rotate-mobile
Giovedì, 28 Marzo 2024
JIHAD GLOBALE

John, il boia di Londra non è solo: cinquecento britannici combattono il jihad in Siria

Accento tipico dell'East End, sicurezza e calma al momento dell'esecuzione. L'assassino di James Foley è ben addestrato e fa parte delle migliaia di occidentali accorsi in Medio Oriente per creare lo Stato Islamico

I dubbi sono ormai pochi: il boia del giornalista statunitense James Foley è un cittadino britannico. A provarlo numerosi linguisti, tra i quali il professore Paul Kerswill dell'Università di York, che sul Guardian afferma che l'accento sia quello tipico dell'East End londinese, zona multiculturale della capitale britannica nella quale si stanno "riformulando" le semantiche e i significanti del "cockney".

Come rivela oggi "Il Foglio", "i servizi segreti americani e inglesi stanno confrontando la voce del jihadista londinese con il database di voci registrate che hanno a disposizione: dalle intercettazioni fatte in Iraq ai video degli interrogatori nella prigione di massima sicurezza di Guantanamo", nel tentativo di poter risalire all'identita di "John" (questo il nome con il quale è conosciuto il terrorista). Gli analisti dell'intelligence sono certi che da oltre un anno le milizie guidate da Abu-Bakr al-Baghdadi dispongono di un battaglione di almeno cinquecento uomini arrivati in Siria dalla Gran Bretagna, e dalla visione del filmato dell'esecuzione di Foley si evince che, a giudicare dalla "sicurezza e calma", non fosse la prima volta che John uccida a freddo un "nemico".

Piccoli tasselli e drammatiche certezze, come quella del giornalista giornalista Martin Chulov, per il quale John sarebbe da tempo impiegato come carceriere degli ostaggi di lingua inglese. John svolgerebbe questo compito insieme ad altri due jihadisti inglesi, conosciuti come “The Beatles” (e immaginiamo il mai troppo compianto Lennon rivoltarsi nella tomba).

IL TENTATIVO DI SALVARE FOLEY

Secondo quanto reso noto dall'ammiraglio John Kirby, portavoce del Pentagono, le forze speciali statunitensi hanno di recente tentato di salvare il giornalista e altri americani tenuti in ostaggio dallo Stato Islamico, ma la missione è fallita perché i cittadini non si trovavano nel luogo in cui i corpi speciali sono intervenuti. "L'operazione ha coinvolto forze aeree e di terra e aveva come obiettivo una particolare rete di sequestratori interna all'Isil. Sfortunatamente la missione non ha avuto successo perché gli ostaggi non erano presenti nel luogo individuato", ha spiegato Kirby.

Il New York Times cita inoltre fonti dell'amministrazione Obama che hanno parlato di una "operazione complicata" tenutasi quest'estate, una missione segreta autorizzata dal presidente Barack Obama in cui decine di militari sono stati paracadutati da elicotteri in una remota zona della Siria. I soldati non hanno trovato i prigionieri, ma sono stati coinvolti in uno scontro a fuoco. Un americano è rimasto lievemente ferito quando un elicottero è stato colpito.

Ecco il volto del "califfo"

IL DISCORSO DI OBAMA

"Il mondo intero è sconvolto per l'omicidio brutale di James Foley. Era un giornalista, un figlio, un amico". Così Barack Obama ha commentato l'uccisione di Foley. "Isis non parla a nome di una religione - ha detto il presidente americano - Le loro vittime sono in maggior parte musulmane e nessuna fede insegna a massacrare gli innocente". Lo Stato islamico va fermato, ha continuato  Obama, perché sta mettendo in atto un genocidio: "I governi e le popolazioni del Medio Oriente devono compiere uno sforzo comune per estirpare questo cancro ed evitare che si propaghi. Ci deve essere un chiaro rigetto di questo tipo di ideologia. Su una cosa possiamo essere tutti d'accordo: non c'è posto per lo Stato Islamico nel 21esimo secolo".

Iraq, partono i bombardamenti Usa

IL RICORDO DEI GENITORI DEL GIORNALISTA UCCISO

"E' stato un giornalista coraggioso, senza paura, un americano pieno di compassione: rappresentava l'America migliore. Ha sempre sperato di poter tornare a casa e ha sostenuto tutti gli altri ostaggi": con queste parole la madre di James Foley ha voluto ricordare il figlio. "Si sentiva in dovere di essere il testimone delle persone che vivono in guerra - ha continuato la donna - sentiva che era questa la sua missione, è morto per questo e io prego che possa essere sempre ricordato in questo modo e non sia morto invano".

"La cosa più importante per James - ha poi detto il padre di Foley - era stare vicino a chi soffriva, e far conoscere a tutti il coraggio di chi lottava contro l'oppressione per provare a fare del mondo un posto migliore a dispetto dei rischi personali. Ora è finalmente libero, ora è nelle mani di Dio".

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

John, il boia di Londra non è solo: cinquecento britannici combattono il jihad in Siria

Today è in caricamento