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Giovedì, 25 Aprile 2024
L'intervista

Che cosa è successo a Chernobyl: il racconto dalla zona di esclusione

La fotografa Francesca Gorzanelli, che da anni documenta la zona del disastro con foto e testimonianze, spiega cosa sta accadendo: l'occupazione russa, i soldati di Mosca che hanno scavato trincee nella foresta rossa finiti in ospedale, i cittadini ucraini costretti a fuggire

Il nome Chernobyl riporta subito alla memoria l'incidente nucleare del 1986 e quando, nelle scorse settimane, i russi hanno preso il controllo della centrale gli incubi peggiori si sono risvegliati. Ne è una dimostrazione, qualora servisse, la corsa alla ricerca dei bunker che si è scatenata anche in Italia. Adesso che l'impianto è tornato nelle mani degli ucraini, si cerca di valutare l'impatto delle azioni militari. Sembra che alcuni dei soldati russi spediti tra i reattori adesso siano in ospedale. Il sospetto - non confermato - è quello di un'intossicazione. Troppo tempo in zona contaminata senza protezioni. Per capire cosa succede a Chernobyl, Today.it ha parlato con la fotografa Francesca Gorzanelli, che dopo un primo reportage, nelle zone del disastro è tornata più e più volte. Il suo diario social del primo viaggio è diventato il racconto di un legame con l'Ucraina e la sua gente che si è rafforzato col tempo. Adesso, suo malgrado, è diventato un diario di guerra dove trovano spazio le notizie che giungono dalle persone in prima linea.

Guerra Russia-Ucraina: le ultime notizie

"Sono andata a Chernobyl la prima volta con mio marito - racconta - . Ero all'inizio della mia carriera e volevo un reportage di impatto. Era lavoro. Puro lavoro. Appena ho messo piede in Ucraina, prima a Kiev e poi a Chernobyl, mi sono accorta che quello che pensavo dell'Est era lontano dalla realtà. Quando sono partita avevo un'idea fatta sui libri di scuola. Preconcetti, se vogliamo, stereotipi. Che si sono infranti appena mi sono guardata intorno. Ho sentito l'esigenza di raccontare con le mie foto e le mie parole ciò che vedevo. Al primo viaggio ne sono seguiti altri, con cadenza continua. All'inizio con mio marito, poi con alcuni amici, infine con veri e propri gruppi di persone. Ho conosciuto le persone del luogo, ne sono diventata amica. Oggi è un dolore vedere quelle terre ancora devastate. I miei amici sono fuggiti quasi tutti. Chi è rimasto mi racconta di distruzione, paura, di vite stravolte".

"Kiev - prosegue Francesca - è una città moderna che non ha nulla da invidare a una città europea. Certo, le periferie non sono così, ma anche da questa parte dell'Europa ci sono periferie molto diverse dalle zone centrali. Chernobyl la si pensa come una terra desolata. Non è cosi. La cittadina ha dato il suo nome all'incidente, che in realtà è avvenuto più distante. Nel raggio di trenta chilometri dalla centrale è stata creata la cosidetta 'zona di esclusione'. Lì non si può risiedere, anche se molti anziani sono tornati e stanno lì contro le indicazioni del governo. Chernobyl è una cittadina viva. Ci sono i servizi, il supermercato, l'ufficio postale. I lavoratori vivono lì per periodi di due settimane, sia quelli della centrale sia gli altri impiegati. Anche i turisti possono stare lì. Certo si devono seguire rigidi protocolli. Non si è liberi di andare dove si vuole e fare quello che si vuole. Poi sì, c'è la foresta rossa dove c'è ancora un'alta contaminazione. Chernobyl è una città che fa i conti col passato. Dove quello che è accaduto 'ieri' è palpabile ma non è abbandonata come la si immagina erroneamente".

Il ritratto che viene fuori è quello di una cittadina che ha vissuto tre volte: prima e dopo l'incidente, poi la nuova pelle col turismo. Anzi, alla luce di quanto sta accadendo, è più corretto dire cinque. C'è l'oggi: la guerra. Ci sarà il domani: la ricostruzione.

