stati Uniti, il presidente cinese ha ribadito il proprio sostegno alla "sovranità e dignità nazionale dell'Iran, e la propria opposizione a "unilateralismo e bullismo" e a "forze esterne che interferiscono negli affari interni dell'Iran e minano la sicurezza e la stabilità" del paese islamico. 

Le parole di Xi esprimono la posizione cruciale della Cina nell'accordo sul nucleare iraniano, meglio noto come Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa). La firma dell'intesa è arrivata nel 2015, dopo due anni di lunghi negoziati e di sforzi diplomatici tra Iran e il gruppo "5+1", cioè i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti) più la Germania e Unione europea, e che Washington ha abbandonato unilateralmente nel 2018 durante la presidenza Trump.

Cosa prevede il Joint Comprehensive Plan of Action? Firmato con il fine di limitare e tenere sotto stretto controllo le attività della Repubblica islamica dell'Iran in campo atomico, l'accordo prevedeva un impegno di Teheran nel porre fine al suo programma nucleare in cambio della revoca delle sanzioni internazionali.

Ma negli ultimi anni, la Repubblica islamica ha avviato nuove e diverse attività nucleari nelle centrali del paese. Ma se da un lato Washington viene criticata da Pechino per essersi ritirata dall'accordo, dall'altro porta avanti le bordate contro Teheran per fornire a Mosca droni che verrebbero utilizzati nella guerra in Ucraina.

Le ambizioni di Teheran

Ma a cosa ambisce Raisi? Diversi analisti cinesi citati dal Global Times hanno sottolineato come il presidente della Repubblica islamica voglia rafforzare i legami con il gigante asiatico, sulla scia dell'accordo di cooperazione "politica, strategica ed economica" della durata di 25 anni raggiunto nel 2021. L'accordo, del valore di 400 miliardi di dollari, prevede forniture di greggio e gas iraniani alla Cina in cambio di investimenti nelle infrastrutture.

L'intesa tra i due paesi si è ulteriormente rafforzata lo scorso dicembre, con la firma di 16 memorandum d'intesa durante la visita a Teheran del vice primo ministro uscente, Hu Chunhua, in campi che riguardano l'energia, il gas, il petrolio, gli investimenti congiunti, le interazioni finanziarie e le infrastrutture, tra cui i porti. Con la firma dei nuovi 20 accordi, Raisi può dirsi soddisfatto della sua trasferta in Cina con cui rafforzare l'asse contro l'occidente e "finalizzare i meccanismi operativi" dell'accordo di cooperazione globale di 25 anni, che i due paesi hanno firmato nel 2021.

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