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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Cosa sta succedendo in Israele

Il Paese paralizzato dalle proteste. Anche l'esercito schierato contro la riforma della giustizia. Biden a Netanyahu: "Cercare compromesso"

Alla fine, davanti al rischio di un Paese paralizzato e di uno scontro istituzionale tra il governo e i vertici dell'esercito, il premier Benjamin Netanyahu avrebbe deciso di ritirare la sua controversa riforma della giustizia. Dopo settimane di manifestazioni di massa, di scioperi e di tensioni diplomatiche con Usa e Unione europea, il governo più a destra della storia di Israele ha dovuto fare un passo indietro. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, reo di aver preso pubblicamente le distanze dal disegno di legge, così come avevano fatto diversi leader militari. Una decisione, quella di Netanyahu, che non solo ha provocato una nuova, gigantesca ondata di proteste, con la convocazione di uno sciopero generale e l'aeroporto di Tel Aviv bloccato, ma ha anche fatto concretizzare il rischio di una guerra civile. Tanto che Washington è entrata a gamba tesa nella crisi politica di Tel Aviv sottolineando con una nota "l'urgente necessità di un compromesso".

Cosa prevede la riforma

La riforma della giustizia fa parte di una serie di provvedimenti alla base del patto che regge l'alleanza di governo tra i conservatori del Likud, il partito di Netanyahu, e le formazioni di estrema destra. Il testo consentirebbe al governo di nominare i giudici e, soprattutto, al Parlamento di annullare le decisioni della Corte suprema con una maggioranza semplice, anche di un solo voto, mentre al momento serve una maggioranza qualificata dei due terzi.

Tel Aviv afferma di voler arginare l’influenza dei giudici non eletti sul lavoro dei deputati, ma i critici temono un indebolimento di quello che è stato negli anni da sempre un garante della laicità dello Stato e dei diritti civili, in un momento in cui i partiti religiosi più radicali sono al governo e hanno anche ruoli chiave sul controllo delle zone palestinesi occupate dai coloni. Non è un caso se dietro questa riforma ci siano soprattutto Yariv Levin, ministro della Giustizia e collega di partito del premier, e il deputato sionista Simcha Rothman, che presiede la commissione Giustizia della Knesset, il parlamento israeliano. Entrambi hanno più volte accusato la Corte suprema di essere troppo potente e prevenuta nei confronti del movimento dei coloni, della comunità ultrareligiosa di Israele e della popolazione Mizrahi, popolo ebreo di origine mediorientale. In particolare, molti della destra israeliana non hanno mai perdonato alla Corte la decisione del 2005 di ritirarsi dalla Striscia di Gaza, ricorda il Guardian. Per Netanyahu, poi, la riforma potrebbe essere un modo per aggirare il processo per corruzione che lo vede imputato, sottolineano i critici.

La protesta

Contro il progetto di legge si è schierato un fronte eterogeneo della politica e della società israeliane, compreso un pezzo fondamentale per l'economia israeliana, come l'hi-tech. Le manifestazioni vanno avanti da settimane, e hanno riguardato anche l'esercito. A inizio mese, con una mossa senza precedenti, dozzine di piloti di caccia di riserva in uno squadrone d'élite dell'aeronautica israeliana hanno dichiarato che non si sarebbero presentati per l'addestramento. Il tenente colonnello alla guida di questa protesta è stato sospeso dal servizio. L'iniziativa del battaglione, però, non è rimasta isolata: nelle settimane successive centinaia di riservisti militari hanno aderito alla protesta contro la riforma, non presentandosi al lavoro. I soldati hanno espresso la preoccupazione che la mancanza di fiducia internazionale nell'indipendenza della magistratura israeliana possa esporli a procedimenti giudiziari in tribunali internazionali per azioni che è stato loro ordinato di compiere durante il servizio. Una preoccupazione avvallata da pareri di giuristi e procuratori.

Le preoccupazioni della società nei confronti della riforma sono legate anche agli altri punti del programma di governo che potrebbero giovare da una Corte suprema indebolita: la piena annessione della Cisgiordania occupata, il ritiro della legislazione pro-Lgtb, l'abolizione delle leggi a tutela dei diritti delle donne e delle minoranze e l'allentamento delle regole di ingaggio per la polizia e i soldati israeliani. 

Netanyahu ha cercato fino all'ultimo a resistere alle pressioni, anche da fuori il Paese. Come racconta il New York Times, la reazione della comunità ebraica negli Usa è stata insolitamente forte. A Los Angeles il rabbino Sharon Brous ha pronunciato un sermone dal titolo "Le lacrime di Sion", con il quale ha esortato la sua congregazione a combattere il "regime illiberale e ultranazionalista" di Netanyahu. Il mese scorso le Federazioni ebraiche del Nord America, colosso filantropico con una capacità di raccolta e spesa intorno ai 3 miliardi di dollari annui, ha inviato una lettera aperta al primo ministro israeliano e a Yair Lapid, leader dell’opposizione, manifestando la propria contrarietà alla riforma. Ieri, dopo il licenziamento del ministro della Difesa, il presidente Joe Biden ha chiamato Netanyahu per esprimere la sua "grande preoccupazione" e chiedere di raggiungere un compromesso con l'opposizione. 

Poche ore dopo la telefonata, e dopo l'annuncio di uno sciopero generale, il premier ha convocato una conferenza stampa dove, con ogni pobabilità, annuncherà lo stop alla riforma. Adesso, bisognerà capire cosa succederà al governo. Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Potenza ebraica e ministro per la Sicurezza nazionale, ha già minacciato il ritiro del suo sostegno all'esecutivo.

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