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Venerdì, 19 Aprile 2024
la delocalizzazione / Cina

Produrre l’iPhone 14 costa troppo, il balzo degli stipendi degli operai fa fuggire Apple dalla Cina

A incidere sulla decisione dell'azienda di Cupertino di spostare parte della produzione dei suoi prodotti è anche l'incertezza economica e sociale legata alla strategia Zero-Covid cinese

Il nuovo iPhone 14 ha fatto il suo ingresso nel mondo (commerciale) globale, dopo che Apple ha presentato il 7 settembre l'inedito gioiello in un evento a distanza. Quando i fan dei prodotti della 'mela morsicata' si recheranno negli store per acquistare l'iPhone 14, penseranno di comprare certamente uno smartphone innovativo, frutto di un processo produttivo simile a quello dei modelli precedenti.

Quello che in pochi sapranno è che il gigante tecnologico statunitense ha segnato una svolta nella sua storia aziendale: l'iPhone 14 è meno cinese dei suoi predecessori. Apple ha deciso di spostare parte della produzione del nuovo smartphone - ma anche dii altri prodotti, come iPad, AirPods, MacBook e Apple Watch - dalla Cina e destinarla in India e in Vietnam. 

Il contributo della Cina

Si tratta di un piccolo ma significativo cambiamento per l'azienda che ha costruito e alimentato la più sofisticata catena di approvvigionamento al mondo con l'auto del gigante cinese. Ma nella contesa tecnologica tra Usa e Cina - entrambe desiderosi di affermarsi come leader dei semiconduttori, Apple ha dovuto prendere una posizione. E non senza difficoltà.

Facciamo un passo indietro. Negli anni scorsi, Apple ha progettato in California iPhone, iPad e AirPods da far produrre poi in Cina. Il contributo fondamentale fornito dalla Cina all'azienda di Cupertino è il risultato dei progressi tecnologici che il colosso asiatico ha raggiunto negli ultimi dieci anni, in cui gli ingegneri e i programmatori informatici hanno svolto un ruolo cruciale.

Non più fabbrica del mondo

Da fabbrica del mondo a laboratorio di idee tecnologiche. La Cina, che inizialmente ha attratto le aziende straniere a investire nel capitale umano cinese a basso costo, ha virato verso la “doppia circolazione” che, nella visione proposta dal leader cinese Xi Jinping, si intende come una dialettica fra la circolazione economica domestica e quella internazionale: diversificare le importazioni nel breve periodo e acquisire la piena autosufficienza tecnologica sul lungo termine.

In questo percorso pensato dal presidente della Repubblica popolare, i lavoratori hanno preteso quello che da tempo chiedevano: una maggiore paga e una carriera più adatta al percorso di studi, come nel caso degli ingegneri. Una richiesta che ha spinto il colosso tecnologico Usa a diversificare la catena di produzione. Apple ha quindi seguito la regola aurea della delocalizzazione: spostare il lavoro dove costa meno.

Un annuncio lavorativo affisso all'esterno di una azienda del fornitore tecnologico di Apple Foxconn, nella città vietnamita di Bac Ninh, visionato dal New York Times, riportava che l'impresa era alla ricerca "urgente" di 5mila lavoratori entry-level per una paga mensile di 300 dollari. Per la stessa posizione, la Foxcoonn a Shenzhen retribuisce un dipendente cinese con uno stipendio di almeno 650 dollari mensili. Il doppio di quello previsto per un lavoratore vietnamita. La disparità di retribuzione sottolinea un altro motivo per cui le aziende sono alla ricerca di nuove opzioni per la catena di produzione. Secondo il Bureau of Statistics della Cina, negli ultimi dieci anni, i lavoratori manifatturieri cinesi hanno triplicato il loro reddito annuo superando i 9.300 dollari. 

A incidere sulla decisione di Apple di spostare parte della produzione dei prodotti della 'mela morsicata' in India e Vietnam è anche l'incertezza economica e sociale legata alla strategia Zero-Covid, secondo cui un'area di una città o una città intera entra in lockdown, quando vengono rilevati anche solo un centinaio di casi di coronavirus. Quando la Cina ha chiuso i propri confini nel 2020 con lo scoppio del focolaio di Wuhan, Apple ha dovuto rivedere la sua strategia di utilizzo di risorse statunitensi: invece di far arrivare nel paese asiatico centinaia di ingegneri informatici americani, il colosso di Cupertino è stato costretto a formare e assumere esperti IT a Shenzhen e Shanghai per guidare gli elementi di progettazione critici per il suo prodotto più venduto, l'iPhone. 

Gli svantaggi della delocalizzazione

Dalla Cina al Vietnam e India. Foxconn ha recentemente firmato un accordo da 300 milioni di dollari per espandersi nel Vietnam settentrionale, aprendo una nuova fabbrica che genererà 30mila posti di lavoro.  Invece a Chennai, in India, Foxconn da quest'anno guiderà l'assemblaggio dell'iPhone da parte dei lavoratori indiani con il supporto dei vicini fornitori cinesi, tra cui Lingyi iTech e BYD. 

La Cina tuttavia non ha fornito solamente forza lavoro a basso costo. Nel tempo, le aziende cinesi hanno iniziato a produrre altoparlanti, vetro per ii display, batterie e moduli per fotocamere per gli iPhone. Secondo uno studio di Yuqing Xing, professore di economia del National Graduate Institute for Policy Studies di Tokyo, i componenti forniti dai produttori cinesi rappresentano oltre il 25% del valore di un iPhone. 

Produrre in loco avrebbe garantito una riduzione di costi legati all'importazione dall'estero dei prodotti e dei componenti fondamentali per l'assemblaggio di smartphone e computer. La Cina è così entrata nella catena di approvvigionamento di Apple, rendendo più complesso per il gigante tecnologico statunitense delocalizzare il suo processo produttivo. La scelta di spostare parte della produzione in India e Vietnam è legata quindi anche alla vicinanza geografica con la Cina. L'apertura di aziende fornitrici di componentistica per Apple in India e Vietnam fanno ben sperare al colosso tecnologico statunitense. Per ora, però, la Cina rimane insostituibile.

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