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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Un mostro da spegnere / Giappone

Fukushima, 10 anni dopo il disastro gli sfollati potranno tornare a casa (ma l'incubo non è finito)

Al contrario di quanto avviene per Chernobyl, in Giappone gli abitanti delle zone vicine all'impianto potranno tornare nelle abitazioni abbandonate dopo l'incidente nucleare. Un primo passo verso un ritorno alla normalità che è ancora molto lontano: per completare lo smantellamento ci vorranno decenni

Prima il terremoto, poi lo tsunami ed infine il disastro nucleare. Per il Giappone l'11 marzo del 2011 rappresenta il giorno dell'inizio di un incubo, da cui ci potremo ''svegliare'' veramente soltanto tra qualche decennio. Quel giorno al largo della costa orientale giapponese si sviluppò uno spaventoso sisma di magnitudo 9.1, in grado di generare un'onda anomala alta oltre 14 metri. Il gigante d'acqua andò così ad abbattersi contro la centrale nucleare di Fukushima, innescando un incidente che venne classificato come ''catastrofico'' nella scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Tanto per chiarire l'entità del problema, nella storia soltanto un altro evento ha avuto il terribile ''privilegio'' di finire in questa categoria: quello avvenuto nel 1986 nella centrale ucraina di Chernobyl. 

A provocare il disastro nucleare non fu il terremoto, il cui epicentro era situato a circa 97 chilometri da Fukushima, ma appunto lo tsunami provocato dalla scossa che, una volta invaso lo stabilimenti, provocò l’esplosione dei reattori, l’emissione di radioattività nell’ambiente e l'evacuazione di oltre 180mila persone. 

Fukushima, gli sfollati tornano a casa 10 anni dopo

Tutti cittadini che abitavano nei pressi della centrale, costretti ad abbandonare le loro case in fretta e furia dopo l'incidente per evitare conseguenze anche letali per la salute. Ma adesso, a poco più di 10 anni dal disastro di Fukushima, tutti coloro che hanno lasciato le abitazioni nel marzo del 2011 potranno tornare nelle aree interessate dall'incidente. Secondo un comunicato stampa diffuso dal Cabinet office, il rientro avverrà entro dicembre, quando verranno revocati gli ordini di evacuazione nella zona classificata finora come "di difficile ripristino", corrispondente ai sette comuni limitrofi alla centrale nucleare della Tokyo Electric Power Company Holdings Inc. L'inizio del rientro nell'area che inizierà a fine anno sarà graduale e dovrebbe concludersi entro il 2022, a differenza invece di quanto succede a Chernobyl, dove le zone vicine alla centrale non torneranno abitabili prima di migliaia di anni (sì, avete letto bene). Perché in Giappone sì e in Ucraina no? La sostanziale differenza sta nei livelli di radioattività delle due zone. L'incendio di grafite (non utilizzata a Fukushima) innescatosi a Chernobyl, ha contribuito a spargere particelle radioattive fino a migliaia di chilometri di distanza. La differente gestione delle due emergenze ha poi contribuito a rendere la situazione di Chernobyl ancora peggiore, almeno secondo gli ultimi dati disponibili. 

Secondo il governo giapponese, i dati sulla diminuzione dei livelli di radioattività sono tali da permettere il ritorno della popolazione. Numeri che tutt'ora vengono messi in discussione, tanto che moltissimi abitanti della zona di Fukushima nutrono diversi dubbi sul ritorno nelle loro case abbandonate. Secondo un'indagine condotta dall'Università giapponese Kwansei Gakuin, il 65% dei residenti non vuole fare ritorno nell'area dell'incidente. Il 46% degli intervistati ha anche detto di temere una contaminazione dell'ambiente malgrado le operazioni di bonifica del territorio ancora in corso, mentre il 44,8% ritiene di essersi adattato all'attuale posto di residenza. Ma cosa è successo in quelle zone? Come procede il processo di bonifica? Andiamo per gradi. 

