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Giovedì, 28 Marzo 2024
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La Turchia richiama l'ambasciatore italiano: "Italia non riconosca genocidio armeno"

Centinaia di migliaia di armeni vennero deportati e uccisi alla fine dell'Impero ottomano tra il 1915 e il 1917. Ankara contesta l'idea che ci fosse un piano per sterminarli. Alla Camera oggi i deputati chiedevano al governo un atto pubblico contro la Turchia

L'ambasciatore italiano ad Ankara, Massimo Gaiani, è stato convocato al ministero degli Esteri turco, che ha espresso il proprio disappunto per la mozione in discussione alla Camera che chiede al governo di riconoscere il genocidio degli armeni. Un gesto che non è arrivato inaspettato, considerato quanto la Turchia sia sensibile all'argomento: Ankara ha ribadito all'ambasciatore la posizione sempre sostenuta, secondo cui il massacro degli armeni commesso durante la prima guerra mondiale non è configurabile come un genocidio.

Casus belli la mozione a prima firma Formentini (Lega) che impegna il governo a "riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale". Oggi alla Camera sono state discusse le linee generali di un atto cofirmato dal deputato leghista Giulio Centemero, De Carlo (M5S), Delmastro Delle Vedove (Fdi), Quartapelle Procopio (Pd). Per il governo è intervenuto il sottosegretario Vincenzo Santangelo: "L'Italia - ha detto - ritiene che la questione dei massacri perpetrati in Anatolia nel 1915 debba essere affrontata mediante un dialogo costruttivo fra le parti, scevro da pregiudizi e preconcetti". 

Il genocidio armeno

Gli armeni fanno risalire l'inizio del genocidio alla notte tra il 23 e 24 aprile del 1915, quando il governo ottomano ordinò l'arresto e l'esecuzione di 50 tra intellettuali e leader della comunità armena, con il pretesto che fossero "una quinta colonna" dei russi.

Dopo quel primo episodio, centinaia di migliaia di armeni vennero deportati e uccisi alla fine dell'Impero ottomano tra il 1915 e il 1917. Secondo l'Armenia, le vittime di quei massacri furono almeno 1,5 milioni. Ankara riconosce che un gran numero di armeni furono uccisi dai turchi durante quel periodo, ma contesta l'idea che ci fosse un piano per sterminarli, rifiutando così il termine "genocidio", mentre l'Associazione internazionale degli studiosi di genocidi (Iags) ritiene che gli armeni uccisi furono "oltre un milione".

Sono una ventina i Paesi nel mondo, tra cui Italia, Russia, Argentina e Città del Vaticano, che hanno ufficialmente riconosciuto come genocidio il massacro degli armeni. Il primo Stato al mondo a riconoscere il genocidio armeno, nel 1965, fu l'Uruguay. L'Italia, sebbene solo a livello parlamentare, l'ha già riconosciuto nel novembre 2000 con una risoluzione della Camera dei Deputati.

Nel 2015 Papa Francesco definì l'uccisione degli armeni "il primo genocidio del XX secolo", scatenando l'ira della Turchia, dove l'utilizzo del termine genocidio è punito con il carcere in base all'articolo 301 del codice penale, che prevede il reato di "vilipendio dell'identità turca": per questo sono stati perseguiti lo scrittore Nobel per la letteratura, Orhan Pamuk, e il giornalista di origine armena Hrant Dink, che venne ucciso da un ultranazionalista nel gennaio del 2007.

Nel 2014 l'allora premier oggi presidente Recep Tayyip Erdogan, in un gesto senza precedenti, offrì le sue "condoglianze ai nipoti degli armeni uccisi nel 1915", auspicando che "gli Armeni che hanno perso la vita nelle circostanze dell'inizio del XX secolo riposino in pace". Malgrado il gesto distensivo del 'Sultano' la questione è sempre stata motivo di attrito tra Ankara e i governi che hanno riconosciuto il genocidio.

Fortissime tensioni fecero da corollario al voto con cui il 2 giugno 2016 il Bundestag approvò quasi all'unanimità la risoluzione che definiva come genocidio il massacro degli armeni da parte dell'Impero Ottomano.

Anche di recente, a febbraio, il governo turco ha "condannato con fermezza" la decisione del presidente francese, Emmanuel Macron, di dichiarare il 24 aprile giornata della commemorazione del genocidio armeno, invitandolo ad occuparsi dei "problemi politici" nel suo Paese con un chiaro riferimento ai gilet gialli.

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