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Giovedì, 18 Aprile 2024
L'incubo afghano / Afghanistan

Cosa succede alle donne in Afghanistan oggi con i Talebani

Le immagini di donne in pose "occidentali" sulle saracinesche di un salone di bellezza a Kabul vengono coperte di vernice bianca prima dell'arrivo degli studenti coranici

"Portate fuori da Kabul mia sorella. Se qualcuno sa come aiutarla si faccia vivo". A chiedere l'intervento internazionale per le sorti di sua sorella, che rischia anche perchè è un'attivista, è lo chef Hamed Hamadi: arrivato in Italia anni fa dall'Afghanistan, Hamed ha fatto di Venezia la sua secondo casa, tanto che tutti conoscono in città i suoi frequentatissimi ristoranti etnici Orient Experience. Oggi chiede urgente aiuto per salvare la vita alla sorella, rimasta nel Paese natale. I timori aumentano con il passare delle ore e Hamed ha rilanciato il suo appello:  "Il mio nome è Zahra (Sahar) Amadi -scrive la donna in un post - e sono una attivista per i diritti delle donne, proprietaria di un ristorane a Kabul. La mia vita è in pericolo e sto ricevendo minacce dai talebani. Sono una donna di una minoranza etnica". Zahra continua: "sono proprietaria di un ristorante già attaccato dai talebani nel 2016. Mi sono mobilitata per la democrazia e ho alzato la mia voce nelle proteste di due settimane fa. I talebani hanno postato minacce contro di me - sottolinea - Vivo da sola e lavoro per il mio Paese ogni giorno, non voglio scappare ma la paura di venire rapita e data in matrimonio ad un talebano non mi fa dormire di notte. Per favore aiutatemi subito, potrei essere uccisa".

La storia di Zahra è la storia di migliaia di donne che temono di vedere negati i propri diritti: durante il precedente governo dei talebani tra il 1996-2001 alle donne era richiesto di indossare in pubblico il burqa, mentre era negato ogni diritto di svolgere una funzione pubblica. Così come non era punito il diritto d'onore ed era uso che un uomo avesse anche più di una moglie di sua "appartenenza", da sposare anche in tenera età. 

In rete è diventato virale un video di una ragazza afghana che esprime la sua angoscia per il trattamento riservato dal mondo al suo paese. Condiviso per la prima volta dall'attivista per i diritti umani Masih Alinejad, il video mostra una ragazza in lacrime che grida: "Non contiamo perché siamo nati in Afghanistan. Non posso fare a meno di piangere. A nessuno importa di noi. Moriremo lentamente nella storia".

Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres si è detto "profondamente turbato dalle prime indicazioni secondo cui i talebani stanno imponendo severe restrizioni ai diritti umani nelle aree sotto il loro controllo, in particolare prendendo di mira donne e giornalisti".

La condizione delle donne in Afghanistan

Oggi il portavoce dei talebani ha affermato che il nuovo Emirato islamico sarà rispettoso dei diritti delle donne e sarà consentito loro l'accesso all'istruzione. Il gruppo ha affermato di essere cambiato, e che consentirà alle donne di lavorare, andare a scuola, uscire di casa da sole e indossare l'hijab. I critici restano tuttavia poco convinti di questo cambiamento poiché i Talebani propio nell'annunciare il nuovo governo hanno specificato come il nuovo Emirato sarà una teocrazia islamica. E la rigida interpretazione dell'Islam vede le donne come "merce". 

Alcuni testimoni al quotidiano inglese The Guardian avrebbero raccontato che i comandanti talebani hanno dato istruzione agli imam delle aree che si trovano sotto il loro controllo di fornire l'elenco delle donne "non sposate, di età compresa tra 12 e 45 anni affinché i loro soldati possano sposare in quanto bottino di guerra che spetta ai vincitori". In rete è diventata virale una foto che spiega molto: le immagini di donne in pose "occidentali" sulle saracinesche di un salone di bellezza che vengono coperte di vernice bianca prima dell'arrivo degli studenti coranici armati. Un modo che un negoziante ha trovato per non recare fastidio ai nuovi arrivati.

Non che la vita di una donna fosse agevole in Afghanistan: anche negli ultimi anni senza Talebani la condizione femminile era tutt'altro che "Occidentale" come denuncia ActionAid che riporta le storie di spose bambine e matrimoni forzati che ancora coinvolgono tra il 60 e l'80% delle Afghane nonostante l'impegno di decine di Ong impegnate sul campo nella tutela dei diritti umani. Tra queste anche Pangea, costretta a bruciare i documenti di 20 anni di lavoro per evitare che finiscano nelle mani sbagliate. 

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Intanto i Talebani promettono "serenità" e descrivono come "normale la situazione a Kabul", dopo le scene di caos all'aeroporto e le immagini di code di mezzi che cercano di lasciare la città. Lo riporta al-Jazeera sulla base di un tweet diffuso stamani dal portavoce Zabihullah Mujahid, che parla del "dispiegamento di unità speciali in varie zone" della capitale afghana, sostenendo che "in generale" la popolazione sia "contenta dell'arrivo dei mujahiddin e soddisfatta della sicurezza". In un video diffuso nelle scorse ore il mullah Abdul Ghani Baradar ha promesso "servizi al nostro Paese" e "serenità a tutta la Nazione". "È l'ora della prova - ha detto il mullah Baradar, come ha riportato la Bbc, circondato da miliziani - Faremo tutto il possibile affinché migliorino le vite" degli afghani. "Il modo in cui siamo arrivati è stato inaspettato - ha aggiunto - dal momento che abbiamo raggiunto una posizione che non era mai stata prevista". 

Di fatto la presa di Kabul da parte dei Talebani ha colto di sorpresa tutta la comunità internazionale, Russia compresa che insieme la Cina aveva avviato dialoghi diplomatici privilegiati con i nuovi "vicini". "Sembra che siamo stati troppo ottimisti sulla qualità delle truppe addestrate dagli americani e dalle forze della Nato: sono fuggiti al primo sparo", ha sottolineato l'inviato presidenziale russo per l'Afghanistan, Zamir Kabulov. Ma ancor prima a riconoscere il nuovo governo di Kabul è stata la Cina che parla di come "il grande cambiamento rispetta i desideri e le scelte del popolo afghano". dice la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, "dura da oltre 40 anni: fermarla e raggiungere la pace non è solo la voce unanime degli oltre 30 milioni di afghani, ma anche l'aspettativa comune di comunità internazionale e Paesi regionali" chiosa in una nota ricca di realpolitik e mai così lontana dalle scene di caos che vengono diffuse dai media occidentali.

Il "No, I don't" di Joe Biden che ha consegnato le donne afgane ai talebani

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