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Sabato, 20 Aprile 2024
Analisi e scenari / Cina

Cosa succede alla Via della Seta cinese con la guerra in Ucraina

La Cina ha sviluppato negli anni una serie di alternative

L’immagine dei treni cinesi che attraversano i paesi dell’Asia centrale per fare arrivare merci e prodotti cinesi ai consumatori europei rappresenta il successo della narrativa di Pechino nel promuovere la Belt and Road Initiative (BRI).

L'ambizioso progetto infrastrutturale lanciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, noto anche con il nome “Nuova Via della Seta”, è costretto ora ad affrontare diverse sfide. Pechino, che ambisce alla stabilità politica ed economica, non ha ancora condannato l’offensiva di Mosca in Ucraina in virtù anche degli esistenti interessi commerciali in seno alla Belt and Road Initiative. In qualità di principale partner commerciale sia della Russia e sia dell’Ucraina, la posta in gioco per la Cina è alta: da Mosca e poi Kiev passa una delle principali rotte del progetto infrastrutturale che lega la Cina all’Ue.

Cos’è la Belt and Road

La guerra russa in Ucraina e le sanzioni occidentali applicate alla Russia rischiano di compromettere il piano che coinvolge oltre 140 paesi di tutto il mondo e 32 organizzazioni internazionali. La Silk Road Economic Belt, attraverso un passaggio terrestre transcontinentale, collega la Cina con il Sud-est asiatico, l’Asia meridionale, l’Asia centrale e la Russia; la Maritime Silk Road, invece, è la rotta marittima che connette le regioni costiere della Cina con il Sud-est asiatico e l'Asia meridionale, il Pacifico meridionale, il Medio Oriente e l'Africa orientale, fino ad arrivare nelle acque del Mediterraneo.

I dati del ministero del Commercio cinese restituiscono il valore economico del progetto infrastrutturale. Nel 2020, nonostante la crisi economica causata dalla pandemia globale, gli investimenti cinesi nei paesi che hanno aderito alla BRI sono aumentati del 18,3% rispetto al 2019. Anche nel 2021 Pechino ha registrato un incremento: lo scorso anno il commercio tra la Cina e i paesi della BRI ha rappresentato il 29,7% del commercio estero totale della Cina (+26,6% rispetto al 2020, il dato più alto degli ultimi otto anni) per un valore di 1,83 trilioni di dollari.

Lo spettro della crisi ucraina sulla BRI

La BRI è senza dubbio il piano con il quale la Cina mira a estendere una supremazia economica anche in Europa. Negli ultimi anni si è registrato un incremento degli scambi commerciali tra Cina e Ue, passando da 40 tratte commerciali nel 2017, alle attuali 78 rotte che raggiungono circa 180 città in 23 paesi europei. Anche il numero dei viaggi è aumentato. Nel 2016 sono stati effettuati circa 1.900 scambi commerciali per un valore di 8 miliardi di dollari arrivando al 2021 a circa 14mila viaggi per trasportare merci per un totale di 75 miliardi di dollari.

La guerra russa in Ucraina evidenzia come siano a rischio le reti commerciali del mondo globalizzato, fatto di interconnessioni e scambi multilaterali. Negli ultimi 30 anni, quelli nei quali la Cina è fiorita economicamente, Pechino e Kiev hanno stretto la loro relazione bilaterale: la Cina è il principale partner commerciale dell'Ucraina, mentre il paese europeo rappresenta una delle principali porte di accesso della BRI al Vecchio Continente.

I numeri testimoniano questa intesa commerciale. Nel 2021, il valore del commercio tra Cina e Ucraina ha superato i 19,3 miliardi di dollari, registrando un aumento del 29,7% rispetto all'anno precedente; dati positivi anche per il valore delle esportazioni cinesi in Ucraina, che ha raggiunto i 9,4 miliardi di dollari, in aumento del 36,8% rispetto al 2020.

Così, il conflitto in Ucraina desta preoccupazione nella dirigenza cinese. “I rischi geopolitici per il progetto della Nuova Via della Seta stanno aumentando”, ha affermato l’assistente del ministro del Commercio cinese, Sheng Qiuping, in una recente conferenza stampa, lanciando un monito sulle probabili ripercussioni sulla BRI a causa della guerra in Ucraina (senza mai menzionarla esplicitamente).

