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Martedì, 16 Aprile 2024
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Cosa sta accadendo tra Russia e Ucraina e perchè riguarda anche noi

Le mosse del Cremlino, gli scenari futuri, la guerra imminente. Perchè la Crimea si sta per incendiare (ancora)

L'ultimo atto dell'escalation militare russa attorno all'Ucraina è l'introduzione di una "No Flight Zone" sulla Crimea e sul Mar Nero, per 19mila km di altezza, annunciata il 20 aprile in coincidenza con esercitazioni militari, navali e aeree, in programma fino a sabato 24 nella zona. Una notifica ai piloti recita che l'area «potrebbe essere temporaneamente pericolosa per i voli aerei» e riguarda i cieli in corrispondenza delle acque territoriali al largo della costa meridionale della Crimea e anche di porzioni delle acque internazionali nel Mar Nero. Sempre martedì 20, la flotta russa dispiegata sul Mar Nero ha annunciato l'avvio effettivo delle esercitazioni militari: alle manovre prendono parte più di venti navi da guerra della flotta e aerei da combattimento come gli Su-25. Più di cinquanta aerei da guerra sono stati dislocati in Crimea.

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Il 19 aprile erano state rese pubbliche alcune fotografie satellitari che mostravano la presenza di un "caccia" in una base aerea della Crimea che, a fine marzo, non era sul posto. E non mancano droni, elicotteri d’attacco, unità corazzate, attrezzature di disturbo e truppe aggiuntive rispetto a quelle di stanza nella penisola occupata dalla Russia nel 2014. A queste attrezzature militari si aggiungono i circa centoventimila uomini mobilitati verso il confine con l’Ucraina nella zona del Donbass, dove si combatte da sette anni, ma anche in prossimità di altre regioni. La mobilitazione militare russa (maggiore di quella immaginata nei giorni scorsi) risolleva l’attenzione su questa zona d’Europa, che i media avevano “accantonato” in favore di altri scenari internazionali, e preoccupa tutto il mondo. Nel contempo distoglie l’attenzione dal caso dell’oppositore russo Aleksej Navalny, ricoverato per gravissimi problemi di salute proprio il 19 aprile dopo una criticata detenzione, iniziata a gennaio con il suo rientro a Mosca dopo avere curato in Germania le conseguenze di un avvelenamento sempre negato dalla Russia.

Si tratta, inequivocabilmente, di manovre preparatorie ad un possibile attacco, sebbene gli esperti dichiarino che, al momento, la Russia non sembra ancora pronta a sferrarlo. Le prossime due settimane saranno in ogni caso febbrili per le diplomazie in Europa e oltre oceano. Ancora una volta, dunque, l’Ucraina diviene bersaglio delle “attenzioni” non esattamente amichevoli di Mosca, come era successo già nel 2014 dopo la rivolta nota come Maidan, con un cambio di regime in favore di una politica estera più europeista da parte di Kyiv. In seguito a Maidan la Russia da una parte occupò la penisola della Crimea, una Regione autonoma all’interno del territorio ucraino, di fatto annettendola; dall’altra parte promosse e favorì il conflitto armato nella parte più orientale delle Regioni di Donetsk e Luhansk (il Donbass appunto), ovvero la zona ucraina più industrializzata ed anche, secondo una certa propaganda, quella meno propensa a sostenere la politica europeista del governo nazionale ucraino.

Rispetto ad altri conflitti nel frattempo congelati in cui è coinvolta la Russia, come quello della Regione moldava della Transnistria, in Donbass i combattimenti sono proseguiti costantemente, portando il bilancio a circa quattordicimila morti, senza che si arrivasse ad una soluzione pacifica per la distanza siderale tra le parti in causa soprattutto in merito all’indizione delle elezioni locali, che la Russia vedrebbe come primo e fondamentale passo, mentre l’Ucraina vorrebbe solo una volta cessata l’occupazione militare di quei territori da parte di presunti separatisti e di truppe russe (il primo presidente autoproclamato della Repubblica Popolare di Donetsk, non riconosciuta a livello internazionale, era Igor Girkin, cittadino russo).

