rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Battaglia arcobaleno / Stati Uniti d'America

Topolino nella bufera: Disney difende comunità Lgbt e perde i bonus fiscali

Il colosso del divertimento si è schierato contro la legge che vieta di affrontare nelle scuole pubbliche il tema dell’identità sessuale. Per "punizione" il governatore della Florida ha revocato i benefici di cui godeva. La mossa però potrebbe essere un boomerang

Topolino e Minnie prendono posizione politica? Allora perdano i loro privilegi! Suona così quanto sta accadendo dall'altra parte dell'oceano. I parchi Disney possono essere definiti come un regno incantato e lo sono anche sotto il profilo fiscale. Il colosso del divertimento dal 1967 gode di uno status speciale, significa che nelle aree in cui ci sono due città, parchi a tema e più di venti resort nel cuore della Florida Disney si autogoverna, riscuote tasse, gode di esenzioni fiscali e investe. Il privilegio decadrà però dall'estate del 2023. Il governatore della Florida ha deciso la fine dell'autonomia. E' una risposta alle posizioni della Disney a favore della comunità Lgbt. Disney si è schierata contro la legge ribattezzata "Don’t say gay”, che vieta di affrontare nelle scuole pubbliche, fino alla terza elementare, il tema dell’identità sessuale, e ne limita il dibattito per gli studenti più grandi. Il governatore è invece un sostenitore della legge ed ecco che la risposta non si è fatta attendere.

Il "paradiso" Disney a molti zeri

La Disney ha uno "status speciale" chiamato "Reedy Creek Improvement District". In base a questo, si può autogovernare. Non è un privilegio da poco. Può riscuotere le tasse, ma deve fornire servizi. Parliamo del controllo di un'area di oltre 10 mila ettari di terreno nell'area di Orlando. Lo status speciale comprende il diritto di costruire nuove strutture pagando le tasse ma senza dovere chiedere il via libera di enti locali. Un regno a sè insomma. Da giugno del 2023, Disney World perderà tutto questo. 

"Don’t say gay"

La battaglia ingaggiata contro la Disney nasce dal dibattito sulla legge che vieta di affrontare nelle scuole pubbliche, fino alla terza elementare, il tema dell’identità sessuale, e ne limita il dibattito per gli studenti più grandi. Dagli oppositori è stata ribattezzata “Don’t say gay” cioè "Non dire gay".

Il ceo Disney ha condannato la legge e congelato le donazioni politiche. Il governatore della Florida è invece il primo sostenitore della legge e l'affondo del colosso non gli è piaciuto. Da qui, la campagna iniziata contro la società definita la "compagnia californiana che vuole governare il nostro Stato".  

La fine dello status speciale a chi conviene?

La revoca dello status specile innesca un effetto domino. Disney ha bond pubblici per circa un miliardo di dollari, che dovranno essere ora coperti dall'amministrazione locale. Come? Con nuove tasse. Non solo. Per mantenere lo status, Disney forniva anche servizi e ne sosteneva i costi (parcheggi, gestione emergenze, manutenzione delle strade) per una media di 164 milioni. I servizi però non possono essere sospesi e quindi passeranno in carico allo Stato.  Anche in questo caso serviranno soldi. Altre tasse. Economicamente quindi la mossa del goveratore della Florida non sembra delle più abili e c'è il concreto pericolo che si trasformi in un boomerang. 

C'è un altro aspetto forse sottovalutato da DeSantis. Nei suoi piani pare ci sia il secondo mandato, a Disney World lavorano 75 mila persone. Tutti potenziali voti. Anche, un domani, per la Casa Bianca. Topolino e Minnie potrebbero guidare un'opposizione folta e con un potere di spesa non indifferente.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Topolino nella bufera: Disney difende comunità Lgbt e perde i bonus fiscali

Today è in caricamento