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Venerdì, 29 Marzo 2024
L'intervista / Afghanistan

"Così abbiamo aiutato le donne a scappare da Kabul"

"Le nostre ragazze sono arrivate piene di lividi. Altre sono ancora lì e non sappiamo se riusciranno mai ad entrare nello scalo, ci sono anche bambini piccoli", racconta a Today Luca Lo Presti, presidente di Pangea Onlus.

Nei giorni scorsi Pangea Onlus è riuscita a far arrivare in Italia molte delle sue "ragazze" con i loro parenti, ma sono ancora tanti i membri di questa "famiglia" che aspettano e sperano di potersi imbarcare all'aeroporto di Kabul. Quelle che sono atterrate a Roma hanno raccontato una situazione di una drammaticità indicibile, con decine di migliaia di persone accalcate, lacrimogeni, spari, bastonate. Ora sono in quarantena per dieci giorni (i tamponi sono risultati tutti negativi) e l'associazione, che da anni opera in Afghanistan con progetti per l'empowerment femminile, è al lavoro per aiutarle e per aiutare chi è rimasto bloccato a Kabul. "Non lasceremo indietro nessuno, nei limiti del possibile. Non ci saranno voli all'infinito, purtroppo, e in aeroporto si è perso il controllo", dice a Today il presidente di Pangea, Luca Lo Presti. "Le nostre ragazze sono arrivate piene di lividi, per le frustate. Parliamo anche di donne incinte, bambini piccoli, addirittura neonati. Alcune di loro, all'arrivo in Italia, sono state portate in ospedale perché erano messe davvero male. Da ieri, dopo che i talebani hanno detto che non lasceranno uscire più nessuno, sono comparsi tantissimi posti di blocco, e ancora oggi davanti al gate abbiamo mamme con bambini che non sappiamo se riusciranno mai ad entrare. C'è gente che da casa al gate ci ha messo dodici ore e una volta lì ha aspettato due giorni prima di partire. Giorno e notte stiamo al telefono con loro. Sono sotto shock, cerchiamo di sostenerle e spronarle ma non è facile quando non si hanno risposte sulla possibile apertura dei gate, le attese sono lunghissime e tutto intorno a loro è angosciante".

Le attiviste di Pangea già arrivate in Italia hanno usato una lettera "P" scritta sul palmo della mano per farsi riconoscere dai carabinieri del reggimento paracadutisti Tuscania che le hanno accompagnate al gate dell'aeroporto permettendo loro di imbarcarsi. "Abbiamo trovato questo escamotage che ha funzionato molto bene. Carabinieri e militari sono riusciti a individuarle più facilmente e a portarle in salvo. Non posso che ringraziare di cuore tutti loro, hanno agito davvero con tanta dedizione e altruismo, come pure Tommaso Claudi (il funzionario italiano impegnato da giorni nelle operazioni di evacuazione a Kabul, ndr). Credo abbiano fatto più del loro dovere. Stamattina ho sentito il capitano Alberto Del Basso: non aveva dormito nemmeno un'ora. Dormono meno di noi, e non è facile in questi giorni!", dice il presidente di Pangea. Tra le persone salvate con la P di Pangea c'è anche Fatima, la prima e unica guida turistica donna dell'Afghanistan: "Ci è stata segnalata, l'abbiamo messa in sicurezza, con la P sulla mano e l'abbiamo portata di qua. La sua è una storia bella ma in fondo è la storia di tutte, anche se ora è diventata un simbolo di quella fuga che ha stravolto le loro vite". Le attiviste di Pangea e non solo, tutti quelli che in questo momento sono fuggiti o stanno fuggendo dall'Afghanistan, "non sono fortunati perché sono riusciti a venire ma sono sfortunati perché hanno dovuto lasciare il loro paese", dice Lo Presti. "Mi è rimasta impressa un'immagine, quella della porta che si chiude alle loro spalle e dietro rimane tutta la loro vita, le cose, i ricordi. Non hanno potuto portar via niente, nemmeno lo spazzolino o la biancheria. Sono partiti con il solo vestito che avevano addosso. Venir via dal proprio paese in maniera brutale non è facile. Vorrei che lo capisse chi discrimina quando si parla di migranti, perché dietro ogni volto c'è la storia di chi non voleva lasciare la propria terra. Nel caso dell'Afghanistan questo è causato da un ritiro scellerato dell'Occidente che ha lasciato dietro di sé la devastazione".

Cosa succederà alle attiviste e alle loro famiglie una volta finito il periodo di quarantena? "Il dopo è tutto da scoprire", ammette Lo Presti. "Pangea si sta organizzando per non lasciarli soli nemmeno allora perché per noi sono una famiglia, con alcuni ci conosciamo da vent'anni, abbiamo riso e pianto insieme. Non possiamo tradirli e abbandonarli una volta arrivati qui. Occorrerà strutturare vie di accompagnamento e inserimento nella società per chi vorrà rimanere e aiutare sarà qualcuno che invece avrà un suo percorso migratorio da seguire per raggiungere i propri parenti in altri Paesi. Per ora ci sono almeno tre passi da fare: il primo è mettere in sicurezza più persone possibili mentre l'aeroporto resta è ancora operativo, poi ci sarà l'inserimento delle persone espatriate e infine una riflessione su come proseguire il nostro lavoro in Afghanistan. Perché non c'è alcun dubbio: noi restiamo lì".

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