La Russia vuole realmente attaccare l’Ucraina?

Due sono gli ordini di domande relativi alla mobilitazione straordinaria dei militari e dell’esercito russo a cui si assiste in queste settimane. Il primo ordine di domande è relativo alla consistenza della minaccia di un attacco. In altre parole, la Russia intende realmente scatenare un’offensiva militare oppure sta semplicemente alzando il prezzo della minaccia armata? Il secondo ordine di domande è relativo, invece, alle ragioni di questa minaccia o preparazione di attacco.

Qualunque risposta può essere soltanto un’ipotesi. In particolare, nessuno è al corrente se Putin intenda realmente attaccare militarmente l’Ucraina o no. Gli esperti sottolineano che non vi sarebbe convenienza a sferrare l’attacco, ma aggiungono che non è detto che la comunità internazionale si stringa immediatamente e, soprattutto, concretamente a sostegno dell’Ucraina e della sua incolumità. E’ forse per questo che il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, il 20 aprile, in un breafing con la stampa estera, ha sottolineato con forza l’esigenza che l’Unione Europea e gli Stati Uniti prendano una decisa posizione in sostegno dell’Ucraina. «Mosca dovrà sentire, da ogni parte, che l’Ucraina non è da sola», ha affermato Kuleba aggiungendo anche di aspettarsi che tutti i partner del suo Paese si chiedano, al loro interno, come poter aiutare l’Ucraina in caso di guerra.

Perché la Russia ha fatto partire l’escalation?

Diverse invece le ipotesi sulla ragione per cui la Russia ha deciso di organizzare una simile escalation militare. Alcune riguardano il rapporto intrinseco tra Russia e Ucraina, altre concernono i rapporti tra la Russia e il mondo occidentale, altre infine legano la decisione a questioni di politica interna e al consolidamento della leadership di Putin in vista anche delle elezioni politiche del 2021.

Per quanto riguarda il consolidamento interno della leadership, va premesso che Putin si è assicurato la possibilità di candidarsi a presidente della Federazione Russa fino al 2036 grazie ad un emendamento alla Costituzione che ha azzerato il conteggio dei suoi precedenti mandati. Un’operazione quasi dittatoriale, inclusa in un pacchetto consistente di riforme che i russi, in un referendum, hanno approvato in blocco, mentre la propaganda televisiva si soffermava su altri punti in discussione. E tuttavia il consenso intorno a Putin e al suo partito non è oggi granitico. Lo si è visto con le manifestazioni in sostegno al dissidente Navalny, che hanno visto la partecipazione di migliaia di persone sfidando i divieti, ma forse più ancora durante la crisi in Belarus: i più attenti osservatori hanno notato che, di fronte alla richiesta d’aiuto del presidente Lukashenko all’alleato più fedele, per diverse settimane Putin ha tenuto un profilo inaspettatamente basso, segno forse di accesi confronti all’interno di un entourage non esattamente compatto sul da farsi.

In altre parole, da una parte il “cerchio magico” di Putin potrebbe non essere così unito intorno al suo presidente e, dall’altra parte, il Cremlino teme la crescita di un dissenso interno al Paese. Spesso, per compattare la popolazione (e gli oligarchi), Putin ha giocato la carta dei muscoli in politica estera, puntando sulla questione della patria e dell’orgoglio russo, riuscendo sempre nel suo intento: ogni volta che ingaggiava una politica estera muscolare, in Crimea e in Donbass come più avanti in Siria o, prima ancora, in Georgia, Putin ha visto aumentare il suo consenso interno. L’assembramento di forze militari attorno all’Ucraina potrebbe dunque essere, per il Cremlino, sintomo di un consenso interno al Paese da rafforzare.