Nonostante i timori, Pechino ha già individuato altre rotte. È quanto sostiene Giulia Sciorati, ricercatrice dell’Università di Trento ed esperta di Asia centrale. “Sicuramente il conflitto in Ucraina può impattare la fruibilità del New Eurasian Land bridge (la tratta che attraversa l'Asia centrale, ndr.) e il passaggio delle merci cinesi verso i mercati europei. Ma la Cina ha sviluppato negli anni una serie di diversificazioni, andando a costruire diverse reti terrestri che poi si connettono con quelle marittime: queste potrebbero rappresentare un’alternativa alla principale rotta terrestre che lega la Cina all’Ue”.

Le vie marittime del progetto infrastrutturale, che hanno ricevuto un constante interesse da parte di Pechino, rappresentano una forma di garanzia per il progetto infrastrutturale. Questo slancio verso la creazione di reti ferroviarie per confluire nella via marittima avrà degli effetti visibili solo dopo il conflitto in Ucraina, è il pensiero di Sciorati.

Il ruolo dei Paesi dell’Asia centrale

Pechino ha recentemente chiesto ai paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) di esercitare un ruolo più attivo nel conflitto in corso in Ucraina, al fine di garantire il mantenimento della sicurezza e della stabilità regionale e globale. Per individuare una chiave risolutiva del conflitto in Ucraina, la Cina - come accaduto in altre occasioni - si è rivolta all’organizzazione che al suo interno vede la presenza di grandi attori come Iran, India, Cina e Russia, affiancati da paesi diplomaticamente meno forti come Kazakhstan, Kyrgyzstan, Pakistan, Tajikistan e Uzbekistan.

“L’enfasi data alla SCO di fronte a crisi afferenti allo spazio post sovietico, l’area che possiamo considerare come Asia centrale, rientra in una prassi che si sta consolidando negli ultimi anni da parte del governo cinese. È una consuetudine – sostiene Sciorati - perché Pechino si rifà al principio che le problematiche regionali siano di fatto portate a una risoluzione da parte degli stessi partner regionali. E in una posizione di bilanciamento, la SCO è, secondo l’ottica cinese, più adatta ad agire come mediatore del conflitto. Ma l’Organizzazione ha delle difficoltà strutturali interne che derivano dalla presenza di paesi meno forti rispetto a Cina, Russia e India, e che non hanno competenze diplomatiche per imporsi come attori principali nella mediazione del conflitto in Ucraina. Inoltre, Kiev è più orientata alle organizzazioni internazionali che guardano all’Europa anziché alla Cina”.

Con la richiesta di un maggiore intervento della SCO, la Cina vuole in parte alleggerirsi dalla pressione esercitata dall’Occidente in merito alla sua posizione di "neutralità" sulla crisi in Ucraina, volgendo così lo sguardo alla via che tradizionalmente segue durante i conflitti internazionali: rivolgersi a paesi terzi che afferiscono alle regioni interessate dal conflitto, anziché porsi come mediatore.

Ma l’attenzione ricade anche sui paesi dell’Asia centrale. In quattro paesi centroasiatici, Uzbekistan, Kazakhstan, Kyrgyzstan e Tajikistan che in passato ricadevano sotto il controllo sovietico, c’è stata una costante ricerca di strumenti per consolidare una partnership con paesi che non rientrino nella sfera della Russia, al fine di supportare la propria sovranità nazionale.

“Ovviamente – sottolinea Sciorati – quello che sta succedendo in Ucraina non fa che enfatizzare i dubbi, le problematiche e anche le paure sviluppate dall’area centroasiatica nei confronti del revisionismo russo. I paesi centroasiatici, che non hanno mai reciso i rapporti con la Russia, riconoscono la difficoltà di esprimersi apertamente contro la Russia, mentre nel frattempo c’è una ricerca spasmodica di partnership con altre potenze, in particolare la Cina, per raggiungere obiettivi di sviluppo e garantire la salvaguardia della propria indipendenza. E in futuro, la strada andrà in questa direzione”.

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