rotate-mobile
Mercoledì, 24 Aprile 2024
Come va all'estero

In lockdown per sempre

Si può continuare ad affrontare la pandemia a colpi di restrizioni e frontiere chiuse? Dalla Cina ai casi di Nuova Zelanda e Australia: la variante Delta e i limiti della strategia "zero Covid"

Con la variante Delta e in presenza di alti tassi di vaccinazione la strategia "zero Covid" ha ancora un senso? La risposta breve è: probabilmente no, ma il tema è complesso e sfaccettato. La notizia è che in Cina, a Xiamen (provincia sudorientale del Fujan), un focolaio di casi di coronavirus ha indotto le autorità a imporre nuove restrizioni ai circa 4,5 milioni abitanti della metropoli. Cinema, palestre e bar sono stati chiusi, gli studenti sono stati lasciati a casa e ai residenti è stato vietato di lasciare la città nel tentativo di stroncare sul nascere l'epidemia.

E tutto ciò nonostante i casi registrati ieri a Xianmen, sede di numerose aziende di componenti di elettronica, siano stati in tutto 32 contro un solo caso del giorno precedente. In tutta la provincia sudorientale del Fujian, in particolare nelle città di Putian, Quanzhou e nello stesso capoluogo Xiamen, sono stati rilevati almeno 75 positivi al Sars-cov-2. Il focolaio sarebbe nato in una scuola della provincia frequentata dai figli di un uomo (positivo) da poco tornato da Singapore. Per contenere i contagi la Cina ha messo in campo la solita potenza di fuoco ordinando lo screening di massa per tutti gli studenti e gli insegnanti del Fujian.

In che modo la Cina è riuscita a contenere i contagi

Ma il contact tracing (implementato anche grazie all'utilizzo di un codice QR per ricostruire i movimenti delle persone) non è l'unica arma su cui Pechino fa affidamento per mantenere bassi i contagi. Oltre a regole molto rigide per chi entra nel Paese, le autorità locali non disdegnano restrizioni severe nelle aree in cui si verificano nuovi focolai. Lo abbiamo visto nel caso di Xiamen, ma è successo ad inizio agosto anche in un'area di Wuhan (Zhuankou Street) parzialmente chiusa all'indomani della conferma di sette nuovi casi. A Yangzhou, epicentro di un cluster scoppiato nella provincia di Jiangsu, i residenti sono rimasti confinati in casa per un mese. Con l'arrivo della variante Delta, molto più contagiosa della precedente, i focolai si sono moltiplicati.

CORONAVIRUS CINA ANSA-6

La situazione epidemiologica resta sotto controllo (si parla comunque di poche decine di casi), ma i tentativi di fare piazza pulita del virus hanno meno successo che in passato. Di contro la strategia "zero Covid" ha i suoi costi. L'aumento dell'assenteismo, il calo della produttività e le difficoltà delle aziende che operano nei servizi sono alcuni dei problemi che preoccupano Pechino. L'Ufficio nazionale di statistica ha stimato, per la prima volta da febbraio 2020, una contrazione delle attività non manifatturiere che sembra dovuta proprio alle recenti restrizioni sebbene, nel complesso, l'economia goda di buona salute (nel secondo trimestre del 2021 il Pil è cresciuto del 7,9 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente).

Che cosa vuole fare Pechino?

Poi ci sono i costi sociali. Anche in Cina qualcuno inizia a chiedersi se valga ancora la pena introdurre limitazioni alla libertà personale in presenza di una variante così contagiosa e di una percentuale abbastanza elevata di persone vaccinate. Certo, avanzare critiche al governo cinese può costare caro. Ad agosto un insegnante della provincia dello Jiangxi è stato detenuto per 15 giorni solo per aver suggerito sui social di convivere con il virus nella città di Yangzhou. Zhang Wenhong, studioso di virus e tra gli esperti più apprezzati in patria, avrebbe fatto un'osservazione analoga salvo poi rimangiarsi tutto. Qual è allora la strategia a lungo termine? Qualcuno ha ipotizzato che Pechino possa perseguire la strada del "Covid-zero" fino a quando non verrà raggiunto un tasso di popolazione vaccinata soddisfacente  (ad oggi le persone che hanno ricevuto due dosi sono il 67%).

vaccini 3-3-2

Ma l'immunità di gregge resta una missione impossibile tanto più se pensiamo che il vaccino più utilizzato, Sinovac, è risultato meno efficace dei vaccini sviluppati in Occidente, per quanto prezioso nel prevenire la malattia grave. Insomma, se non vuole restare isolata per sempre la Cina deve rassegnarsi alla presenza del virus ed accettare un aumento dei casi, cosa che per ora non sembra però disposta a fare.

