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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Coronavirus e infezioni invisibili: "A Wuhan fino all'87 per cento dei casi non diagnosticati"

Secondo uno studio di un gruppo di esperti cinesi, pubblicato sulla rivista Nature, tra il primo gennaio e l'8 marzo potrebbero non essere state diagnosticate tante infezioni, tra il 53 e l'87% dei casi: così sarebbe stata favorita la corsa del virus

Un numero di casi non diagnosticati enorme, difficilmente calcolabile a posteriori ma sicuramente più alto di quanto immaginato. Potrebbe essere accaduto a Wuhan, la megalopoli cinese dove si è inizialmente manifestato il coronavirus. E potrebbe aver favorito la 'corsa' del virus.

Secondo uno studio di un gruppo di esperti cinesi basati a Wuhan, pubblicato sulla rivista Nature, tra il primo gennaio e l'8 marzo potrebbero non essere state diagnosticate tante infezioni, tra il 53 e l'87% dei casi, potenzialmente compresi i soggetti asintomatici e le persone con sintomi lievi. E, secondo lo studio sottoposto a peer-review, nei primi giorni l'indice di riproduzione poteva essere fino a 3,54, per poi scendere a 0,28.

Le infezioni 'invisibili' quindi potrebbero aver contribuito alla rapida diffusione del virus pandemico. E potrebbero anche favorire una seconda ondata dell'epidemia, se le misure anti-Covid vengono rimosse troppo presto, secondo lo studio. Di fatto si tratta di risultati coerenti con i recenti studi sierologici negli Stati Uniti e in Europa, commentano i ricercatori, secondo i quali proprio le infezioni non rilevate o non accertate - relative a pazienti asintomatici, presintomatici o con sintomi lievi - probabilmente hanno avuto un ruolo importante nella rapida diffusione iniziale della pandemia e potrebbero favorire una ripresa dei contagi, se le restrizioni saranno sospese troppo presto.

Le persone con Covid-19 asintomatiche, presintomatiche o che hanno sintomi lievi sono difficili da rilevare e isolare. Il team di Xihong Lin dell'Harvard University di Boston e Chaolong Wang dell'Università di scienza e tecnologia di Huazhong, a Wuhan, ha studiato le dinamiche di trasmissione dell'epidemia a Wuhan, utilizzando i dati di 32.583 casi confermati di Covid-19 dall'8 dicembre 2019 all'8 marzo 2020. I ricercatori hanno usato questi dati per realizzare un modello dell'epidemia dal 1 gennaio 2020, dividendo il periodo in esame in 5 parti, sulla base di eventi o interventi chiave, dal capodanno cinese al lockdown.

L'analisi rivela che la velocità iniziale di trasmissione era davvero molto alta, con un R0 (indice di contagio) di 3,54 nel primo periodo, sceso a circa 0,28 entro la fine del periodo di studio. Questa scoperta suggerisce che gli interventi di sanità pubblica progressivi e sfaccettati che sono stati messi in atto tra la fine di gennaio e marzo hanno ridotto il numero di infezioni totali a Wuhan del 96,0% (entro l'8 marzo). Adattando i loro modelli ai dati epidemiologici, gli autori dimostrano che a Wuhan sono state presenti infezioni estese e non rilevate.

Ben l'87% dei casi non sarebbe stato identificato - secondo la stima - durante il periodo esaminato. Sono necessarie ulteriori indagini, come studi sierologici, per confermare queste stime, avvertono i ricercatori, che però prevedono la possibilità di una seconda ondata di infezioni. Se tutte le restrizioni vengono revocate dopo 14 giorni dal primo giorno in cui non sono stati segnalati casi, le probabilità di una ripresa della malattia saranno molto elevate (fino al 97%), a causa proprio del 'peso' dei casi 'invisibili' (pazienti con sintomi lievi o assenti). La nuova ondata si potrebbe verificare 34 giorni dopo l'eliminazione delle restrizioni, avvertono. In uno scenario in cui tutte le restrizioni vengono revocate solo dopo 14 giorni consecutivi senza casi, la probabilità di una recrudescenza dell'epidemia scende al 32% e l'ondata potrebbe arrivare 42 giorni dopo la revoca delle restrizioni.

L'origine del virus è ancora territorio in gran parte ignoto, serviranno anni di studio. Secondo alcuni scienziati Il nuovo coronavirus non sarebbe nato a Wuhan, ma esisteva già, dormiente, in più parti del mondo prima di emergere in Cina e altrove, in attesa delle condizioni più favorevoli per attivarsi e far scoppiare una pandemia. È quanto sostiene ad esempio l'epidemiologo Tom Jefferson - esperto del Center for Evidence-Based Medicine (CEBM) dell'Università di Oxford e docente all'Università di Newcastle. Ipotesi che non convincono molti esperti, ma che dimostrano come il dibattito sulla "nascita" del nuovo coronavirus sia soltanto all'inizio.

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