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Venerdì, 19 Aprile 2024
Testimonianza dal fronte

"Io in fuga da Kharkiv, dove le donne partoriscono in metro"

Lei, studentessa 19enne, ha parlato via Instagram con Today: "I russi ci sparano addosso, ma non lascio l'Ucraina". La testimonianza

Svegliata da un boato. Erano le cinque del mattino del 26 febbraio. Raggomitolata nel letto del suo alloggio studentesco non ha pensato a nulla di grave. Dalle tende della finestra trapassavano bagliori che si alternavano ai frastuoni. Parevano esplodere nelle vicinanze. Tanto era folle l'idea di una guerra, che il suo primo pensiero è stato immaginare dei fuochi d'artificio, chissà dove, per le strade adiacenti al suo alloggio. In fondo Kharkiv era una città universitaria come molte altre in Europa. Si è girata sull'altro fianco e si è riaddormentata. Ma quelle erano le bombe con cui la Russia dichiarava guerra alla sua Ucraina. Polina, studentessa universitaria, lo avrebbe realizzato un'ora più tardi, verso le 6, quando a buttarla giù dal letto è stata la telefonata di un suo amico: "È iniziata una guerra, le truppe russe arriveranno anche qui a Kharkiv. Prendi le cose più importanti. Dobbiamo andare via". 

In fuga da Kharkiv, dove le donne partoriscono in metro 

"Ero in preda al panico. Sono andata su Telegram e ho visto che ovunque scrivevano delle esplosioni vicino a Kharkiv. Piangevo. Ho iniziato a chiamare gli amici, sono scesa e ho bussato a casa dei vicini per svegliarli. Poi sono tornata in camera, ho raccolto l'essenziale: quello che poteva stare in un piccolo zaino. Molti dicevano di aspettare, che all'improvviso sarebbe finito in poco tempo. Mi sono seduta. Non riuscivo a credere che fosse iniziata una guerra".

A raccontarlo a Today è direttamente Polina, attraverso una chiamata Instagram. Lei, che proviene da una piccola cittadina dell’Ucraina, si trovava a Kharkiv per seguire i corsi universitari. Vuole diventare una programmatrice informatica. Talentuosa, al punto da guadagnarsi già il posto in una azienda per uno stage lavorativo. Potrebbe già aprirle le porte del lavoro a cui ha sempre ambito. Sogni cannoneggiati dai tank russi. Ma intanto l’azienda informatica, insieme ai suoi colleghi, sono stati la sua salvezza. 

"Alle 9 di quella mattina, ci ha scritto il Ceo dell'azienda in cui mi sto formando e ha detto che potevamo essere portati via da Kharkiv. - prosegue Polina - Ho incontrato un amico che viveva alla porta accanto e lavorava con me. Siamo andati in ufficio. Già allora c'erano molte persone nella metropolitana che non andavano da nessuna parte, aspettavano solo che finisse tutto. Abbiamo atteso fino alle 17. Non potevamo partire perché c'erano molte persone alle stazioni di servizio. C'erano code molto lunghe, per cui il nostro autobus non poteva fare rifornimento". 

C’è voluto del tempo, ma alla fine della giornata Polina era già su un bus diretto a Cherkasy, 400 chilometri a ovest di Kharkiv, a sud est dalla capitale Kiev. Oggi, a dodici giorni dall’inizio del conflitto, lei è ancora lì. Si nasconde in un ostello. Nella cittadina che si affaccia sul fiume Dnepr, risuonano le sirene anti aeree almeno tre volte al giorno. Ma il suo pensiero è sempre rivolto a Kharkiv, da dove riceve costantemente informazioni da chi è ancora lì, in trappola.

Guerra Russia Ucraina: ultime notizie in diretta

"L'orrore sta accadendo ora a Kharkiv. - prosegue a raccontare Polina - Nella zona di Saltovka, hanno sparato costantemente sin dal primo giorno. I russi sono entrati nelle case, negli ospedali, negli asili e nelle scuole, nei garage, nelle auto dove erano sedute persone che volevano andarsene. Il primo marzo una bomba ha colpito piazza della Libertà, la piazza principale della città. Il 2 marzo, importanti edifici del centro cittadino hanno cominciato a esplodere. Quasi tutta Kharkiv è in fiamme, molte persone sono rimaste senza casa, senza parenti, i bambini stanno nascendo nella metropolitana, dove molte persone si nascondono perché hanno paura di uscire". Alcuni sono usciti e sono stati uccisi, proprio accanto ai distributori d'acqua. Ho molti amici rimasti a Kharkiv e non possono uscire per l'acqua o il cibo perché gli aerei li sorvolano sempre e esplode sempre qualcosa".