Il caso della Nuova Zelanda ancora in lockdown

Il dilemma riguarda anche altri Paesi che, al pari di Pechino, hanno contenuto al minimo i contagi a forza di lockdown e sfiancanti quarantene imposte ai viaggiatori. Un caso da manuale è quello della Nuova Zelanda che proprio ieri ha esteso fino al 21 settembre il rigoroso lockdown imposto agli abitanti di Auckland. Le autorità sanitarie hanno registrato 33 nuovi casi della variante Delta, tutti ad Auckland, in aumento rispetto ai 20 di domenica. Le parole pronunciate dalla  premier neozelandese Jacinda Ardern  danno un'idea di come da queste parti venga concepita la lotta al Covid. "È chiaro che non c'è una trasmissione diffusa del virus ad Auckland" ha ammesso il primo ministro, "ma finché emergono nuovi casi ci sono dei rischi".

CORONAVIRUA AUSTRALIA ANSA-2

Il Paese è stato a lungo libero dal virus fino a quando, con l'arrivo della variante Delta importata dall'Australia, Ardern ha imposto un lockdown a livello nazionale il 17 agosto. Fatta eccezione per Auckland, nel resto della nazione le restrizioni sono state ridotte la scorsa settimana al livello 2, consentendo alle persone di tornare nei propri uffici e a scuola. A livello sanitario la strategia ha dato indubbiamente dei risultati: dall'inizio della pandemia ci sono stati solo 3.593 casi e 27 decessi, un risultato ragguardevole anche per uno Stato con una popolazione di circa 5 milioni di persone.

Più che la capacità di testing - di cui è maestra la Cina - è stata provvidenziale la decisione di introdurre regole molto severe per chi entra nel Paese. Il fatto che la Nuova Zelanda sia uno stato insulare nel mezzo del Pacifico ha ha certamente aiutato, ma il problema si pone comunque nel lungo periodo perché è evidente che l'isolamento non può essere la risposta definitiva al virus.  

Zero Covid? L'Australia cambia rotta (ma non subito)

La strategia "zero Covid" è stata a lungo inseguita anche dall'Australia, il cui primo ministro, Scott Morrison, ha solo di recente definito "non sostenibile il modo di vivere in questo Paese" di fatto anticipando un cambio di rotta. Resta il fatto che solo a fine agosto, dopo un picco di contagi registrato in particolare nel New South Wales, circa metà della popolazione del Paese è tornata in regime di lockdown.

coronavirus australia ansa-2

Morrison ha promesso che grazie alla campagna vaccinale, gli australiani inizieranno a "convivere con il virus" e non cercheranno di annientarlo del tutto. Ad oggi però solo il 55% degli abitanti ha ricevuto almeno una dose, mentre le autorità puntano ad arrivare al 70-80% per allentare le restrizioni.

Intanto le frontiere sono chiuse da 18 mesi e milioni di persone sono al sesto lockdown. Un problema anche per le migliaia di cittadini australiani che aspettano da mesi di essere rimpatriati a causa della rigida politica sugli ingressi.

Insomma, se da un punto di vista sanitario la strategia "zero Covid" si è rivelata la più efficace, i limiti di questo approccio sono venuti fuori nel lungo periodo messi a nudo anche dalla contagiosità della variante Delta molto più difficile da contenere. Se l'Australia ha fissato un target, altrettanto non hanno fatto diversi altri Stati che stanno mettendo in campo lo stesso approccio. Ma una cosa sembra ormai assodata: non si può inseguire per sempre la logica delle chiusure e dei lockdown. 

Infografica credit Our World in Data.
 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

In lockdown per sempre

Today è in caricamento