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Venerdì, 19 Aprile 2024
Crisi Russia-Ucraina

La Germania prende la via delle armi e del nucleare

La guerra in Ucraina obbliga il governo tedesco a rivedere la sua strategia

Meno di una settimana fa Scholz ha tenuto il suo storico discorso davanti al Parlamento, uscendo così dall’ombra di Angela Merkel. Il Cancelliere federale sa che la guerra di Putin cambia radicalmente le carte in tavola del continente. Ecco perché fino all’ultimo ha provato a evitare il conflitto: non si tratta (solo) di rapporti commerciali e di interessi economici, che pure certamente esistono.

La posizione tedesca fino al 24 febbraio era più complessa, perché consapevole della necessità di trovare un accordo con la Russia, contro la quale la pace in Europa, semplicemente, non si può fare. Ecco perché la scelta di Putin è ancora oggi incomprensibile per Berlino e Scholz non lo ha nascosto domenica quando ha ricordato di aver parlato “per ore” con Putin, anche personalmente, provando a venire incontro alle richieste di sicurezza che esprimeva a nome del suo paese. Di fronte alla guerra e al tentativo di definire un §nuovo ordine globale", però, Scholz sa che la strategia sin qui seguita non e più adeguata. Almeno per due sfide che l’aggressione russa ha complicato e accellerato.

La prima è quella militare: se è vero che Mosca vuole annettere l’Ucraina, come qualcuno teme, ci potrebbe essere l’ipotesi di una lunghissima contesa, persino con la fuoriuscita dal paese di un “governo in esilio”, che continuerebbe a essere considerato dagli occidentali l’unico legittimo e c’è già chi preme perché questa opzione preveda proprio Berlino o un’altra città tedesca come residenza ufficiale degli “esiliati”. Questo renderebbe estremamente delicati i prossimi mesi, forse ancor più di quanto il conflitto stesso abbia determinato.

Perché ai confini dell’Europa c’è un paese che non disdegna l’uso delle armi: come deve relazionarcisi l'Europa se la guerra non è più esclusa? Per rispondere a questa domanda il cancelliere tedesco sa che deve usare parole efficaci per tenere in piedi il continente e l’Unione europea: da qui il riferimento alle spese militari che impegnerà il bilancio federale con uno sforzo straordinario per arrivare a oltre il due percento del PIL investito per la Difesa, come previsto dagli accordi Nato. È un discorso che, al di là delle necessità di entrare poi nel dettaglio di come questo investimento sarà realizzato, lancia un messaggio preciso soprattutto ai paesi dell’Europa orientale: siamo consapevoli della gravità della situazione e intendiamo farcene carico. Per quanto paradossale possa apparire, è proprio la guerra di Putin che ha obbligato gli europei, e in particolare i tedeschi, a prendere sul serio gli obblighi Nato. Cosa che Scholz avrebbe volentierie evitato: oggi il sostegno della popolazione è assicurato, ma non è detto che nei prossimi mesi, quando gli investimenti militari obbligheranno a tagli su altri settori, il consenso non vada scemando. 

Ecco perché è del tutto sbagliato parlare di riarmo tedesco: intanto perché non è certamente la prima volta che la Germania, per limitarci solo a quella riunificata e quindi agli ultimi trentadue anni, partecipa ad operazioni militari. È un passaggio che è stato già discusso politicamente e nella società: tutti ricordano ancora il Mai più Auschwitz con il quale il verde Joschka Fischer, allora ministro degli esteri, giustificò l’intervento in Kosovo. Ma si tratta soprattutto di una necessità continentale che non può essere aggirata, pur essendo certamente inquietante il ritorno ad un massiccio investimento in armi e forniture militari, per le quali sarà importante verificare anche il prossimo Concetto strategico della Nato di prossima approvazione.

Il secondo banco di prova è dato dall’energia: anche in questo caso la strategia tedesca deve mutare completamente. Appena eletto, il cancelliere aveva promesso un’accelerazione verso la neutralità climatica e il gas era una risorsa decisiva nella fase di transizione. Dunque, che fare? Scholz ha promesso investimenti sull’idrogeno, che è una strada promettente ma richiede investimenti e tempo. Un ritorno al carbone rappresenterebbe la fine, almeno nel medio periodo, di una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica ed è ecologicamente la strada meno percorribile. Nel governo qualcuno comincia a parlare di una soluzione transitoria: non il ritorno al nucleare ma, in attesa di prendere le necessarie misure, posticiparne l’uscita, prevista per il 31 dicembre di quest’anno, quando dovrebbero essere mandati definitivamente in pensione i tre reattori rimasti ancora in funzione. Qualunque scelta non piacerà ai Verdi, oggi al governo, e anche a gran parte della società tedesca. Ma si tratta di un passaggio obbligato e anche prossimo, che richederà però un accordo in parlamento e una discussione pubblica. 

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