Cosa è successo a Fukushima

Il punto di partenza sono le 14.46 dell'11 marzo 2021. In quell'istante la terra inizia a tremare, innescando una serie di eventi di proporzioni bibliche. Eppure, in un primo momento, tutto era andato per il verso giusto. La centrale di Fukushima Daiichi, costruita tra il 1971 e il 1979, comprende sei reattori nucleari ed è dotata di un sistema di sicurezza che in caso di terremoto si attiva per interrompere la fissione e avviare il processo di raffreddamento. Al momento del sisma i sistemi entrarono subito in funzione, inserendo le barre di controllo e attivando i generatori di emergenza per proseguire il raffreddamento delle barre di combustibile, così da evitare che fondano la struttura del reattore e fuoriescano all'esterno. I generatori di emergenza servivano appunto a mantenere attiva la circolazione dell'acqua necessaria per raffreddare i reattori coinvolti, che nel caso di Fukushima sono quelli contenuti negli edifici 1, 2, 3 e 4.

I veri problemi iniziarono dopo circa un'ora, quando la centrale venne colpita in pieno da uno tsunami di 14 metri che, una volta invasi gli edifici dei reattori, mise fuori gioco i generatori di emergenza. L'inizio della fine. La mattina seguente le barre di combustibile iniziarono a fondere con la Tepco (la società che gestisce la centrale) che si trovò costretta ad utilizzare l'acqua del mare per cercare di raffreddare i reattori. Il piano, messo in atto anche con l'utilizzo di elicotteri e idrovolanti, ebbe un parziale successo: le barre vennero raffreddate, ma non abbastanza in tempo da evitare che nei reattori 1 e 2 il combustibile fondesse le vasche in cui era contenuto. E non solo, nel frattempo il vapore generato dall'aumento di temperatura andò a mescolarsi con gli elementi radioattivi prodotti dalla fusione, facendo aumentare sia la temperatura dell'acqua che la pressione all'interno dei reattori. Per evitare l'esplosione di queste mastodontiche pentole a pressione, la Tepco decise di liberare i gas radioattivi nell'atmosfera, un piano che, a sua volta, innescò numerose esplosioni causate dalla perdite di idrogeno.

Prima furono i reattori 1 e 3, entrambi scoperchiati dalla deflagrazione, poi, il 15 marzo, le esplosioni coinvolsero gli edifici 4 e 2, con quella avvenuta in quest'ultimo che non distrusse il tetto, ma fece danni peggiori. Il boato distrusse infatti la vasca in cui era contenuta l'acqua usata per contenere le radiazioni che andò quindi a finire nell'atmosfera, nel suolo e nel mare. Nel frattempo, anche il vapore provocato dalla fusione dell'acqua utilizzata per raffreddare i reattori contribuì a diffondere sostanze nocive in tutta la zona, tanto che il governo decise di evacuare tutta la popolazione nel raggio di 20 km prima e di 30 poi. Per evitare l'ulteriore uscita di acqua la società che gestisce la centrale decise di riempire tutte le condutture e le crepe con il cemento, riuscendo ad arginare la fuoriuscita di acqua radioattiva nel giro di quasi due mesi.

Le operazioni di bonifica

Nei mesi successivi è iniziato il piano di rimozione e messa in sicurezza del materiale radioattivo dalla centrale, un processo lungo e tutt'altro che a buon punto. Le previsioni più rosee parlano di 30-40 per lo smantellamento completo degli impianti, ma si tratta di stime che, purtroppo, vengono aggiornate spesso e non in meglio. Prima vanno recuperate le barre di combustibile non danneggiate e quello che si era fuso, poi vanno smontati i reattori e gestita l'acqua contaminata: il tutto per un costo di circa 64 miliardi di euro.

