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Venerdì, 29 Marzo 2024
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L'allarme di Msf dalla Libia: “Migliaia di famiglie in fuga, 3mila migranti bloccati in zone a rischio”

Medici Senza Frontiere chiede “misure concrete per proteggere i civili e le infrastrutture civili, compreso il personale medico, evitando gli attacchi indiscriminati nelle aree densamente popolate”, oltre alla “immediata evacuazione dal paese degli oltre 3.000 rifugiati e migranti intrappolati nei centri di detenzione vicini ai combattimenti”

La situazione dei civili a Tripoli è sempre più critica. Come denuncia Medici Senza Frontiere, l’intensificarsi dei combattimenti ha costretto migliaia di famiglie a lasciare le proprie case, mentre ormai scarseggiano cibo e medicinali, molte persone vivono da giorni senza né acqua né elettricità e oltre 30mila rifugiati e migranti sono bloccati nei centri di detenzione vicini al conflitto, rischiando da un momento all’altro di trovarsi in mezzo al tiro del fuoco incrociato.

Il team di Medici Senza Frontiere, presente fin dall’inizio dei combattimenti, sta fornendo cure mediche di base, cibo, acqua, farmaci e servizi di ambulanza per migranti e rifugiati in quattro centri di detenzione nella città e nelle ultime settimane ha effettuato consultazioni mediche nei centri di Anjila, Abu Salim, Sabaa e Tajoura e distribuito per due volte acqua potabile nel centro di Tajoura. Qui le persone della comunità stanno portando cibo ai migranti, ma, denuncia Msf, “nessuna soluzione permanente è stata identificata dalle autorità libiche, e le condizioni delle oltre 600 persone bloccate al suo interno restano preoccupanti”. Al momento, spiega una nota dell’organizzazione, ci sono 135 persone nel centro di di Anjila, a 5,5 chilometri dal fronte, mentre pochi giorni fa c’erano 910 persone nel centro di Abu Salim, a 6,5 km dai combattimenti, che è considerato il più a rischio di essere coinvolto dal conflitto nei prossimi giorni, dopo il bombardamento del quartiere la notte del 16 aprile. L’UNHCR si sta preparando a trasferire una parte delle persone più vulnerabili da Abu Salim al proprio Centro, ma non c’è capacità per tutti.

Msf chiede “misure concrete per proteggere i civili e le infrastrutture civili, compreso il personale medico, evitando gli attacchi indiscriminati nelle aree densamente popolate”, oltre alla “immediata evacuazione dal paese degli oltre 3.000 rifugiati e migranti intrappolati nei centri di detenzione vicini ai combattimenti”.

In tutta questa situazione, una delle poche disperate opzioni, per libici e non, di fuggire dai combattimenti resta il Mediterraneo. MSF non è in grado di verificare se le partenze in mare siano aumentate dall’inizio dei combattimenti. Ma sappiamo che cercare sicurezza è una reazione concreta e umana a situazioni di estremo pericolo come questo conflitto. In assenza di qualsiasi meccanismo di ricerca e soccorso dedicato nel Mediterraneo centrale, la vita delle persone è a rischio tanto in mare quanto a Tripoli. 

Per MSF, la capacità di ricerca e soccorso in mare deve essere urgentemente implementata, e tutte le persone soccorse devono essere portate in un porto sicuro, come previsto dal diritto internazionale. Perché sia davvero possibile, gli stati membri dell’Unione Europea devono trovare immediatamente un accordo su soluzioni per sbarcare le persone in porti sicuri, mettendo fine alle azioni punitive per ostacolare le organizzazioni umanitarie impegnate in mare. L’attuale ondata di combattimenti – la terza negli ultimi sette mesi – non fa che confermare gli irrazionali tentativi dei governi europei e di quello italiano per far sembrare la Libia un porto sicuro. 

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