"Quando qui in Italia si è iniziato a parlare della guerra - racconta Francesca - allertavo a mia volta i miei amici lì. Loro non erano preparati. Il mio 'state attenti' era visto come una preoccupazione eccessiva da italiana. Loro con la guerra convivono da otto anni. Gli scontri erano limitati a un'altra area, ma vedere mezzi militari non era strano per loro. Poi la mattina del 25 febbraio mi sono svegliata e ho trovato un messaggio sul cellulare. Era un amico amico. 'E' successo' scriveva". 

(Nella foto la zona di pre-accesso all'area di esclusione prima e dopo l'inizio della guerra)

zona pre esclusione chernobyl-2

Quello è il giorno in cui i russi sono entrati a Chernobyl. Il giorno in cui il mondo ha iniziato ad avere paura. "Chernobyl è al confine con la Bielorussia, un'area strategica. I russi hanno subito tagliato la linea elettrica, gli ucraini hanno invece fatto saltare i ponti di accesso in modo da isolare le truppe nemiche. Una cittadina fuori dalla zona di esclusione, ma prima dei ponti, è rimasta isolata diventando oggetto di saccheggio da parte delle truppe di Mosca". 

(Nel video l'arrivo delle truppe russe)

Da quel momento anche avere informazioni è diventato difficile. Propaganda e contropropaganda sono entrate in gioco pesantemente, aggiungendosi alle oggettive difficoltà di comunicazione. "Ho avuto informazioni dai miei contatti, ho dato loro voce - spiega Francesca  - . Seguo anche i media locali e uno spazio web dove intervengono gli operai stessi della centrale, sono molto attendibili".

E' sentendo chi è sul posto che Francesca ha dato voce al racconto di un turnista, che ha raccontato cosa è accaduto dal momento dell'occupazione russa. L'arrivo delle truppe, l'impreparazione dello stesso esercito di Mosca. "Hanno mandato ragazzini. Loro stessi hanno detto di dovere stare solo tre giorni, per un'esercitazione. Non possiamo sapere - sottolinea - se fosse detto ad hoc, certamente però avevano provviste solo per tre giorni e non avevano il giusto equipaggiamento. Erano impreparati, imprudenti. Il passaggio dei mezzi militari nella foresta rossa ha sollevato pulviscolo radioattivo. Hanno scavato trincee. Sono stati avvistati poi dei pulmini dei militari trussi in ospedale. Cosa abbiano non si può dire. Non possiamo parlare di 'sindrome da radiazione acuta', perché è molto grave e si verifica solo con una massiccia esposizione. Il pericolo vero - spiega Francesca, che nella centrale è entrata più volte - non è dato dai giorni nell'impianto. Il vero pericolo può nascere dal furto che c'è stato all'Ekocentre (l’impresa statale ucraina incaricata del monitoraggio delle radiazioni e dell’ambiente, ndr). Da lì è sparito materiale. Lì si analizzano campioni radioattivi che non devono essere maneggiati senza preparazione specifica e protezioni".

Francesca spiega che per i soldati russi quella più probabile è una intossicazione: "Sintomi quali vomito, diarrea o lingua gonfia li ho avuti persino io durante i miei primi due viaggi. Che siano causati dal cesio, dal plutonio o dalla grande quantità di amianto in disfacimento, questo non posso saperlo. Ma questo è il motivo per il quale la notizia di ieri non mi ha stupita affatto, dopo un mese di atteggiamenti scellerati in una zona con materiali di questo genere". 

Adesso la centrale è tornata al governo ucraino. Sul suo blog Francesca riporta il documento che lo testimonia. Un atto in cui i russi dichiarano di avere terminato la "loro opera di 'controllo' e chiedono alla controparte ucraina di firmare il 'nulla da reclamare sull'operato dei controllori'". La centrale però, non l'intera zona di esclusione.

documento chernobyl-2

La speranza è che sia il primo passo per il ritorno alla normalità. "La centrale - dice Francesca - ora è al sicuro ma ci sarà tanto da fare. Mi chiedo quando si potrà tornare in quelle zone e cosa ci sarà. Certamente tornerò appena possibile, Aiuterò a ricostruire e so già che avrò l'aiuto di tanti italiani. Nel frattempo continuo a raccontare quello che succede lì, a dare voce a chi difficilmente trova spazio altrove".

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