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Nel decennio trascorso dal disastro le zone limitrofe all'impianto si sono trasformate in una fotocopia di Chernobyl, tra città fantasma e desolazione. Ma se per la centrale ucraina il reattore esploso era soltanto uno, qui sono ben quattro e con problematiche differenti. Mentre delle squadre di ripulitori cercano di rimuovere le particelle nocive che si sono depositate sul terreno e portarle in un luogo sicuro fino al loro decadimento, diverse equipe di specialisti si stanno occupando di rendere inoffensivi i reattori.

Il reattore 2 e l'acqua contaminata

I principali ostacoli sulla strada dello smantellamento completo della centrale di Fukushima sono principalmente due: la rimozione delle barre di combustibile e lo stoccaggio dell'acqua radioattiva. Per quanto riguarda la prima questione, la Tepco è riuscita a rimuovere le barre radioattive contenute nelle vasche dei reattori 3 e 4, mettendole all'interno di un deposito speciale. Il prossimo anno dovrebbero iniziare i lavori sul reattore 2, quello con la situazione più complessa. Come spiegato nelle righe precedenti, l'edificio 2 è quello in cui il combustibile è tracimato all'esterno della vasca che lo conteneva. Il materiale altamente radioattivo è stato ''avvistato'' per la prima volta da un robot nel 2017, ma non è chiaro come sia disposto e né tantomeno se sarà possibile recuperarlo. Infatti non esiste ancora uno robot (o altro di simile) in grado di lavorare in presenza di quei livelli di radioattività senza andare fuori uso in pochi attimi. Infine, per quanto riguarda il reattore 1, i lavori di bonifica partiranno soltanto nel 2027, mentre nei prossimi anni verranno realizzate anche dei ''gusci'' per ricoprire gli edifici.

L'altro problema sarà appunto quello di cosa fare con l'acqua contaminata attualmente contenuta nei serbatoi allestiti intorno alla centrale. Si tratta di circa un milione di tonnellate di acqua utilizzata per raffreddare i reattori e quindi entrata in contatto con sostanze radioattive. Nel corso degli anni l'acqua è stata ripulita di tutti gli elementi nocivi, ad eccezione del trizio, un isotopo radioattivo dell'idrogeno poco pericoloso per la salute dell'uomo e già presente in natura, sia nell'acqua che nell'atmosfera. Proprio per questo motivo il governo giapponese vorrebbe disperdere l'acqua nell'oceano Pacifico, un'ipotesi che ha immediatamente attivato le proteste dei gruppi ambientalisti e dell'industria della pesca, spaventati dalle possibili conseguenze sulla flora e sulla fauna marina.

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La Tepco vorrebbe liberarsi delle tonnellate di acqua entro il prossimo anni, ma una decisione definitiva ancora non è stata presa. A tal proposito, nei giorni scorsi il Giappone e l'AIEA,  l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, hanno pianificato a partire da settembre le procedure di controllo delle acque radioattive durante le operazioni di rilascio in mare. Saranno gli stessi funzionari dell'AIEA a recarsi in Giappone per assistere al rilascio dell'acqua, fissando i parametri dei criteri di revisione che dovranno garantire una supervisione e un controllo esterno ed obiettivo sulla sicurezza delle operazioni condotte dagli operatori giapponesi. Una strategia pienamente concordata con il governo giapponese, come chiarito anche dal ministro dell'Economia, dell'industria e del commercio,  Hiroshi Kajiyama: "L'AIEA controllerà direttamente la sicurezza del rilascio dell'acqua della centrale e invierà informazioni alla comunità internazionale in modo trasparente, e il nostro paese farà del tutto per gestire questo delicato passaggio con grande determinazione".

Entro fine anno gli abitanti delle zone vicine alla centrale di Fukushima potranno tornare nelle case abbandonate 10 anni fa, ma per spegnere il mostro e ripopolare quel pezzo di mondo ci vorrà ancora molto, molto tempo. 

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