Polina è in contatto con molti amici e conoscenti in varie città dell’Ucraina ed è convinta che almeno una parte dei soldati russi, si sia ritrovato invischiato in un conflitto senza neppure accorgersi. "Non tutti nell'esercito russo capiscono cosa sta succedendo. Alcuni si perdono nei villaggi e chiedono alle persone di aiutarli a partire o ad arrendersi. Gli avevano detto che venivano mandati ad addestrarsi o a "liberare" gli ucraini dai nazionalisti. Nell'esercito russo ci sono ragazzi anche di 17 e 18 anni. Sono stati portati via dalla scuola e gli è stato detto di andare, senza spiegare dove e perché".

Ancora oggi Kharkiv è sotto controllo ucraino. Le truppe russe pensavano di prenderla in pochi giorni e invece non hanno fatto i conti con la resistenza strada per strada degli ucraini. Tuttavia la città è smembrata nei palazzi, con case distrutte. Quelle rimaste in piedi sono senza riscaldamento e senza elettricità, con temperature che, di notte, scendono anche di molto sotto lo zero. Non c’è cibo, neppure nei supermercati. È una città senza tregua. Polina è riuscita a fuggire da lì. 

Il coraggio di Polina: "Resto al fianco degli ucraini"

A Cherkasy arrivano ucraini da tutta la nazione perchè ben collegata con Leopoli e snodo per la fuga verso i Paesi confinanti ad ovest. Soprattutto la Polonia. Non è un caso che i primi pullman di profughi ucraini arrivati in Italia, a Trieste, lo scorso 27 febbraio, proveniva proprio da Cherkasy. Polina potrebbe andarsene ora, anche perché lei ha una zia in Italia che non vede l'ora di aprirle la porta di casa e abbracciarla. Ma Polina non ne vuole sapere. "Non me ne vado perché sono con i miei colleghi, i miei connazionali. Loro non possono lasciare il Paese perché potrebbero essere chiamati a combattere per l’esercito ucraino. Non li posso abbandonare. Forse saranno chiamati. Non voglio lasciarli. Vediamo come va. E poi non voglio abbandonare l’Ucraina perché in Polonia non conosco nessuno e non so come sarebbe ritrovarsi lì". 

Polina dunque, almeno per ora, resta a Cherkasy. "La situazione è abbastanza tranquilla. In città ci sono posti di blocco e qualsiasi macchina deve passare di lì. - prosegue nel racconto a Today la giovane ucraina - C’è molta polizia e se qualcuno è sospettato, viene fermato. È capitato anche a un mio amico di essere fermato dalla polizia perché sospetto di essere un russo vestito da civile. Anche l’altro giorno ci sono state le sirene. Le persone poi scappano in zone protette. Volano degli aerei, ma non capisco se siano dell’esercito. Io insieme ai miei colleghi siamo in un ostello, non ci assettiamo nessuno aiuto umanitario, anzi ci prepariamo a difenderci se arrivano i russi, ogni giorno riempiamo i sacchi con la sabbia e li predisponiamo in caso di attacco via terra. Qui non c’è l’esercito, ma ci sono gruppi di cittadini che si stanno organizzando".

Il coraggio però ogni tanto viene scosso dal brivido della paura. Se Polina ripensa a quello che più l’ha sconvolta in questi giorni di guerra, le torna in mente il "primo giorno, quando stavo andando via da Kharkiv: ho visto i carri armati vicinissimi a una casa di studenti. Poi ho visto i russi sparare sui civili. Ho visto le persone uscire di casa per fermare i carri armati russi. Ho visto i soldati russi sparare senza scrupoli, sia con i fucili sia dai carri armati, pur di entrare nelle città. Ora ho paura che arrivino le bombe. Non posso, non voglio abbandonare gli ucraini". 
 

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