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Giovedì, 25 Aprile 2024
Il piano / Norvegia

Con il gas venduto all'Europa la Norvegia vuole ridurre le emissioni nel mondo (anche in Italia)

Oslo possiede il fondo sovrano più grande del globo grazie ai profitti delle sue compagnie fossili. E ora annuncia un piano per le aziende (estere) nel suo portafoglio

Quando nel 1969 scoprì di avere uno dei più grandi giacimenti di petrolio della Terra, la sua economia cominciò a crescere in modo esponenziale. Ma fin da subito, la domanda che si posero i leader politici fu come evitare squilibri dettati dagli alti e bassi dei mercati energetici. Fu così che trent'anni dopo la Norvegia decise di riutilizzare gli utili dei suoi giacimenti fossili per creare un fondo d'investimento guidato dallo Stato, il Government pension fund global. Oggi, con un bottino di 1.200 miliardi di euro, quello di Oslo è il più grande fondo sovrano del mondo, con partecipazioni in oltre 9mila grandi aziende (esclusivamente estere) in giro per tutti i Continenti. Una potenza di fuoco che ora vuole utilizzare per ridurre a zero le emissioni di queste imprese entro il 2050.

Il piano per il clima

"Il nostro rendimento a lungo termine dipenderà completamente da come le società nel nostro portafoglio gestiranno la transizione verso una società a emissioni zero", ha affermato Nicolai Tangen, ad del fondo. Non è la prima volta che il Government pension fund global fa annunci di questo tipo: da tempo, i suoi investimenti sono orientati sempre più verso i cosiddetti "green bond", e nelle linee guida cita non solo gli aspetti climatici, ma anche la difesa dei diritti umani e la lotta alla corruzione. In questo caso, però, i vertici del fondo, sulla base di una proposta avanzata ad aprile dal governo, hanno deciso di forzare la mano sulle aziende in portafoglio affinché adottino misure concrete per ridurre a zero le loro emissioni nei prossimi entro i prossimi trent'anni. 

Secondo quanto prevede il Piano climatico per il 2025 del Government pension fund global, il fondo darà priorità al suo dialogo sulle 174 società che sono le maggiori emittenti di gas serra del suo portafoglio, e che rappresentano il 70% delle emissioni del fondo attraverso le sue partecipazioni. Tutte le società in cui investe il fondo dovranno anche avere un piano per ridurre le emissioni a zero entro il 2050.

Gli investimenti nel mondo

L'annuncio è arrivato nel pieno delle trattative tra Norvegia e Unione europea per ridurre il prezzo del gas che dai giacimenti di Oslo arriva sempre più abbondante nei Paesi del blocco in piena crisi energetica. L'anno scorso i ricavi delle compagnie energetiche norvegesi, a partire dall'azienda statale Equinot, sono stati di 29 miliardi di euro. Quest'anno si stima che arriveranno a 95 miliardi, più che il triplo del 2021. Bruxelles vorrebbe convincere Oslo ad abbassare il prezzo, o a condividere gli extra profitti. In alternativa, l'Ue ha minacciato di introdurre un price cap sulle importazioni, ma il governo norvegese ha già mostrato chiaramente la sua contrarietà, ricordando che sta facendo enormi sforzi per aumentare la produzione e non lasciare il resto del Continente alla canna del gas in caso di stop alle forniture russe. 

E così, per il momento, i profitti da gas e petrolio continuano ad alimentare il fondo sovrano, che cresce anche, se non soprattutto, grazie agli interessi accumulati anno dopo anno: oggi possiede in media l'1,3% di tutte le azioni quotate nel mondo, e la sua dimensione equivale a circa 200mila euro per ogni cittadino norvegese. Ma gli investimenti non finiscono in patria: stando ai dati pubblicati dal Nbim, il Norges bank investment management, circa un terzo delle partecipazioni gestite nel 2021 dal fondo sono andate all'Europa, quasi 400 miliardi di euro. Di questi, la parte più grossa è andata in Germania e Francia, con circa 60 miliardi a testa. In Italia, la quota è di circa 18 miliardi, di cui 6 andati all'acquisto dei nostri titoli di Stato (erano la metà nel 2020). Già, perché il fondo sovrano norvegese non compra azioni solo in società o banche (come le nostre Telecom e Monte dei Paschi), ma anche pezzi di debito pubblico di altri Paesi. 

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