Per quanto riguarda, invece, le motivazioni non domestiche della mobilitazione militare, queste vanno dal rapporto con l’Occidente a quello, più specifico, con l’Ucraina, di cui Putin potrebbe avere intuito un momento particolarmente debole. Il presidente Zelensky da qualche mese è costretto, per ragioni di consenso, a rinunciare al ruolo di colomba sul conflitto in Donbass; particolarmente gravi, poi, sono le difficoltà nell’affrontare la crisi sanitaria del covid-19 sia dal punto di vista delle strutture sanitarie sia da quello delle vaccinazioni. Un momento debole di cui approfittare aumentando la pressione sulla Crimea (in cui è scarso l’approvvigionamento dell’acqua, cosa che potrebbe rappresentare un problema a lungo termine per gli abitanti della penisola) e sul Donbass.

Il rapporto (complicato) con l’Occidente

Circa il rapporto con l’Occidente, l’escalation militare si spiegherebbe soprattutto col tentativo di distogliere l’attenzione sull’oppositore Navalny, attualmente ricoverato per gravi problemi di salute. Navalny fu avvelenato in agosto e fu costretto a recarsi in Germania per le lunghe cure a cui avrebbe dovuto essere sottoposto. Tornò poi a Mosca a gennaio e fu arrestato in aeroporto, poi condannato per non essersi presentato ad un posto di polizia nei mesi precedenti dato che era in libertà vigilata. Una contraddizione in termini dato che le stesse autorità russe avevano dato il consenso all’espatrio per ragioni di salute. L’arresto di gennaio e, ora, le gravi condizioni di detenzione hanno provocato dure prese di posizione da parte dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e dei singoli Paesi europei nei confronti di Putin e della Russia. L’assembramento militare intorno all’Ucraina evidentemente distoglie l’attenzione su Navalny proprio mentre questi rischia di morire e le pressioni internazionali sulla Russia aumentano per indurla a non accanirsi sul dissidente. I rapporti con l’Occidente sono inoltre decisamente freddi dopo che il nuovo presidente degli Usa, Joe Biden, ha definito Putin un «assassino», proprio in riferimento all’avvelenamento di Navalny nel 2020. E, nelle ultime settimane, si sono verificate alcune crisi dovute a casi di spionaggio in Italia, in Bulgaria e soprattutto in Repubblica Ceca, dove sarebbe stato provato il coinvolgimento dei servizi segreti russi nell’esplosione di un deposito di munizioni a Vrbetice, con due cittadini cechi morti. Praga ha espulso per questo ben venti diplomatici russi.

A Kyiv si aspettano di tutto. Forse nessuno più degli ucraini sa quanto imprevedibili possano essere le mosse del Cremlino, anche dal punto di vista militare. Il ministro degli Esteri Kuleba, nel briefing del 20 aprile con la stampa estera, non ha escluso alcuno scenario ma ha ribadito che, da parte ucraina, non vi è alcuna intenzione di rispondere alle provocazioni militari, ma semmai quella di cercare di mitigare le reazioni e le conseguenze. Kuleba ha promesso che lavorerà con gli Stati Uniti e l’Unione Europea per gettare acqua sul fuoco dell’escalation militare, dichiarando tuttavia che il suo Paese si prepara a difendersi e chiedendo ai partner internazionali di non lasciare sola l’Ucraina di fronte alla Russia, prevedendo anche eventuali sanzioni (più pesanti di quelle attualmente in vigore).

La strategia di Mosca e i Paesi “satellite” (volenti o nolenti)

I movimenti via terra e il blocco aereo sul Mar Nero non suggeriscono buoni presagi. La strategia russa sull’Ucraina è sempre stata quella di considerare il Paese un suo “satellite”, per questo considerato nella propria zona d’influenza. L’ideologia putiniana è, come si sa, nostalgica non tanto del sistema comunista dell’Urss, quanto della potenza di Mosca fino al 1989, considerata da Putin necessaria per agire con autorevolezza sugli scenari internazionali. Dopo un primo periodo di partnership anche stretta con la Nato, Putin ha preferito virare verso una nuova centralità di Mosca rispetto ad un’area concorrente a quella occidentale, cercando di riacquistare (anche muscolarmente) influenza sui Paesi dell’ex Urss.

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