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Giovedì, 25 Aprile 2024
Verso il voto / Cina

Come cambierà Hong Kong con le prossime elezioni

Carrie Lam lascia una città sempre più simile a quelle cinesi

La Chief Executive di Hong Kong, Carrie Lam, non si candiderà alle elezioni del prossimo 8 maggio. La governatrice dell’ex colonia britannica, in carica dal 2017, chiude la sua parentesi politica dopo 42 anni di controversa carriera. La sua decisione però non sorprende: nessuno dei quattro governatori precedenti dal 1997 ha cercato un secondo mandato. Lam, nella quotidiana conferenza stampa dedicata al Covi-19, ha dedicato 20 minuti del suo intervento per spiegare che dietro la motivazione di lasciare la politica c’è la famiglia. “Negli ultimi quattro anni - ha detto Lam tracciando un breve bilancio della propria esperienza di leader - "abbiamo affrontato sfide senza precedenti e affrontato situazioni critiche mai viste prima. Spero che la prossima amministrazione possa continuare il duro lavoro che abbiamo svolto, specialmente per il fatto che abbiamo in vigore la legge sulla sicurezza nazionale". 

Non è però l’unica volta che la Chief Executive evidenzia la sua necessità di essere vicina ai suoi due figli e a suo marito. Lo aveva già fatto nel 2012, l’anno che lei considera il più felice della sua vita: in un’intervista a un’emittente locale, Lam aveva detto che voleva lasciare Hong Kong per trasferirsi nel Regno Unito e ricongiungersi con i figli, entrambi iscritti a importanti università britanniche.

Le elezioni locali, posticipate a causa della pandemia di Covid-19, non si svolgeranno in un clima disteso. Gli abitanti di Hong Kong, che ancora non conoscono i candidati a distanza di circa un mese dall’apertura delle urne, nutrono sfiducia e malcontento nei confronti del governo locale, a causa dell’intervento del Partito comunista cinese che ha ridotto l’alta autonomia di cui gode Hong Kong in base al modello politico “un paese, due sistemi”.

Ma a frenare l’entusiasmo dei cittadini di Hong Kong è la recente legge che ha rivisto e modificato il sistema elettorale locale. I leader della città verranno selezionati da un piccolo comitato elettorale di 1500 membri, ritenuti fedeli del Partito comunista cinese, e giudicati in base all’alto profilo “patriottico”. In breve, quindi, chiunque diventi il ​​prossimo leader dell'ex colonia britannica lo farà con la tacita approvazione di Pechino.

Tutti gli occhi sono ora puntati su John Lee, ex capo della sicurezza di Hong Kong e attuale numero due dell'amministrazione locale, che si è conquistato la fiducia di Pechino. Lee, 64 anni, che ha sedato con il pugno di ferro le lunghe e spesso violente proteste a favore della democrazia nel 2019, è stato promosso da Pechino nel 2021 ai vertici dell’amministrazione dell’ex colonia britannica: il passaggio al più alto incarico dimostra, secondo alcuni analisti, la volontà di Pechino di porre maggiore attenzione alla sicurezza della città, anziché preservare il suo status di hub finanziario ed economico dell’Asia orientale.

Chi è Carrie Lam

Devota cattolica e stacanovista, tanto da guadagnarsi l’appellativo “lady di ferro” per la sua intransigenza, Lam, è nata nel 1957 quando Hong Kong era ancora una colonia britannica. È diventata la governatrice della città nel 2017, dopo aver ottenuto 777 voti dai 1194 membri del Comitato elettorale, avendo la meglio sull’ex Capo delle finanze John Tsang e l’ex giudice Woo Kwok-hing. Prima di guidare il governo di Hong Kong, Lam ha fatto conoscere il suo volto al mondo nel 2014, quando la città si è fermata per oltre 70 giorni per la cosiddetta “Rivoluzione degli Ombrelli”. Forse riprendendo i passi dell’ex premier cinese Zhao Ziyang che incontrò gli studenti riuniti a piazza Tiananmen nel 1989, Lam quando era Chief Secretary nel 2014 scese in strada per incontrare una delegazione di giovani manifestanti e pregarli di smantellare i presidi. Il suo tentativo si risolse in un fallimento: l’allora numero due del governo locale era diventata così invisa ai cittadini dell’ex colonia britannica.

Salita al potere, la neo Chief Executive cercò di impegnarsi per risolvere lo storico e annoso problema dell’emergenza immobiliare: secondo il quinto rapporto del Global Living della società immobiliare CBRE, che ha analizzato i mercati immobiliari in 35 città, Hong Kong nel 2019 era la città più cara al mondo dove comprare una casa. Il prezzo medio di un’abitazione in quell’anno era di oltre 1,2 milioni di dollari.

Il governo di Lam è stato poi sconvolto dalle manifestazioni del 2019, scoppiate per il tentativo di introdurre la legge sull’estradizione che avrebbe consentito di processare in Cina le persone accusate di aver commesso alcuni crimini. La legge, proposta dall’allora capo della sicurezza Lee, non è mai entrata in vigore; al suo posto, però, è stata imposta da Pechino la draconiana legge sulla sicurezza nazionale, che disciplina i reati di secessione, eversione, terrorismo e collusione con forze straniere. Ma la sua formulazione molto vaga ha permesso di sopprimere praticamente ogni voce di dissenso e di attivismo.

Lam lascia quindi una città che è diventata sempre più simile una città della Cina, tradendo quel patto siglato con il Regno Unito quando Hong Kong tornò sotto l’ombrello cinese nel 1997. La Chief Executive rimarrà in carica fino al 30 giugno per portare la metropoli di oltre 7 milioni di abitanti fuori dalla quinta ondata di Covid e per organizzare la cerimonia del 25esimo anniversario dell’handover: tutto deve essere perfetto per l'arrivo del leader cinese Xi Jinping, che sarà presente all'evento che ricorda la fine del periodo coloniale.

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