Le elezioni in Siria dopo 10 anni di guerra civile
Nelle zone controllate dalle forze governative, russe e iraniane, Bashar al Assad si appresta a essere dichiarato vincitore
Tra le macerie di un sobborgo di Damasco, Douma, distrutto dai bombardamenti governativi dopo esser stato per anni una roccaforte dell'insurrezione armata anti-regime, ha votato oggi per le elezioni presidenziali il raìs siriano Bashar al Assad.
Oggi, a pochi mesi dal decimo anniversario dallo scoppio delle rivolte popolari che nel 2011 chiedevano la fine del governo degli Assad, si sono infatti tenute in Siria le elezioni presidenziali ma le urne si sono aperte solo nei territori realmente controllati da Damasco dove vivono circa 10 milioni di persone, circa la metà della popolazione nazionale.
In lizza, tre nomi, visto che la commissione costituzionale ha accettato solo due candidature, oltre a quella di Al-Assad: quella dell'ex ministro Abdallah Salloum Addallah e del leader dell'opposizione Mahmoud Ahmad Marai, entrambi noti per posizioni vicine a quelle del partito Ba'ath di Assad.
Gli Assad, dal padre Hafez al figlio Bashar, tengono il potere dal 1971 senza soluzione di continuità. Bashar è sopravvissuto quelle manifestazioni di piazza, che coincisero con quelle che in Egitto e Tunisia portarono alla fine delle presidenze di Hosni Mubarak e Zine El Abidine Ben Ali, seguì una repressione con bombardamenti su centri abitati, arresti e sparizioni forzate.
Secondo stime dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr), sono circa sei milioni i rifugiati all'estero, mentre si contano mezzo milione di vittime. La guerra civile aveva poi aperto la strada all'ingresso nel Paese a contingenti stranieri - tra cui Iran, Russia, Stati Uniti e Turchia - e alla comparsa di nuove milizie armate, estendendo la portata del conflitto.
"Le elezioni farsa in Siria"
Ora nelle zone controllate dalle forze governative, russe e iraniane, Bashar al Assad si appresta a essere dichiarato vincitore. I risultati saranno resi noti dopodomani, ma l'esito è scontato: Assad rimane presidente per altri sette anni dopo aver ricoperto l'incarico per vent'anni, da quando ha ereditato la posizione dal padre Hafez, al potere dal 1970.
Assad aveva deciso un'amnistia generale per migliaia di detenuti per crimini comuni, ma nelle carceri siriane rimangono da anni migliaia di detenuti politici e dissidenti, anch'essi definiti "terroristi" dal fronte lealista.
A Hama, Tartus, Aleppo e Damasco non c'erano osservatori né locali né stranieri. Cortei non spontanei durante l'orario di lavoro, e indicazioni di voto da parte dell'apparato di sicurezza sono stati testimoniati in tutto il territorio: ministri e politici locali hanno organizzato kermesse elettorali in favore di Assad, chiudendo le strade, e le loro guardie del corpo assieme ad altri miliziani lealisti hanno insistentemente aperto il fuoco in aria in segno di festa.
L’attivista Haddad: "Le elezioni in Siria sono un insulto"
"Un’elezione presuppone democrazia, libertà, partecipazione: ma oggi in Siria non esiste niente di tutto questo" spiega all’agenzia Dire Sami Haddad, attivista e docente di lingua araba all’Università ‘L’Orientale’ di Napoli, fuggito in Italia dalla Siria nel 1982.
Secondo Haddad chi ha deciso di non partecipare sa che verrà inserito in una ‘lista nera’ e subirà conseguenze: dalla perdita del lavoro, se è un funzionario pubblico, all’arresto. Anche personalità pubbliche e leader religiosi cristiani e musulmani, denuncia il docente, sono stati “invitati a partecipare o incoraggiare le persone ad andare alle urne”. Una pratica, secondo Haddad, molto usata in Siria dall’avvento degli Assad: "I cittadini sono sempre stati obbligati a partecipare a feste e parate".
Per Haddad, l’appuntamento elettorale si tiene per un motivo preciso: riconfermare Bashar Al-Assad in carica prima che termini il suo mandato legale, violando così quanto disposto dalla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. “Quella risoluzione- dice l’attivista- imponeva una road map precisa: prima bisognava fermare le operazioni militari, rilasciare i detenuti e favorire l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione. Solo allora si prevedeva la creazione di un esecutivo transitorio incaricato di definire una nuova Costituzione e quindi, nuove elezioni. Le elezioni indette da Assad stanno apertamente ignorando quella risoluzione”.
Sebbene i combattimenti da quasi due anni siano cessati, l’Unicef a marzo ha denunciato che l’80% della popolazione siriana vive in povertà a causa delle conseguenze di dieci anni di guerra, che hanno lasciato economia e infrastrutture in ginocchio.
Rispetto al processo politico che l’Onu ha cercato di avviare a Ginevra, Haddad denuncia i negoziati “paralleli” promossi da Russia, Turchia e Iran ad Astana e Sochi, che hanno portato alla creazione di un Consiglio costituzionale che però non comprende le voci autentiche dell’opposizione siriana democratica che si sono sollevate e strutturate in questi anni.
Mosca, Teheran e Ankara hanno svolto un ruolo in Siria, partecipando attivamente agli scontri e garantendo la permanenza di Bashar Al-Assad al potere, sottolinea il docente: “In questi anni non avrebbero potuto bombardare scuole, case, ospedali senza la complicità della comunità internazionale”.
Sebbene ieri in una nota congiunta Stati Uniti, Francia, Germania e Italia abbiano dichiarato “illegittime le elezioni di oggi”, per Haddad non basta: “Al regime in questi anni è stato permesso di usare ripetutamente armi chimiche contro la popolazione“. Douma, la località dove stamani Assad e sua moglie Asma si sono recati a votare, nel 2018 sarebbe stata teatro del peggiore, con l’uso di gas sarin. “La nostra speranza– dice Haddad- restano quei 18 ministri degli Esteri europei che hanno pubblicamente preso le distanze da Damasco, insieme ai movimenti di siriani democratici che in tutto il mondo continuano a chiedere la fine dell’impunità”. Tra questi ci sono coloro che a Coblenza, in Germania, sono riusciti a portare a processo due funzionari dei servizi segreti per arresti, torture e uccisioni commesse contro i manifestanti durante le proteste del 2011. Un procedimento che, secondo i giudici, mette alla sbarra l’intero esecutivo.